Ha preso il via oggi, con le audizioni dei primi testimoni, il processo che vede sul banco degli imputati Caterina Pandolfi, 21 anni, e Aldo De Notaris, 67 anni, i due ex bagnini del ”Papeete Beach”, difesi dall’avvocato Erminio Annoni, accusati di omicidio colposo a seguito della morte di Mauro Feola, avvenuta il 25 luglio del 2015 nelle acque antistanti il noto stabilimento balneare sul lungomare di Oneglia.
Nel corso dell’udienza non sono mancati momenti di profonda commozione nel ripercorrere gli istanti immediatamente precedenti e successivi alla morte di Feola. Nel dettaglio, davanti al giudice monocratico Laura Russo (Pm Maria Paola Marrali), sono sfilati Romolo Bruzzo, Maresciallo della Capitaneria di Porto, e Luigi Maccarrone, pescatore, due dei tre uomini che si tuffarono in acqua per riportare a riva il corpo di Feola, Dario Tamborrino, ufficiale della Capitaneria, e due testimoni oculari, Marco Trippodo e Sonia Grassi.
Dario Tamborrino Capitaneria
“Io e il mio collega avevamo appena finito il nostro turno, quando ricevemmo una chiamata con la segnalazione di un cadavere in acqua, dal Papeete Beach. Ci fu ordinato di recarci sul posto. Più o meno erano le 19.10. Arrivammo sul posto dopo circa 10 minuti. In spiaggia c’era il cadavere coperto da un telo bianco, il medico del 118, i colleghi marinai e i Carabinieri.
Iniziammo a prendere sommarie informazioni. Il mare era molto agitato e da sud ovest spirava un forte vento di libeccio. Era issata, presso il Papeete Beach, la bandiera rossa. C’era una forte risacca, soprattutto a riva.
Il corpo si trovava sul confine tra il Papeete Beach e la spiaggia libera adiacente quando arrivammo sul posto. Il corpo era quello del signor Feola. Scoprimmo successivamente che aveva i due figli in acqua e che uno dei due figli si era trovato in difficoltà e aveva cercato di raggiungerlo. Il figlio era riuscito a rientrare, Feola, invece, si era allontanato sempre di più.
Ricordo che prendemmo i dati dei bagnini del Papeete Beach. Avevano brevetto regolare, così come erano in regola le dotazioni di sicurezza della spiaggia”.
Maresciallo Capitaneria Romolo Bruzzo
“Ero libero dal servizio. Passando con la bici davanti al Papeete vidi un gruppo di persone in strada e sulla spiaggia. Chiesi in giro cosa fosse successo. Mi dissero che c’era una persona in difficoltà, in acqua, da 9-10 minuti. Guardai in acqua e vidi la schiena di una persona. Il mare era abbastanza agitato. A quel punto gridai “Uomo in mare!” nella speranza che qualcuno si tuffasse in acqua per raggiungere la persona in difficoltà. Sul molo di levante della spiaggia c’erano alcune persone che avevano in mano un salvagente. Io gridai indicando la zona dove avevo visto il corpo, al limite tra la spiaggia libera e il Papeete.
A quel punto decisi di scendere in spiaggia. Entrai dalla scalinata del Papeete beach. Il corpo era a 25-30 metri dalla battigia. Dal molo di levante forse qualcosa di più. Sul molo di levante non so se ci fossero o meno i bagnini.
Entrai in acqua, seguito da altre due persone. Volevo provare a raggiungere quel corpo. Perché? Perché mi sentivo di poter affrontare quel mare. Io non sono un bagnino, non ho fatto nessun corso, ma vado quotidianamente in piscina e al mare e mi considero un buon nuotatore, non ho paura del mare. Ho fatto anche un corso da palombaro. In quel momento pensai di potercela fare.
Ci avvicinammo al corpo, il mare era molto agitato. Dalla battigia qualcuno lanciò un salvagente. Uno dei due ragazzi che era con me riuscì ad afferrare la mano o il piede del corpo in acqua e, aggrappandosi al salvagente, lo trascinammo a riva.
Quando portammo il corpo a riva fummo sollecitati dagli operatori del 118, nel frattempo arrivati sul posto insieme a Vigili del Fuoco e Carabinieri, a portarlo su una superficie piana per poter praticare il massaggio cardiaco. Non ci fu nulla da fare, dopo poco dichiararono il decesso.
