Ha seguito la Dakar 2019 con i suoi occhi, documentando non solo ogni aggiornamento sulla gara e sui piloti italiani, tra cui il campione imperiese Maurizio Gerini, ma anche tutto ciò che gravita intorno alla gara di rally più estrema e famosa del mondo.
Stiamo parlando del giornalista imperiese Franco Iannone, il quale ha nuovamente raccontato attraverso emozioni, parole e immagini, che cosa significa la Dakar per chi la vive in prima persona.
Dakar 2019: il cronista Franco Iannone si racconta
Come descriveresti il tuo modo di descrivere le gare?
“Quello che provo a fare è raccontare ciò che vedo attraverso le emozioni. Cerco di far arrivare a chi mi segue quello che si prova sul momento, per trasmettere le emozioni anche a chi non è presente.
Non comunico solamente le classifiche o gli aggiornamenti di gara, ma mostro cosa succede dietro le quinte, i commenti in diretta, le gioie, le tensioni, tutto quello che altrimenti non si vedrebbe.
Quest’anno, poi, ho avuto la possibilità di inserire nei miei resoconti anche contenuti extra gara. In particolare, la visita alle oasi naturalistiche, come la riserva di san Fernando, nei pressi di san Juan De Marcona, dove ci sono leoni marini e pinguini, oppure come le famose linee di Nasca. Ho sorvolato la zona a mille metri per vederle dall’alto e ho realizzato una galleria fotografica. La vista era mozzafiato”.
Com’è andata la gara dei piloti italiani?
“Per quello che riguarda la Dakar, ho subito ribattezzato come i “magnifici 7″ i piloti italiani in gara, ovvero Maurizio Gerini, Jacopo Cerutti, Nicola Dutto, Mirco Miotto, Elio Aglioni, Gabriele Minelli e Mirko Pavan.
Dalla terza tappa, con la prima fuoriuscita di Elio Aglioni, piano piano la compagine è andata via via riducendosi, fino alla quinta tappa, dove c’è stata l’uscita del pilota di punta Jacopo Cerutti, a causa di una caduta che lo ha messo fuori gara. Poi sono usciti Mirco Miotto e Nicola Dutto.
Sono rimasti in gara Gerini, Minelli e Pavan. Per quanto riguarda quest’ultimo era uno dei cosiddetti “rookie”, ovvero coloro che partecipano per la prima volta alla Dakar, ma bisogna dargli il merito di aver corso senza l’ausilio dell’assistenza, ovvero la categoria “malle moto”, in cui ci si occupa della manutenzione da soli. Un aspetto che si riallaccia alla storica Dakar, dove i piloti arrivavano dopo ore e ore di corse e dovevano sistemarsi la moto. Per questi motivi, Pavan ha fatto una gara egregia, forse sottotono dal punto di vista del risultato, ma considerando l’aspetto umano, ha lasciato tutti strabiliati”.
Come hai trovato la Dakar 2019, hai notato cambiamenti?
“La Dakar di quest’anno è anomala. Nella storia della Dakar e nell’immaginario collettivo degli appassionati la Dakar ha sempre rappresentato qualcosa che andava oltre il superamento dei limiti umani.
Quest’anno c’è stata la percezione, non solo mia, ma generalizzata, che la stessa ASO, organizzatrice dell’evento, avesse voluto portare avanti una gara, nonostante i pareri contrari di tanti, non avendo contatti con altre nazioni del Sudamerica, per non interrompere il ciclo. Quindi è stata realizzata più corta, solo in Perù, solo 10 giorni, solo 5 mila km, solo 2.951 km speciali. Questo non è mai successo nella storia della Dakar.
Tutto ciò ha causato che la gara assumesse delle “connotazioni tristi”, termine che ha usato Franco Acerbis, luminare del rally raid, colui che ha inventato l'”Incas rally”.
Ovviamente questo non sminuisce i risultati ottenuti dai piloti, si tratta solo della sensazione della gara dall’esterno.
La Dakar è diventata anche un riferimento per le nuove tecnologie Prima era una competizione di sopravvivenza, i piloti si allenavano per rimanere in vita e si dovevano orientare con mappa e sole. Ora con gli strumenti tecnologici che ci sono non ci si perde più, fortunatamente. La Dakar moderna è questa. Ci sono i sostenitori della “vecchia” Dakar che pensano che quella fosse la vera gara. In realtà, i piloti che gareggiano sono sempre “super piloti”, allenati e determinati per portare a termine una gara straordinaria”.
Personalmente, come hai vissuto la Dakar?
“Al di là di tutto il discorso generale, è stata un’esperienza molto forte, meno pesante rispetto a quella dello scorso anno, sia per il chilometraggio, sia per la presenza di diverse tappe più abbordabili. Abbiamo avuto del tempo a disposizione per dedicarci a iniziative extra gara.
Attraverso l’iniziativa “Promo Perù” ideata dal Ministero della Cultura peruviano, che ha visto il coinvolgimento di molti giornalisti, ho avuto la possibilità di splorare diverse zone del paese, sorprendentemente bello.
Questa esperienza mi ha arricchito ulteriormente e mi ha dato la possibilità di parlare anche del mio territorio, la mia Liguria, portando in Perù la costa nord occidentale dell’Italia.
Ho sempre cercato di realizzare i racconti in prima persona, mettendoci la faccia, riproponendo le stesse emozioni vissute da me, giorno dopo giorno”.