Imperia -Un nostro lettore, Alfonso Sista, ci ha scritto per intervenire sulla vicenda della chiusura del pastificio Agnesi.
“Sono figlio di un operaio dell’Agnesi, ormai deceduto da tempo, uno di quegli imperiesi che da quella industria ha tratto sostentamento e mai avrei immaginato che potesse chiudere. Per me era il luogo dove mio padre lavorava e manteneva la famiglia: ricordo come da piccolo aspettassi Natale, perché a tutti i lavoratori gli Agnesi donavano un panettone Motta, e Pasqua quando arrivava in casa la colomba Alemagna. Non si creda che sia solo sentimentalismo o apologia del paternalismo padronale, per un bambino tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60 un panettone o una colomba era una rarità da gustare e da aspettare con ansia. Ora si recita il necrologio funebre di questa industria vitale per Imperia e la sua provincia, vittima di incapacità imprenditoriale mascherata da “esigenze di mercato”, disimpegno dell’attuale proprietà da qualsiasi impegno di marketing.
E che dire della totale insipienza della classe politica imperiese, e non solo, che nei decenni trascorsi non ha saputo dare risposte sensate e concrete alle esigenze di sviluppo dell’azienda, come individuare un’area in cui insediarsi ammodernando gli impianti oppure dedicando parte del porto di Oneglia al solo traffico di grano (già e gli yatch?) oppure dalla mancata istituzione del Distretto Alimentare che poteva diventare il volano della rinascita economica di Imperia e della provincia e miseramente naufragato tra veti incrociati dei vari enti e mancanza di progettualità. E che dire delle lobby della speculazione predatoria che divora territorio senza dare nulla in cambio alla città e che vedrebbe molto bene su quelle aree un bel condominio vista mare? Mi piace l’idea del sindaco Capacci di coinvolgere l’imprenditoria locale e rilevare il pastificio magari decentrandolo nell’entroterra per consentirgli di continuare a vivere; all’idea si potrebbe anche aggiungere una sorta di azionariato popolare in cui ogni imperiese, in uno scatto di dignità e orgoglio, potrebbe contribuire a salvare una delle industrie italiane più antiche e pretigiose, prestigio che gli attuali proprietari non hanno colto appieno scegliendo di far scadere la qualità di un prodotto un tempo apprezzato in tutto il mondo. Bene detto questo un appello a non comprare più nessun prodotto della Colussi né di permettergli la beffa alla città di una speculazione edilizia sulle aree, a cui (a parole, ma si sa quanto valgano di fronte al denaro) paiono non essere interessati”.