Non c’era nessun tipo di soccorso quando arrivai io sul posto. Bagnini? Non so, non ricordo di averli visti. Fatica? Sì, fu intervento faticoso, c’era molto risacca. Non fu un intervento semplice. Quando finì non parlai con nessuno e tornai a casa con la bici”.
Luigi Maccarrone (pescatore tuffatosi in acqua per tirare fuori dall’acqua il corpo di Feola)
“Io faccio il pescatore. Non ho brevetti da bagnino, nulla. Sono un discreto nuotatore. Io ero là al Papeete Beach a mangiare insieme a un amico all’epoca dei fatti. Il tempo era brutto, non si poteva fare il bagno perché il mare era molto mosso. Sentii una prima volta il bagnino fischiare, facendo segno di uscire dall’acqua. C’era un po’ di trambusto, ma nulla di che, così ricominciai a chiacchierare con il mio amico. Poi la situazione si animò improvvisamente, c’erano persone che urlavano. Ci alzammo dal tavolo e andammo verso il mare. C’era un corpo in acqua che galleggiava. Era già a testa in giù, non si muoveva.
Il bagnino era sulla battigia, poi sul molo. La distanza del corpo dalla battigia era di 25 metri. I bagnini erano la figlia del proprietario del Papeete, Caterina, e Aldo. Li conosco perché vado in spiaggia lì. In quei minuti io, il mio amico e altre persone cercammo di seguire il corpo, che continuava a riaffiorare e a scomparire tra le onde. Quando riaffiorò non molto distante dalla battigia ci buttammo in acqua. Entrai in acqua, insieme a me c’era un’altra persona. Il corpo non diede mai segni di vita.
Mi tuffai, ricordo una prima onda, una seconda, poi il corpo. Era vicino alla battigia, a 4-5 metri, per questo decisi di tuffarmi. Arrivò dalla battigia un salvagente, non so dire se furono o meno i bagnini a lanciarlo.
Prima che accadessero i fatti, ricordo un ragazzo in acqua con un salvagente, insieme ad altre persone. Poi i bagnini fischiarono, immagino che tutti uscirono dall’acqua.
Qualcuno parlò in quei momenti concitati? Si, sentivo persone che chiedevano ai bagnini di entrare in acqua”.
Marco Trippodo (testimone oculare)
“Ero andato a prendere mia figlia nella spiaggia lì vicino per portarla a vedere la forza delle onde, alla Galeazza. Ero in moto con mia figlia quando, passando dal Papeete, vidi delle persone che guardavano verso il mare e una persona in acqua, in difficoltà, che si muoveva a stento. Era sicuramente ancora viva. Si mosse due o tre volte, in affanno. Mi fermai. C’erano persone che stavano lì. Ferme, a fare foto, ad altezza strada.
Il corpo distava dalla battigia 20-30 metri. L’unica cosa che ricordo è che il corpo era dentro la linea ideale che unisce i due moli. Chiamai il 113 dicendo che c’era una persona che stava affogando. Erano le 18.57. Non mi accorsi del fatto che, nel frattempo, il figlio di Feola era uscito dall’acqua e urlava ‘salvate mio padre, sta morendo, sta morendo’. Sentii una ragazza dire ‘io non mi butto’, ma non riuscii a capire di chi si trattasse. Il figlio di Feola era sconvolto, chiedeva aiuto a chiunque. Arrivò il bagnino, che invece di aiutarlo, si mise a insultarlo. ‘Che cazzo avete fatto? Siete degli stupidi’. Vidi, nell’emergenza, un’assoluta disorganizzazione. Con onde alte, vidi lanciare un salvagente in acqua, che tornava subito indietro, non serviva a nulla.
Vidi quell’uomo, in acqua, in difficoltà, alzare il capo due, poi improvvisamente chinarlo in acqua. Non si mosse più. Vicino a me c’erano persone che facevano delle foto, commentando ‘ah quello sta affogando’, con tono scherzoso. Forse non si rendevano conto di quello che stava accadendo.
