È stato presentato oggi, presso la Biblioteca Civica Lagorio di Imperia, il libro “La busta gialla, una storia vera nella Genova dell’occupazione tedesca”, scritto da Marco Francalanci, pubblicato da Edizioni del Capricorno.
L’evento è stato organizzato dall’ISRECIm – Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, insieme all’ANPI e alla FIVL di Imperia.
Presente Giovanni Rainisio, Presidente dell’ISRECIm, Daniele La Corte, giornalista e scrittore, e Gianni De Moro, Fivl.
Si tratta di una storia straordinaria, ma soprattutto vera, un racconto autobiografico che narra le vicende di una famiglia in una Genova ferita dai bombardamenti poi sconvolta dalla guerra civile e dall’occupazione tedesca.
Chi è Marco Francalanci
Marco Francalanci, giornalista, lavora dal 1966 per il giornale Il Secolo XIX, dove fa esperienza in vari reparti della redazione. Diventa capocronista, negli anni più difficili del terrorismo brigatista e di quello neofascista. Dal 1980 è responsabile della pagina degli Esteri. Inviato speciale in occasione di numerosi avvenimenti che hanno segnato la politica internazionale, nel 1990 passa a La Repubblica come capocronista dell’edizione di Torino. Dal 2002 a riposo, ha pubblicato numerosi reportage su Il Secolo XIX, Repubblica, Tuttolibri, e il settimanale Oggi.
“La busta gialla”: l’intervista a Marco Francalanci
Qual è la storia, autobiografica, che racconta in questo libro?
“Quattro anni fa, per puro caso, sono venuto a conoscenza di una serie di fatti riguardanti la mia vita e la mia famiglia. In particolare, ho saputo che alla fine del 1944 io, all’età di 2 mesi, con la mia famiglia siamo scampati dalla deportazione in Germania e che, subito dopo, io mi sono ammalato di meningite. Per curarmi, sono stato sottoposto a 24 punture lombari con un farmaco allora sperimentale, che stavano sperimentando nei campi di concentramento sui bambini.
I miei genitori non mi avevano mai detto nulla per non condizionarmi sulle mie scelte”.
Come ha scoperto tutto questo?
“Tutto è nato durante la visita di un fisioterapista che ha trovato un numero impressionante di punture lombari, chiedendomi come mai le avessi. Ho chiesto a mia mamma se sapeva qualcosa di queste punture e mi ha risposto:”allora hai trovato la busta gialla”, io ho risposto:”quale busta gialla?”, ma lei ha replicato:”no niente, scherzavo”. Da lì è iniziata la mia ricerca in casa. Ho trovato uno scatolone di metallo dove c’erano 150 fotografie degli anni 30 e 40, poi un’altra scatola di metallo con 200 lettere tra mia madre e mio padre, il diario di mia mamma e poi finalmente la busta gialla dove c’era la cartella clinica delle punture lombari, effettuate al Gaslini dal 2 novembre 44 all’8 gennaio 45.
Ovviamente mia mamma non ha più potuto negare nulla e ho iniziato la ricerca partendo dal Gaslini, dove abbiamo trovato la mia cartella clinica che combaciava con le date. Ho attivato così un altro ramo di inchiesta, chiamando la Bayer in Germania e, dopo 1 anno e mezzo, ho accertato che la Bayer ha prodotto questo farmaco che allora era sperimentale nei campi di concentramento”.
Com’è stato scoprire questa verità su di lei?
“È stata una cosa emozionante e sconvolgente. Io che ho fatto inchieste per 50 anni sugli affari degli altri, scoprire una cosa del genere sulla mia persona mi ha sconvolto”.
Il farmaco che ha salvato la sua vita è stato sperimentato sui bambini detenuti nei campi di concentramento, un’altra storia di contraddizioni del periodo nazista come quella raccontata da Rossella Postorino in “Le Assaggiatrici”.
“Sì, una contraddizione totale. E non è l’unica. Noi dovevamo essere deportati, ma ci siamo salvati grazie all’intervento di un ufficiale nazista. Ma mentre mia mamma sostiene che è stato un gesto di bontà, l’associazione partigiani sostiene che questa persona si era resa conto che la guerra stava per finire e che avrebbe avuto bisogno di una testimonianza a suo favore. Però era un argomento che in casa non si poteva affrontare”.
A quale conclusione è arrivato dopo tutte queste riflessioni su di lei?
“Non si può giudicare nessuno in base all’abito che porta. Ho trovato molto interessante un parallelismo con la conferenza di Hevian che ci fu nel 36, dopo che Hitler aveva invaso parte dell’Austria e i Sudeti. C’erano 200 mila ebrei che erano stati cacciati dall’Austria. A Hevian si trovarono i paesi europei per decidere come suddividersi i profughi, ma non fu trovato nessun accordo perché nessuno li voleva. Sappiamo come è andata a finire.
Adesso si presenta la stessa situazione. Recentemente ci sono stati congressi europei dove nessuno ha detto di voler ospitare i migranti. Non so come andrà a finire. È questa la mia conclusione”.