“Assolta per particolare tenuità del fatto”. È questa la sentenza pronunciata oggi, in Tribunale a Imperia, dal giudice Botti, nell’ambito del processo che vedeva sul banco degli imputati Adriana Fausto (difesa dall’avvocato Roberto Trevia), la vigilessa del Comando di Polizia Municipale di Imperia accusata di truffa ai danni dello Stato per aver disputato due gare di atletica mentre era in malattia.
Vigilessa a processo per truffa: la sentenza
Il Pm Luca Scorza Azzarà, al termine della requisitoria, ha chiesto la condanna dell’imputata a 1 anno e 6 mesi di carcere.
“L’accusa è di truffa aggravata – ha affermato il PM – La Fausto ha presentato due certificati medici di malattia, che attestavano problemi di lombalgia. Al contempo partecipava a competizioni sportive di atletica leggera incompatibili con lo stato malattia. Il procedimento è nato dalla segnalazione anonima di qualche collega.
A seguito della segnalazione – ha continuato – sono stati eseguiti degli approfondimenti. Sono stati reperiti su internet i risultati delle gare a cui ha partecipato la Fausto.
La patologia era chiaramente incompatibile con le gare. Nel corso del dibattimento è stato sentito come teste il marito della Fausto, il quale ha cercato di giustificarla sostenendo che la donna si fosse limitata ad accompagnare la figlia alle gare. In realtà tale asserzione, con tutte le conseguenze che ne derivano, è stata smentita dalla consulenza di parte. Per questo si prospetta la trasmissione degli atti alla procura per falsa testimonianza.
Il Dott. Spinetti riporta che la Fausto gli ha riferito: ‘Se ho commesso delle irregolarità partecipando alle due gare è stato per amore dello sport e per non per fare danno all’amministrazione pubblica”.
Evidente la prova che i certificati medici in questione fossero testanti patologie non vere per giustificare l’assenza per partecipare alle gare.
Non attenua la condotta – ha aggiunto il Pm – il fatto che la Fausto abbia ricevuto un encomio e che soffrisse di ansia”.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Roberto Trevia, impegnato però nel processo d’appello Manitta, a Genova, sostituito in aula dal legale Gianna Corradi (che aveva chiesto il differimento per l’impedimento del collega, richiesta respinta dal giudice), aveva sempre sostenuto che la propria assistita facesse sport a scopo terapeutico, per combattere ansia e panico, e che non avesse riferito la propria reale patologia per non incorrere in problematiche sul lavoro.
Il giudice Botti ha optato per l’assoluzione dell’imputata “per particolare tenuità del fatto”.