Imperia – Anche l’ex consigliere comunale di Rifondazione Comunista Pasquale Indulgenza interviene sulla vicenda Agnesi e il suo “disastroso epilogo”:
“Scrivo quanto di seguito in qualità di ex consigliere comunale di Opposizione e dirigente politico (attualmente non ho incarichi di sorta nè nelle Istituzioni nè in Organizzazioni). A mio avviso, il disastroso epilogo della vicenda Agnesi, che negli anni scorsi con pochi altri avevo più volte prefigurato e denunciato sia in qualità di consigliere comunale che di dirigente politico, evidenzia pesantissime corresponsabilità:
– degli imprenditori locali e dell’organizzazione confindustriale provinciale. I primi, per aver sempre più smaccatamente coltivato impieghi improduttivi e interessi speculativi, forti del sostegno del potere politico-clientelare e familistico dominante ad Imperia; la seconda, per aver assecondato di fatto, negli ultimi trent’anni, un dissennato processo di arretramento delle realtà manifatturiere del nostro territorio a tutto vantaggio di un disegno di trasformazione dello stesso nel quale progressivamente a lavoro vivo, produzioni qualificate e occupazione stabile si sostituivano l’appropriazione e il consumo di suolo, la privatizzazione delle risorse e dei beni del litorale, una sempre più estesa e profonda precarietà nei rapporti di lavoro. Tolte le belle parole con cui in tanti si sono sciacquati la bocca nelle cerimonie di prestigio (conferenze e congressi vari, Forum della Dieta mediteranea, ecc.), nel territorio non è stata progettata e perseguita alcuna iniziativa strategica che guardasse ad una diversa prospettiva diversa di sviluppo: ne sono clamorosamente mancate cultura e volontà. In compenso, il Sig. Colussi è divenuto vicepresidente dell’Unione Industriali. Lo stesso Sig. Colussi, che in questi ultimi giorni viene criticato – manifestazione surreale, tra le tante, di questa Italia impossibile e infelice – dagli stessi vertici della Sua Associazione!!!
Voglio ancora ricordare che quando nel 2007 si discusse il progetto immobiliar-commerciale “Porta del mare” di Colussi, osservammo, del tutto inascoltati, come lo stesso fosse accolto in mancanza di un impegno degno di questo nomesotto il profilo occupazionale e di un progetto credibile di consolidamento e/o potenziamento dell’Azienda Agnesi. Nelle intercorse intese tra parti sociali, Ente Locale e associazione imprenditoriale – per la precisione Amministrazione Comunale, Gruppo Colussi, Organizzazioni sindacali e Unione Industriali – si leggeva con ogni evidenza come non fosse previsto alcun piano concreto, demandandosi genericamente all’Unione Industriali il compito di elaborare un progetto specifico, senza indicare né tempi né impegni.
– Della gran parte dei gruppi dirigenti del sindacato confederale: per non aver messo in campo, in tutti questi anni, una incisiva vertenza di carattere strategico sul distretto agroalimentare e per la salvaguardia e il rilancio dell’industria pastaria imperiese; per non aver prodotto risposte adeguate e agito un fermo stato di agitazione, allorché nell’inverno scorso è stata pubblicamente annunciata la volontà di chiudere il molino Agnesi, circostanza che da sola, anticipando chiaramente quanto sta succedendo ora, avrebbe meritato scioperi e scioperi e un forte, insistito coinvolgimento del tessuto intercategoriale, del complessivo mondo del lavoro e dell’economia, dell’intera comunità locale. A mio avviso, questa assenza è figlia essenzialmente di una inadeguatezza al ruolo di rappresentanza dovuta principalmente ad una cronica, profonda subalternità culturale e all’avvenuto smarrimento, da decenni, della necessaria tensione alla costruzione di un diverso modello sociale e di sviluppo, alternativo a quello dominante, che tuttora si fa passare come l’unico possibile. Costruzione che per essere agita in concreto, nelle cose, esigeva una pratica del conflitto del lavoro capace di sensibilizzare e coinvolgere ampi settori sociali, in una parola, di fare solidarietà intorno ad un fuoco di resistenza centrato proprio su un intelligente progetto territoriale di rinascita e ricostruzione del lavoro produttivo e dei diritti dei lavoratori. Si è invece imposta una sistematica pratica sistematica di affievolimento del conflitto, burocraticamente tenuta, del tutto conforme alla proverbiale ‘pax’ imperiese voluta dai poteri forti, dalla quale, in definitiva, discendono non solo le disgrazie attuali dei lavoratori dell’Agnesi, ma anche la progressiva distruzione della quasi totalità dell’apparato produttivo locale. Anziché rivendicare accanitamente l’importanza e l’utilità delle nostre tradizionali attività, posta la necessità di un loro qualificato e intelligente rilancio, si è quasi sempre subito e fatto passare ‘sotto traccia’ (ora del tutto scopertamente) il messaggio ideologico del padronato e dei suoi vari agenti e corifei: la produzione di pasta in loco non sarebbe più compatibile col “mercato” e le sue esigenze, così come, in quel di Piombino, gli acciai realizzati dagli operai, malgrado la loro indubbia qualità, non reggerebbero più le pretese della “globalizzazione”!!! Ma, chiaramente, se si introiettano valori e modelli del liberismo e del mercatismo, il risultato non può che essere questo.
