“Non dimenticate questa famiglia”, è questo l’appello di Abdel Kilani, il papà di Hagere, uccisa il 18 agosto del 2000, a soli 4 anni, da Vasile Donciu (all’epoca dei fatti 20enne), condannato per l’omicidio a 25 anni di carcere che sta scontando a Bucarest in Romania.
Una famiglia spezzata a metà, dopo la tragedia che ha visto la mamma Leila tornare in Tunisia dove tuttora vive assieme ai due figli minori. In Italia sono rimasti gli altri due fratelli Selfiddin e Cais, quest’ultimo oggi 25enne, che da tempo porta avanti una battaglia per ottenere la cittadinanza italiana.
Imperia: la famiglia della piccola Hager Kilani si appella al Ministro Salvini:”siamo italiani, ci conceda la cittadinanza”
Il caso della piccola Hagere sconvolse l’intero territorio e per anni ha lasciato una profonda ferita, ancora oggi aperta, tra i gli imperiesi anche perché la famiglia ha sempre sostenuto che Donciu avesse avuto dei complici rimasti impuniti. La giustizia, però, condannò solo il romeno e alla famiglia non rimase altro che il dolore. Nessun risarcimento, nessun aiuto se non quello di una casa popolare che dopo alcuni anni gli fu tolta.
Cais, così come il fratello Selfiddin, fin da bambino ha portato un fardello di una famiglia che non ha avuto giustizia e oggi, a distanza di 19 anni dalla tragedia, ancora ne pagano le conseguenze.
“Io mi sento italiano – commenta Cais – sono nato a Imperia, ho fatto le scuole qua e sono iscritto alla Facoltà di lingue all’Università di Genova, ancora oggi stiamo pagando noi quello che è successo a mia sorella. Non siamo cittadini, la mia domanda di cittadinanza è stata respinta perché mio padre ci portò in Tunisia qualche tempo dopo il fatto, dove ancora oggi vive mia madre con due dei miei fratelli. Io voglio dare un contributo a questa città, mi sento parte di questa comunità, i miei amici sono tutti di Imperia”.
Cais non lo dice esplicitamente, forse per pudore, ma la situazione economica della sua famiglia non è delle più floride e se ci fosse qualcuno disposto ad offrigli una possibilità di lavoro la coglierebbe al volo. Papà Abdel, da 30 anni in Italia, ha sempre lavorato come artigiano e la crisi lo ha messo a dura prova.
“Chiedo solo che questo Stato – dice Abdel Kilani-, questa città che ci ha accolto negli anni, riconosca a me e ai miei figli la cittadinanza italiana, siamo brava gente e i miei figli non devono pagare per gli sbagli altrui. Mi appello al Ministro Salvini, al Prefetto, al sindaco Scajola, al Questore Capocasa che l’anno scorso ha presenziato alla cerimonia in ricordo di mia figlia: non dimenticate la mia famiglia”.
L’auspicio è che il prossimo 18 agosto, in occasione della fiaccolata in memoria della piccola Hagere, arrivi la concessione della cittadinanza ai membri di una famiglia imperiese che ha deciso di continuare a credere in questa città, nonostante tutto.