Come si possono raccontare i mesi di piena emergenza Coronavirus? In che modo si possono trasmettere le emozioni di paura, preoccupazione, sofferenza, ottimismo e tenacia di coloro che hanno lottato in prima linea ogni giorno?
Per Luca Patelli, 38enne, volontario della Croce Bianca di Imperia, la risposta è semplice: attraverso i ritratti dei volti di chi, quell’esperienza, l’ha vissuta sul campo.
È così che nasce il progetto fotografico che raccoglie 63 primi piani in bianco e nero di altrettanti operatori volontari e dipendenti della pubblica assistenza imperiese, scattati durante il lockdown.
Le foto sono state pubblicate sulla pagina Facebook della Croce Bianca di Imperia (clicca qui) e sul sito di Luca Patelli (clicca qui),
Imperia: la lotta al Coronavirus sui volti degli operatori della Croce Bianca, il progetto fotografico
Contattato da ImperiaPost, Luca Patelli, ideatore del progetto fotografico, ha raccontato come ha messo in pratica l’iniziativa.
Com’è nata l’idea del progetto?
“Di mestiere sono fotografo e guida ambientale. Durante l’emergenza, come moltissime altre persone, mi sono trovato senza lavoro. Sono da 20 anni volontario della Croce Bianca di Imperia, sono anche parte del direttivo, quindi mi sono ritrovato a vivere questa esperienza con tutti gli altri soccorritori e mi è venuto spontaneo cercare di trovare un modo per fissare questo periodo che ricorderemo tutta la vita. Così ho pensato di raccontarlo attraverso la fotografia, poiché penso sia un mezzo perfetto per conservare un momento.
Quante persone ha fotografato in totale?
63 persone in totale. Le foto le ho scattate nel periodo del lockdown, dal 12 marzo alla riapertura del 4 maggio.
Nell’album si nota, però, anche una silhouette nera, chi rappresenta?
Rappresenta tutte le persone che sono state vicine alla Croce Bianca, sia i volontari che erano con noi, ma non sono stati ritratti, sia coloro che per varie ragioni non hanno potuto svolgere servizio attivo, ma hanno fatto sentire il loro supporto, sia tutte le persone che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza con donazioni o pensieri.
In quali momenti scattava le fotografie? Come reagivano i soccorritori?
Quando mi trovavo in sede. Chiedevo a chi era in servizio se potevo scattare una foto. Erano tutti incuriositi e accettavano di buon grado. All’inizio non sapevo ancora cosa ne avrei fatto, ma sentivo il bisogno di documentare.
Ha in mente di sviluppare il progetto in qualcosa di più, come una mostra, un libro?
Per ora l’intenzione è quella di stampare le fotografie e donarle a ciascun operatore immortalato, per far in modo che abbiano tutti qualcosa di materiale da conservare e non solo un file sul computer.
Inoltre, ho intenzione di realizzare un cartellone con il collage di tutti gli scatti da appendere in sede. È stata un’esperienza drammatica, ma non va dimenticata. Sempre sperando che se ne possa parlare al passato.
La mascherina è sempre presente, ormai è quasi diventata il simbolo di questo periodo difficile.
Sì. L’emergenza ci ha cambiato, oltre il modo di vivere, anche il modo di apparire. Durante il servizio indossiamo tute, mascherine, guanti, eccetera. L’unico modo per comunicare è con gli occhi. Ho cercato di far emergere l’aspetto emotivo proprio dagli occhi, stimolando il sorriso nelle persone. Chiedevo di sorridere anche se la bocca è coperta, perché l’espressione si percepisce ugualmente.
Come ha vissuto l’emergenza come soccorritore?
Abbiamo attraversato diverse fasi. Da quella in cui c’era tanta paura, specialmente quando diversi di noi si sono ammalati, a quella in cui ci si faceva forza, si sentiva il gruppo unito.
L’ottimismo è tornato quando sentivamo notizie positive, quando tornavano con noi gli operatori guariti. Piano piano i servizi Covid sono iniziati a calare, fino ad arrivare alla situazione di adesso, in cui si è tornati un po’ a respirare, ma restando sempre attenti. Il timore è che possa tornare, ma siamo ottimisti”.
Gaia Ammirati