23 Novembre 2024 12:33

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23 Novembre 2024 12:33

Imperia: morte Kayes Bohli, in aula i Carabinieri sotto processo. “Era privo di sensi, ma pensavamo simulasse”/L’udienza

In breve: In aula, davanti al giudice Laura Russo, questa mattina sono stati sentiti i due imputati, Fabio Ventura e Gianluca Palumbo.

Nuova udienza, in Tribunale a Imperia, del processo che vede sul banco degli imputati i due Carabinieri Fabio Ventura, 37 anni, e Gianluca Palumbo, 42 anni, accusati di omicidio colposo per la morte di Kaies Bohli, tunisino 26enne.

In aula, davanti al giudice Laura Russo, questa mattina sono stati sentiti i due imputati. In precedenza è stato sentito per la seconda volta Bruno Giovanni Cavarero, autista soccorritore della Croce Verde di Arma di Taggia, in quanto, secondo il giudice Laura Russo, “la sua ricostruzione non è compatibile con telefonate che abbiamo trascritto”.

Bruno Giovanni Cavarero

La testimoninanza di Cavarero è stata contraddistina da momenti di forte tensione con giudice e Pm (Lorenzo Fornace). Più volte al teste è stato fatto presente il rischio di incorrere nel reato di falsa testimonianza.

Cavarero: “Bohli è stato caricato con le manette ai polsi e ai piedi. Abbiamo chiesto di togliere le manette, ma ci hanno detto di no perché avevano paura che si agitasse. In ambulanza, durante il trasporto, c’erano i due Carabinieri. L’abbiamo adagiato in posizione laterale perché aveva le mani ammanettate. La cinghia gli copriva le gambe e il torace”.
Giudice: “perché ha somministrato 4 litri di ossigeno? Con 91 di saturazione non si fanno 4 litri di ossigeno. Cosa e successo in ambulanza?”.
Cavarero: “non ricordo”.
Giudice: “E’ arrivato in codice rosso al Pronto Soccorso e lei mi dice che non sa cosa è successo?”.
Cavarero: “Gliel’ho dato probabilmente per aiutarlo a respirare meglio”.
Giudice:Le condizioni sono precipitate durante il viaggio in ambulanza e lei mi dice che non è successo nulla? Bohli è arrivato al Pronto Soccorso con la giugulare gonfia e lei non si è accorto di nulla?”.
Pm: “lei è quantomeno reticente. Vuole insistere in questa ricostruzione platealmente reticente? La falsa testimonianza è un reato”.
Cavarero:Io non nascondo niente”.

Fabio Ventura

“Io ero in servizio presso la Stazione Carabinieri di Santo Stefano al mare. Seppi da una fonte confidenziale che Bohli avrebbe cercato di smerciare circa un kg di eroina e che era programma un incontro nei pressi del supermercato Lidl di Riva Ligure.

Informai anche il collega Palumbo della fonte confidenziale e della notizia. Organizzammo questo servizio e decidemmo di organizzarlo utilizzando il SUV di Palumbo che aveva i vetri oscurati. Conoscevo bene Bohli perché alcuni colleghi lo avevano arrestato più volte. Inoltre era stato protagonista di atti vandalici durante i festeggiamenti dei mondiali del 2006. C’erano foto che lo ritraevano sul tetto di un autobus.

Parcheggiammo il SUV in una posizione defilata, poi eseguimmo una sorta di sopralluogo. Palumbo utilizzava un carrello per confondersi con i clienti, mentre io chiesi allo staff del supermercato una maglietta con il logo della Lidl per poter sembrare un addetto ai lavori.

Eravamo all’interno del supermercato. Da una grossa vetrata che dava sull’esterno vidi Bohli che, da fuori, guardava verso l’interno. 

Decidetti di uscire, guidando i carrelli dei bancali per non dare nell’occhio. Arrivai quasi a toccare il Bohli. Gli dissi “Carabinieri!”. Bohli aveva entrambe le mani nella tasche della felpa. Tirò fuori improvvisamente le mani e mi colpì, scappando poi in direzione Aurelia.

Dopo aver scavalcato il primo guardrail, si inciampò sul secondo, rimanendo bloccato. Io lo raggiunsi e lo presi per un piede. Successivamente arrivò anche il collega Palumbo. Iniziò una colluttazione molto violenta con pugni, calci e morsi. Bohli continuava a tenere una mano in tasca, come a nascondere qualcosa, poi ad un certo punto tirò fuori qualcosa di solido e lo tirò sull’Aurelia. Solo in seguito emerse che era droga.

