“In un colpo solo si è riusciti nel miracolo di moltiplicare le poltrone, dotarle di indennità e di ridurre la democrazia consentendo a dei nominati il diritto di nominare a loro volta quasi la maggioranza assoluta del consiglio, un esempio di casta due punto zero”. Lo ha affermato Lucio Sardi di Sinistra Italiana – Sinistra in comune, in riferimento al caso privatizzazione Isah.
Proprio ieri, si è svolta in comune la commissione monotematica sull’argomento.
Privatizzazione Isah, l’intervento di Lucio Sardi
“La riunione della commissione consiliare comunale sulla vicenda Isah ha avuto un esito importante, nonostante la “provvidenziale” disattenzione del presidente della commissione che, non rispettando la richiesta dei capigruppo consiliari di ascoltare il c.d.a. dell’ente e le rappresentanze sindacali, ha invitato formalmente soltanto il c.d.a e poi convocato effettivamente solo il presidente e il direttore.
Nonostante l’impossibilità di sentire voci diverse da quella del principale artefice dell’operazione, (all’unico rappresentante sindacale presente è stata negata la possibilità di intervenire), le domande poste dagli esponenti della minoranza hanno finalmente reso pubblici alcuni elementi della vicenda finora rimasti fuori dal dibattito cittadino.
Grazie alla “democratica” gestione della riunione, è stato possibile ascoltare “ben” due punti di vista di chi è dentro Isah, quello “tecnico” del direttore dell’ente, favorevole alla trasformazione e quello accorato del presidente stra-favorevole alla trasformazione, il quale, con piglio deciso, ha dichiarato che non intende fare alcun passo indietro per rivedere o rallentare il processo di privatizzazione.
Per motivare la sua intransigenza nel non voler concedere la mobilità ai dipendenti che l’hanno richiesta, il presidente ha affermato che, se questa fosse concessa, l’Isah chiuderebbe e che lui non intende essere “complice” di tale esito. Peccato che solo in questi ultimi giorni, proprio grazie alla sua ottusa intransigenza, tra i circa dieci dipendenti non ricollocati, ben due hanno già dato le dimissioni ed è alto il rischio che a questa decisione siano portati gli altri, con le conseguenti ricadute sulla qualità del servizio dell’ente. Forse Pugi più che sul termine “complice” dovrebbe riflettere su quello di “carnefice”, visto che i rischi di chiusura dell’Isah (da lui paventati) e la pesantissima condizione dei lavoratori costretti a licenziarsi, dipendono dalle sue scelte.
Per comprendere le ragioni dell’apparentemente inspiegabile intransigenza del presidente nel portare avanti la privatizzazione dell’Isah, ripercorriamo gli eventi, cercando di analizzare le motivazioni proprio dalla sua posizione.
L’annuncio del “beau geste” del presidente dell’Isah Pugi suonava già stonato quando, all’indomani delle elezioni comunali alle quali si era presentato in una lista a sostegno a Scajola, aveva annunciato la rinuncia alla nomina a consigliere comunale per dedicarsi alla sua “missione” nell’istituto.
Le dichiarazioni del presidente suonavano già allora stonate per diversi motivi.
Già all’atto della sua nomina a presidente di Isah, imposta da una componente dell’allora maggioranza a sostegno di Capacci, era infatti emerso sugli organi di stampa che la sua indicazione dovesse accompagnarsi anche a una modifica dello statuto dell’ente che ne autorizzasse un compenso economico, operazione poi naufragata a causa delle ferree regole sulle aziende pubbliche di servizi alla persona.
Era ben poco opportuno che una persona nominata su designazione del Comune a presiedere un ente importante e dalla funzione sociale così delicata, si buttasse proprio nella competizione elettorale cittadina e che quindi potesse, mantenendo quella carica, favorire il proprio consenso personale.
Comunicando la scelta di rimanere alla presidenza dell’Isah, aveva annunciato di aver avuto rassicurazioni sulla sua riconferma rimarcando, forse per la sofferenza che ne derivava, che da quattro anni ricopriva tale incarico a titolo gratuito.
Alla luce delle vicende emerse in merito alla procedura di privatizzazione con la trasformazione dell’Isah in fondazione, la stonatura ha assunto un tono molto più sgradevole a rileggere a posteriori le motivazioni non dichiarate di quella “rinuncia” (fatta a suo dire per “amore dell’l’Isah”).
Evidentemente la scelta del presidente Pugi traguardava al suo sogno di privatizzare l’ente per potersi finalmente liberare, parole sue, “dei lacci e lacciuoli” che impedirebbero una gestione “manageriale” di Isah.
Le altre motivazioni dichiarate di volta in volta da Pugi quando doveva giustificare l’operazione (essere più concorrenziali sul mercato – la mancata copertura inps delle maternità – l’applicazione dell’iva per gli appalti delle cooperative che forniscono parte del personale), non reggono, in considerazione della condizione florida dei bilanci dell’ente, del fatto che Isah opera soprattutto in rapporto diretto con le Asl e non in un mercato libero e del fatto che gli appalti con le cooperative possono farsi su base di costo comprensivo di iva.
Analizzando i “lacci e lacciuoli” da cui vuole liberarsi il generoso presidente, sicuramente risalta che, con la privatizzazione, chi dirigerà l’ente stesso non dovrà più tener conto delle “fastidiose” garanzie che oggi spettano ai dipendenti, i quali essendo stati assunti per concorso ed inquadrati con contratti pubblici, hanno maggiori retribuzioni e tutele rispetto ai dipendenti privati.
