22 Dicembre 2024 23:39

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Imperia: crisi idrica, parla Rifondazione Comunista. “Serve completa ristrutturazione acquedotto, si usi il Recovery Fund per trovare le risorse”

In breve: Queste le parole del Partito della Rifondazione Comunista – Federazione Provinciale, in merito alle continue rotture all'acquedotto di Imperia. 

“Al disastro ampiamente annunciato della esplosione dell’acquedotto del Roja, l’ 8 settembre 2020, rottura che ha lasciato completamente a secco l’ imperiese da San Lorenzo al Mare ad Andora, si è data tempestiva e doverosa soluzione in tempi decenti; soluzione che ha però semplicemente riportato il sistema idrico imperiese allo status quo ante disastroso cui da decenni non si sono volute dare risposte né adeguate né decenti – Queste le parole del Partito della Rifondazione Comunista – Federazione Provinciale, in merito alle continue rotture all’acquedotto di Imperia. L’ultima in ordine di tempo, in via Foce.

Crisi idrica nell’imperiese: l’intervento di Rifondazione Comunista

Non solo è andata persa la grande opportunità offerta dal referendum del 2011 che ha sancito l’obbligo della gestione interamente pubblica del servizio idrico su tutto il territorio nazionale, offrendo alla gestione in house quel più di ricavo pubblico che finiva in profitti privati, ma si è anche pervicacemente cercato di far passare il rispetto del referendum come causa prima dello sfascio del sistema, spacciando, neanche a dirlo, la privatizzazione come panacea per ogni inefficienza.

Così la politica dell’imperiese ha creato, del tutto a malincuore, nel 2012, la “società consortile per azioni a capitale totalmente pubblico” Rivieracqua, ed ha immediatamente agito per la sua inefficienza, con nomine di potere, rendite di posizione, scatole cinesi di debiti e crediti incrociati, scarsa o nulla volontà di rendere democratica la gestione ed efficace il servizio ai sensi del dettato referendario.

Con la scusa di coprire ogni inefficienza si è data mano libera ai Comuni sulla imposizione di tariffe spesso esose, mentre nulla si è fatto per ottimizzare o quanto meno migliorare la gestione delle risorse.

Così all’ ennesima – ma questa volta particolarmente grave – rottura del tubo, Claudio Scajola, Sindaco del Capoluogo ha subito estratto dal cilindro le sue atout e le sue medaglie, in particolare il by-pass dell’Arroscia (era il 1991) e le sue reiterate proposte di prelevare acqua dolce dall’ entroterra.

Pittoresco questo modo di ragionare: vogliamo riempire una pentola piena di buchi e per farlo ci buttiamo sempre più acqua prelavata altrove.

Si sragiona così del Tanarello 1° (dimenticando che è affluente del “Sacro Po Padano” … ), e della “Sorgente” della Galleria Armo-Cantarana. Quest’ ultima merita due puntualizzazioni ulteriori:

La costruzione nel 1992 del foro pilota di 2,5 m di diametro e lungo 2852 m, fra Cantarana ed Armo, propedeutico alla galleria stradale che by-passerebbe il Colle di Nava e gran parte dei comuni della Alta Valle Arroscia, con pesanti squarci nel tessuto montano intatto della Valle Arrogna (Tributaria dell’ Arroscia) a forza di scarpate imponenti e viadotti uno dei quali praticamente sopra la frazione di Trovasta, per connettere Ormea direttamente a Pieve di Teco, ha, come spesso accade, intercettato le falde acquifere della Colla d’Armo (là dove ci sono due Pale Eoliche), convogliando le acque in un unico corso che fuoriesce dal foro pilota privandone la montagna: qualcuno ricorda la galleria TAV nel Mugello in Toscana?: secondo la Procura 37 sorgenti e 5 acquedotti prosciugati. Questa è l’acqua preziosa sottratta alla montagna (non una sorgente) che il nostro vorrebbe incanalare nel tubo che da Pieve di Teco arriva ad Imperia (by-pass Arroscia, praticamente inutilizzato da allora per poi infilarla nel colabrodo dell’ acquedotto Imperiese … . No Comment.

Si dia invece immediatamente corso, alla completa ristrutturazione dell’acquedotto del Ponente, anche con il ricorso al Recovery fund, e in contemporanea alla presa di diverse misure semplici e sempre rifiutate:

  • Si obblighi il ripristino per uso irriguo dei pozzi di falda: le città ed i paesi costieri galleggiano su falde che anziché utilizzate sono state usate per decenni come discariche e fogne. Centinaia e centinaia di pozzi riempiti di detriti mentre volumi ingenti di acqua captata a monte e potenzialmente potabile (solo non clorata) vengono utilizzati a scopo irriguo.
  • Si renda obbligatorio finalmente in ogni nuova edificazione e ristrutturazione edilizia il recupero delle acque piovane, con serbatori adeguati agli attuali regimi pluviometrici
  • Si escluda l’utilizzo irriguo di acque di captazione suscettibili di sanificazione
  • Si preveda l’utilizzo obbligatorio di sciacquoni per i wc a scarico differenziato e di rubinetti a risparmio idrico
  • Si svolgano serie, ma serie davvero, campagne di educazione idrica

Naturalmente queste misure devono rientrare nel progetto complessivo di riordino del ciclo dell’ acqua potabile ed irrigua nel territorio costiero, un vero progetto integrato che deve trovare nel recovery fund le risorse necessarie per realizzarsi, senza pesare sugli agricoltori né sui cittadini in generale: una realizzazione democratica, ecologicamente compatibile, socialmente onesta, che renda conto delle tante promesse di un cambio di rotta nella gestione idrica.
… e si lasci l’acqua ai suoi territori, perché insistere sulle nuove captazioni, anziché rendere efficiente la rete ed i consumi, si chiama rapina.

Le responsabilità del nostro sindaco, che rappresenta la seconda città per abitanti della Provincia, sono evidenti: 250 milioni di lire (se ben ricordiamo… ed erano soldi …) buttati in quell’ estate del ’91 nel by-pass Arroscia, realizzato in fretta e furia e d’imperio, come sua abitudine, sulla testa dei territori; fu utilizzata anche la galleria Colle San Bartolomeo della SS 28, di cui fu divelto il marciapiede di soccorso per posizionarvi il tubo e che non fu mai completamente ricostruito, aggiungendo ulteriore pericolosità ad una galleria di 1875 m che non possiede altre vie di fuga se non quella lungo il marciapiede…

Anche la difesa a spada tratta di Amat, agìta non tanto per le competenze di cui sicuramente dispone, quanto per il fatto di essere una s.p.a., una specie di “gioiello di famiglia”, rappresenta un ulteriore tassello della pervicacia nel voler rendere, in barba al referendum, l’acqua un business anziché un servizio che deve soddisfare un diritto inalienabile del cittadino.

Insomma, c’ un imperativo tecnico da rispettare, e consiste nella completa ristrutturazione di ampi tratti della rete idrica del Ponente.

Un imperativo istituzionale, ed è il completo adempimento di quanto sancito nel referendum, ad iniziare dal rendere efficace, trasparente, democratica la gestione di Rivieracqua quale gestore interamente pubblico.

Un imperativo Politico che consiste nel rispettare i territori, in particolare l’ Entroterra, senza utilizzarli come fonti di risorse per sprechi ed inefficienze”.

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