Bohli venne afferrato da Palumbo, che per la colluttazione cadde a terra, rimanendo sotto il Bohli. Vedendo questa scena molto violenta si fermò una persona, il signor Speranza, che ci chiese se volessimo una mano. Speranza bloccò le caviglie di Bohli e io cercai insieme a Palumbo di ammanettarlo.

Urlavo verso il collega Di Sipio che era rimasto sul Suv e che era intervenuto in netto ritardo. A Di Sipio diedi disposizione di recuperare l’oggetto lanciato da Bohli, che scoprimmo essere droga appunto.

Di Sipio aiutò poi Palumbo a sfilare le manette perché era in una posizione scomoda. Bohli venne così ammanettato con i polsi dietro la schiena. Chiamai il Comandante della stazione dicendo che avevamo fermato il Bohli e chiesi un’auto per l’arresto. Arrivò quasi subito la Subaru di servizio.

Decidemmo di mettere anche le manette alle caviglie di Bohli per evitare che scalciasse. Tentava di mordere e sputava. Bohli venne fatto alzare e venne trasportato alla macchina. Si reggeva in piedi ed era vigile.

Invece di sedersi, però, si buttò di fianco sui sedili della macchina. Dava la schiena sul sedile. Arrivammo alla caserma in circa un minuto. 

Le vie respiratorie di Bohli erano libere. Ricordo che parlò, disse qualcosa tipo ‘qualcuno me l’ha messa nel culo’. Arrivati in caserma aiutammo Bohli a scendere e lo adagiammo per terra, in corridoio. A noi parve mettesse in atto una resistenza passiva. Non si reggeva in piedi. Pensavamo simulasse.

Gli misi delle riviste dietro la testa per tenergliela su e chiamammo il 118. Quando scese dalla macchina Bohli aveva gli occhi chiusi, pareva privo di sensi. Il Comandante diede disposizioni di chiamare il 118.

Fu Palumbo a chiamare il 118. La foto a Bohli? La scattai in quel momento per dimostrare che non avevamo toccato il Bohli. Arrivò la Croce Verde di Arma di Taggia. Mi chiesero cosa fosse successo e gli risposi che era stato tratto in arresto.

Misero il saturimetro al dito del Bohli, poi il trasporto in ambulanza con la lettiga e il trasferimento in ospedale. Il Maresciallo Lizza, comandante della Stazione, disse di lasciare la manette a mani e piedi.

In ambulanza Bohli era in stato di incoscienza. Non mi accorsi di nulla di particolare, ero concentrato sull’arrestato. Temevo che si svegliasse improvvisamente e iniziasse a divincolarsi.

All’arrivo in Ospedale Palumbo mi riferì che una volta che Bohli andò in collasso dopo un’iniezione al collo. Ero fuori dall’ambulatorio medico quando mi dissero che Bohli era deceduto. Chiamai il Maresciallo Lizza per comunicare la tragica notizia. C’era ovviamente grande preoccupazione.

Successivamente ci facemmo entrambi refertare: 15 giorni di prognosi per me, 20 per Palumbo. Quando ritornammo, in Caserma c’erano il Magistrato Cavallone, gli ufficiali della Pg e tutti i vertici del comando provinciale dei Carabinieri.  Il Maresciallo Lizza non era lucido, quindi intervenne il comandante Piras da Sanremo per prendere in mano la situazione. 

I tunisini spesso fingono malori per evitare la cella di sicurezza. Noi pensavamo che la tecnica di Bohli fosse la medesima. Perché quando è stato caricato in auto ed è stato scaricato sembrava privo di sensi, ma nel tragitto aveva parlato.

La foto di Bohli la mandai ad alcuni colleghi con la dicitura “preso Bohli con 200 g di eroina”. La mandai ai colleghi che avevano avuto problemi con Bohli, tutto qui. Cancellai la foto perché me lo ordinò Piras”.

Gianluca Palumbo

“Ventura mi parlò di questa attività di spaccio nei pressi del supermercato Lidl. Il soggetto da attenzionare era Bohli Kaies, che conoscevo. Con il collega Ventura avevamo un ottimo rapporto di collaborazione. Avevamo fatto anche vari servizi di pattugliamento a Sanremo, nella Pigna.

Ci incontrammo in Caserma e prendemmo la mia autovettura, un SUV con i vetri oscurati. Posteggiamo l’auto di fianco alla zona di stazionamento dei carrelli della spesa del supermercato Lidl. 

Scendemmo dal mezzo io e Palumbo. Rimase sul SUV il collega Di Sipio. Entrammo nel supermercato e il collega Ventura prese contatti con il responsabile del Lidl. Si fece consegnare una maglietta con il logo del supermercato. Io presi un carrello della spesa per confondermi tra i clienti.