Questa condizione nei rapporti di lavoro nel tempo è stata tutt’altro che un peso per l’Isah, bensì la garanzia di elevata professionalità dei dipendenti ed ha consentito di adottare innovative forme di organizzazione del lavoro improntate alla qualità del servizio agli utenti.
Sono stati proprio i dipendenti pubblici di Isah, con la loro professionalità e dedizione, a farla crescere e diventare un’eccellenza sanitaria regionale. È stata la garanzia dell’inquadramento pubblico dei dipendenti a consentire a Isah di rinnovare e rigenerare il proprio personale senza ricadute sugli utenti, mediante procedure concordate di mobilità verso altri enti pubblici dei lavoratori che la richiedevano, in ragione delle oggettive difficoltà a svolgere al meglio per l’intera vita lavorativa mansioni così usuranti.
Proprio per questo si fa ancora più fatica ad accettare la pretesa del presidente Pugi di negare la mobilità ai dipendenti che l’hanno richiesta per non perdere la qualifica di dipendente pubblico a seguito della privatizzazione.
A quanto pare, assumendo questa posizione, il presidente ritiene di poter dare una anticipazione del metodo manageriale, o meglio padronale, con cui la fondazione potrà in futuro gestire i rapporti con i lavoratori.
I risparmi economici che si otterranno con la trasformazione e l’applicazione del nuovo contratto di lavoro privatistico, ovviamente a danno dei dipendenti, saranno forse sufficienti a compensare i maggiori costi per le indennità di carica per il presidente e i consiglieri di amministrazione (che peraltro passeranno da cinque a sette), visto che tra i lacciuoli che verranno rotti c’è anche quello sul divieto di compensi attualmente previsto per l’ente, sollevando il presidente, già certo della riconferma, dall’ansia di dover ribadire ogni volta che opera gratuitamente.
Quanto al numero e alla modalità di designazione dei membri del consiglio di amministrazione, il laccio destinato a spezzarsi è quello della designazione della maggioranza dei componenti da parte del Comune di Imperia, che oggi ne designa tre su cinque, indicandone anche il presidente.
Con la fondazione, nella prima nomina, su sette componenti ne verranno indicati due dal Comune di Imperia, uno da quello di Dolcedo, uno dalla Diocesi di Albenga e, guarda un po’, tre dal consiglio di amministrazione uscente.
In un colpo solo si è riusciti nel miracolo di moltiplicare le poltrone, dotarle di indennità e di ridurre la democrazia consentendo a dei nominati il diritto di nominare a loro volta quasi la maggioranza assoluta del consiglio, un esempio di casta due punto zero.
È sconcertante constatare che tutta questa “brillante” operazione sia stata organizzata da un presidente statutariamente tenuto a dirigere l’ordinaria attività di Isah, il quale invece, senza un vero confronto né un mandato da parte degli enti locali coinvolti (Imperia e Dolcedo, Regione), senza ascoltare le obiezioni mosse anche all’interno del c.d.a. dell’ente (che non ha votato all’unanimità la trasformazione), senza un dialogo né un accordo con i lavoratori (con cui ha invece tenuto un atteggiamento padronale) e senza porsi domande sui gravi rischi che una simile condotta può avere sugli utenti, sembra aver agito prima di tutto per soddisfare una sua ambizione “manageriale”.
Forse la sua scelta di rinunciare alla nomina di consigliere comunale si dovrebbe declassare da “beau a “mauvais geste” visto l’esito che ne è derivato e le motivazioni che l’hanno determinata.
Queste settimane hanno reso evidente che il desiderio di vedere realizzato il suo progetto non ha fatto recedere Pugi di un millimetro dai suoi propositi, anche in merito alla vertenza aperta dai lavoratori richiedenti la mobilità.
Auspichiamo che la maggiore consapevolezza di quanto sta accadendo nell’ambito degli enti locali coinvolti e dell’istituto stesso, grazie alla mobilitazione dei lavoratori e di chi ha preso a cuore la vicenda, possa portare ad un ripensamento che scongiuri quantomeno il completamento in tempi brevi della procedura di trasformazione, rinviandola sino alla completa soluzione delle mobilità dei dipendenti.
In questo modo rimarrà il danno per l’inevitabile impoverimento qualitativo dei servizi che l’Isah offre, ma si sarà evitata l’ulteriore beffa per la sorte dei lavoratori.
In questa fase transitoria, sarebbe utile aprire finalmente una discussione vera e valutare seriamente un progetto che nei fatti cancellerebbe una straordinaria esperienza di sanità pubblica, sacrificandola alle miopi esigenze di una pseudo cultura manageriale da sottobosco della politica.
Per quanto riguarda la copertura politica di cui sembra godere il presidente Pugi da parte di Scajola (evidentemente a lui ancora grato per la dote di voti portatigli alle comunali), desumibile anche dal fatto che il sindaco è intervenuto personalmente per negare la discussione in consiglio comunale sulla vicenda, ci sentiamo di dare il seguente giudizio. Se Scajola è interessato mantenersi vicino un “prezioso” sostenitore politico, a costo di rinunciare al controllo di Isah a danno della città, infischiandosene dei diritti dei lavoratori e delle conseguenze sugli utenti che tale operazione determinerà, sappia che il suo silenzio sulla vicenda equivale ad una responsabilità anche maggiore di quella del presidente Pugi.
Se Scajola vorrà cogliere invece la gravità della vicenda, facendosi carico di un intervento sul presidente di Isah per ottenere la sospensione della trasformazione e aprire finalmente un dibattito trasparente in città, avrà modo di fare un “beau geste” apprezzabile da tutti”.