Il fatto che solo negli ultimi giorni, a fronte del disastro che si sta consumando, vengano annunciate due ore di sciopero e si tenga qualche presidio davanti alla fabbrica si commenta da solo. Un ‘topolino’ mestissimo sulla scena del delitto, ‘a babbo morto’, al posto dello stato di agitazione permanente e dello sciopero generale provinciale che avrebbero dovuto focalizzare una vertenza degna di questo nome. Ora che le carte del macabro ‘gioco’ sono interamente scoperte e il baratro attende la fabbrica, si fa persino qualche volantinaggio al mercato, ma quali azioni sono state condotte nei mesi passati, quando l’intera ed esclusiva iniziativa sindacale, col molino già dichiarato chiuso e gli operai terrorizzati dalla mannaia dei tagli annunciati, è stata una trattativa letteralmente sbriciolata dalle mosse dell’azienda e della proprietà? Senza una parola di autocritica, il rituale Primo maggio celebrato a pochi metri dalla fabbrica in via di dismissione, presso un porto che, anziché divenire uno scalo funzionale all’attività industriale, è stato occupato da megayachts perennemente ormeggiati, ha francamente inscenato una situazione pietosa che non avrei mai voluto vedere.
– Degli amministratori locali e delle forze politiche di appartenenza. La condotta di coloro che hanno guidato il Comune di Imperia nel corso degli ultimi quattro mandati è anch’essa da piangere. Compresa quella che sta balbettando l’attuale compagine amministrativa. Certo, vanno distinte le responsabilità e le azioni dei governanti scajolan-berlusconiani, fino all’ultima gestione da ‘Paperopoli’ in cui stava sprofondando la città, interrotta dalla ferma iniziativa delle Opposizioni più critiche, e quelle da imputare agli attuali, mischiati nel ‘minestrone’ di civismo elettorale, centrosinistra e destra che ha portato l’imprenditore Capacci alla carica di sindaco. Ma non si può non vedere la trasversale, sconcertante mediocrità della classe politica locale, priva di una spinta prospettica dello sviluppo che non sia quella, conformisticamente e piattamente rappresentata nelle retoriche elettorali, delle ‘magnifiche sorti e progressive’ della ‘vetrina’ turistica. E brilla, in tale e tanta mediocrità, l’aridità e la mollezza della forza politica oggi centrale nel governo locale, il PD. Lo stesso partito, peraltro, che esprime in campo nazionale una rampante leadership, sposata ormai dalla quasi totalità della dirigenza locale, che sta programmaticamente operando per annichilire il ruolo del sindacato, ledendone il potere contrattuale col padronato e la funzione sociale, e per attuare misure di vera e propria normalizzazione della precarietà (vedi jobs act), puntando ad affermare nel Paese una sorta di nuovo dirigismo!! Tenere, ora che il vergognoso dramma volge all’epilogo, una riunione di Giunta davanti allo stabilimento e levare l’ennesimo, solenne appello a salvare ciò che sciaguratamente è stato già compromesso per disinteresse e miopia dei più – oltre che per cinica determinazione di alcuni – è davvero desolante.
In conclusione, la situazione è francamente tragica, ma, proprio perché tragica, occorre finalmente fare un discorso di verità: se si verificherà la fine dell’industria pastaria locale, con le sue conseguenze di taglio occupazionale e produttivo, non si tratterà solamente della sottrazione dal territorio di uno storico stabilimento industriale o di una specifica attività, ma, piuttosto, di una ferita insanabile dell’intero tessuto delle relazioni sociali e della dialettica sociale, della uccisione dell’ultima opportunità rimasta di rimontare, nel pieno della devastante crisi in atto, rispetto alla sistematica devastazione e predazione delle migliori risorse di lavoro, know how e tradizioni della nostra comunità, e provare a reimmaginare, sulla sua base, un nuovo corso dello sviluppo economico. L’unica possibilità di combattere questa deriva sciagurata sta in una presa di coscienza delle parti migliori della società locale e nella rinascita, attraverso una ricostruzione dal basso della volontà di lottare per il cambiamento, di un protagonismo critico dei soggetti sociali che torni a riappropriarsi di princìpi, sanciti anche costituzionalmente, quali quelli della esigibilità della funzione sociale della proprietà e del diritto all’autogestione dei lavoratori”.