“Nel lessico dell’ottocento e del novecento i termini utilizzati per distinguere le condizioni sociali erano molto diretti, per cui si distingueva l’aristocrazia dalla borghesia e dal proletariato e, nelle condizioni di lavoro, il padrone dal salariato.
Nel tempo il termine “padrone” è fortunatamente passato di moda, non tanto perché soppiantato da nuove definizioni, ma piuttosto per segnare un mutare di condizione nel rapporto tra il proprietario di un’attività produttiva e i suoi lavoratori dipendenti – Così in una nota stampa Lucio Sardi, candidato della lista “Linea Condivisa-Sinistra per Sansa”.
Regionali 2020, Imperia: l’intervento di Lucio Sardi
Evoluzione avvenuta in ragione delle conquiste di diritti da parte dei lavoratori che, anche nella rinnovata cultura imprenditoriale (pensiamo all’esempio di Adriano Olivetti), erano diventati una controparte con cui concordare le condizioni del lavoro invece che una componente da ritenere passiva e strumentale al pari delle materie prime.
Al fenomeno di erosione dei diritti dei lavoratori che le nuove forme di precarietà degli ultimi decenni hanno creato, è corrisposta anche una regressione della cultura imprenditoriale che, anche se lessicalmente mascherata dietro al nuovo vocabolario che usa i termini “imprenditore” e “collaboratori”, è spesso tornata a considerare il lavoro alla stregua di uno dei tanti fattori della produzione da piegare alle esigenze dell’impresa, come ai tempi degli antichi padroni.
l nuovi strumenti di questa incultura imprenditoriale sono l’uso e l’abuso della precarietà con cui si stanno condannando soprattutto le giovani generazioni ad un’esistenza senza prospettive per il futuro e che rischiano, se non corretti, di minare la tenuta del nostro modello sociale nei prossimi anni.
In questo scenario si collocano perfettamente le dichiarazioni del direttore di Confindustria di Imperia quando, intervenendo per difendere l’onore della categoria e dell’associazione per le critiche mosse a Colussi a seguito della chiusura dell’Agnesi e dei mancati impegni per la ricollocazione di almeno parte dei suoi ex operai, ha dichiarato, con malcelata insofferenza, che Confindustria “non è un ufficio di collocamento”.
Concordiamo sul fatto che un’associazione datoriale non debba svolgere un ruolo deputato alle strutture pubbliche dedicate (i centri per l’impiego), ma riteniamo altresì auspicabile che gli imprenditori locali tornino a svolgere il loro ruolo sociale, investendo le proprie risorse in attività produttive capaci di creare occupazione e non più, prevalentemente, in quelle speculative.
Per intenderci esattamente il contrario dell’operato del gruppo Colussi che, dopo aver chiuso l’Agnesi prendendo in giro la città e qualche amministratore locale poco accorto, ha disatteso ogni impegno e promessa di rilancio della produzione o di reimpiego di parte dei lavoratori del pastificio (il museo della pasta o la produzione dei sughi per citare le più note). Stiamo parlando dello stesso gruppo Colussi che ha poi ricevuto in “premio” da Scajola, come da consolidata prassi della politica locale, un nuovo progetto edilizio speculativo sull’area ex ferriere.
Un comportamento tipico da “padrone delle ferriere” collocabile più nell’ottocento che nel novecento per l’assoluta mancanza di rispetto per i lavoratori, il territorio e per la subordinazione, con la complicità della politica locale, dell’interesse pubblico a quello dei potenti di un tempo.
Non ricordiamo che in quell’occasione Confindustria abbia svolto un ruolo utile a cercare una credibile soluzione per almeno arginare l’impatto economico ed occupazionale di tale vicenda nel contesto locale, ruolo che invece dovrebbe essere nel DNA dell’associazione. Forse i dirigenti di Confindustria per difendere più efficacemente la propria categoria, invece di polemizzare con chi chiede conto degli effetti occupazionali di certe operazioni imprenditoriali, dovrebbero provare a esprimere qualche giudizio verso chi opera più da speculatore che da imprenditore.
Altro approccio padronale di queste ore è quello dei dirigenti Isah che, col piglio imprenditoriale che l’avvenuta privatizzazione consente loro, per tentare di placare il clamore generato dalle denunce delle famiglie dei disabili sui tagli ai servizi, hanno inviato un comunicato per annunciare di avere floridi bilanci, di operare meglio di tutti gli altri enti del settore e per spiegare che le famiglie, a cui hanno decimato le ore di assistenza, con le loro denunce fanno disinformazione.
Un comunicato intriso di retorica padronale a firma di un consiglio di amministrazione che ora può governare, come fosse di sua proprietà, un pezzo di quello che fu un esempio glorioso di sanità pubblica, facendosi forte del “merito” di essere stato nominato per fedeltà alla politica che conta.
Giusto a dimostrare che non c’è peggior padrone di quello che comanda senza essersi guadagnato quel ruolo dimostrando almeno sul campo impegno e capacità adeguate”.