Intorno alle 19 arrivò il Bohli. Il collega Ventura lo riconobbe e mi informò. Bohli girò qualche minuto nel posteggio per poi avvicinarsi all’ingresso.

A quel punto decidemmo di uscire. Ventura uscì, di schiena, trainando un carrello.  E si trovò Bohli a pochi passi. Quando Ventura disse ‘Carabinieri’, Bohli gli diede una spinta forte sul petto e si diede alla fuga in direzione Aurelia.

Saltò un primo guardrail, ma cadde sul secondo, rimanendo in bilico. Nel frattempo noi lo raggiungemmo. Ventura lo prese per una gamba. Una volta arrivato, iniziò una violenta colluttazione. Bohli gettò verso l’Aurelia qualcosa (solo successivamente appurammo che era droga). Io riuscii a prendergli le mani. Ero quasi sdraiato. Avevo il Bohli addosso, era con la pancia sul mio petto. Continuava a cercare di divincolarsi. Calci, pugni, sputi.

Ventura cercò di prendergli un braccio. Poi arrivò il collega Di Sipio, che mi sfilò le manette e le passò a Ventura. Nel frattempo recuperò la droga gettata in strada da Bohli.

Io dicevo a Bohli ‘stai tranquillo, mi hai già fatto male, stai facendo un disastro’. Lui mi disse ‘ma io non ho fatto niente’.

Poi arrivò un passante, Speranza, che su richiesta di Ventura bloccò i piedi di Bohli e ci permise di ammanettarlo.

Nel frattempo arrivarono i rinforzi dal comando. Bohli venne ammanettato anche ai piedi perché continuava a fare resistenza scalciando. Lo caricammo in macchina portandolo sottobraccio. Si chinò sul sedile posteriore con il volto rivolto verso l’abitacolo.

Partimmo a sirene spiegate e impiegammo massimo un minuto massimo per arrivare in caserma. Durante il tragitto ricordo che il Bohli si lamentò dicendo ‘qualche infame me l’ha messa nel culo’.

Arrivammo in caserma e la macchinò entra di punta. Quando aprimmo le portiere scoprimmo che Bohli non scendeva. Lo prendemmo e lo portammo in caserma. Opponeva una resistenza passiva, non reagiva. O meglio, noi la valutammo come resistenza passiva. Aveva gli occhi chiusi. Noi pensavamo che stesse fingendo.

Lo adagiammo sul pavimento con sotto la testa alcuni giornali. Il Maresciallo Massabò ci disse ‘attenzione, potrebbe simulare” . Fu un’ulteriore conferma della nostra tesi. Io provai da dargli qualche buffetto, ma non ricevetti alcun tipo di risposta.

Il Maresciallo Lizza mi ordinò di contattare il 118. Mi disse di fare venire il dottore per vedere come stava l’arrestato. Quando 118 rispose io chiesi di mandarmi un medico.

Al 118 dissi che il soggetto aveva avuto una risposta molto forte nei nostri confronti e che improvvisamente aveva smesso di parlare. Quando arrivarono, misero il saturimetro al dito di Bohli. Si vedeva che respirava dai movimenti torace. Poi venne caricato in ambulanza. Salimmo a bordo anche noi.

Le manette non furono tolte su richiesta del Comandante della stazione. In ambulanza non ricordo che successe qualcosa di particolare, ne che la condizione del Bohli potesse essere peggiorata.

Arrivammo al Pronto Soccorso di Sanremo a sirene spiegate. Bohli venne fatto scendere con la lettiga e posizionato in una stanza. Arrivò l’infermiere e mi chiese se era possibile togliere le manette. Gli tolsi le manette e lo legai per un braccio alla lettiga, per sicurezza. Infermiere mise gli elettrodi sul petto di Bohli e poi uscì.

Successivamente arrivò un’infermiera che fece una puntura sul collo di Bohli. L’elettrocardiogramma ebbe un’impennata e Bohli ebbe un arresto cardiocircolatorio. Iniziarono le manovre rianimazione, però risultate vane. Ricordo che il defibrillatore non venne usato.

Quando rientrammo in caserma c’erano i vertici dei Carabinieri e il Pm Cavallone. Quando è morto, Bohli era ammanettato con un polso alla barella? Si”.

Il processo è stato rinviato al prossimo 5 luglio per il conferimento dell’incarico ai periti. Il giudice monocratico Laura Russo ha stabilito che, attraverso l’incarico peritale, dovranno essere ricostruiti passo passo i momenti dell’arresto di Bohli.

I periti cui sarà affidato l’incarico sono il dottor Gianfranco Varetto e i medici Salvatore Vellutino e Maria Rosa Mancini.

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