Ricordo che ci furono due-tre tentativi di lanciare un salvagente, totalmente inefficaci. Era fisicamente impossibile che la persona in difficoltà potesse raggiungerli. Ebbi l’impressione che non fossero preparati. Poi vidi due persone, raggiunte da una terza, gettarsi in mare. Furono ripetutamente travolte dalle onde. Mi chiesi, perché sono entrati loro, quando c’è un bagnino? Alla fine riuscirono a prendere il corpo e a trascinarlo a riva. Sentii arrivare nel frattempo i soccorsi. Mia figlia stava iniziando ad agitarsi, me ne andai”.
Sonia Grassi (testimone oculare)
“Il mare era estremamente agitato quel giorno. Insieme ai miei tre figli e al mio compagno ci posizionammo davanti al baretto della spiaggia libera ‘Il Pennello’. Il più grande dei miei tre figli faceva i tuffi dagli scogli. Ricordo che non c’era bandiera rossa al Papeete Beach. Lo ricordo bene perché dissi al mio compagno ‘Cosa ci vuole per esporre bandiera rossa? Uno tsunami?’. Erano più o meno le 17.30. Venne issata solo successivamente, ma non so quando.
Quando richiamai mio figlio, visto il mare mosso, mi disse che c’era un signore che gli aveva chiesto aiuto per far uscire il figlio dall’acqua, in difficoltà. Gli risposi che sarei andata io. Mio figlio è molto alto e dimostra più degli anni che ha, per questo credo che il signor Feola gli avesse chiesto di entrare in acqua per aiutarlo.
Dissi al mio compagno di tenere d’occhio i bambini. Proprio in quel momento vidi Feola gettarsi in acqua, dalla battigia, a metà tra Il Pennello e il Papeete Beach. Vidi Feola e il figlio trascinati dalla corrente verso il Papeete. Andai sul molo e urlai a Feola ‘Ce la fate, avete bisogno di aiuto?’. Lui mi rispose ‘No, non ce la facciamo’. Chiesi subito aiuto al Pennello, ma mi risposero che il bagnino non c’era. Dissi che c’era una persona che stava affogando, nella speranza che qualcuno potesse intervenire. Mi diressi verso il Papeete allora e proprio in quel momento vidi Feola e il figlio travolti dalle onde. Vidi Feola, con uno sforzo enorme, spingere il figlio oltre le onde, permettendogli così di arrivare a riva.
Vidi il giovane Feola arrivare a riva, nel frattempo la mia richiesta di aiuto al Pennello aveva catalizzato l’attenzione su quello che stava avvenendo. Portammo il giovane Feola su una pedana in cemento. Nel frattempo il padre, in acqua, veniva travolto da un incrocio di onde che sembravano ingrossarsi sempre di più.
Andai al Papeete a chiedere nuovamente aiuto. Parlai con il titolare, credo, e gli chiesi dove fosse il bagnino, di darci qualcosa. Ottenni un salvagente, con una lunga corda, molto pesante. Bagnini non ne vidi. Portai il salvagente verso la riva dove c’erano mio figlio e altri due-tre uomini. Perdemmo anche del tempo a sbrogliare la corda del salvagente, poi la lanciammo.
Lo strazio più grande fu vedere quel ragazzino, il figlio di Feola, invocare aiuto. Urlava ‘entrate in acqua, salvate mio padre. Non vedete che sta morendo?”. Lo avvolsi con un asciugamano. E fu a quel punto che vidi quell’immagine che mi porto dentro da oltre tre anni. Il signor Feola stava tentando in tutti i modi di resistere. Fu sommerso da una prima onda e riemerse vivo, fu sommerso da una seconda onda e riemerse immobile, con il campo chino in avanti e la faccia nell’acqua.
Da quel momento passarono ancora diversi minuti. Il signor Feola era lì, davanti a tutti. Vidi una ragazza, vestita da bagnina, ferma all’interno del confine dell’area destinata ai bagnini.
Quando Feola fu portato fuori dall’acqua, il figlio fu allontanato per non fargli vedere la scena. Continuava a disperarsi. Lì a fianco c’era la bagnina. Era inattiva rispetto alla situazione. Le chiesi espressamente se avesse chiamato i soccorsi. Mi rispose qualcosa in maniera confusa. Poi arrivò l’altro bagnino e disse al giovane Feola. ‘La colpa è tua che sei entrato in acqua’. Contemporaneamente arrivarono i soccorsi”.