“La causa scatenante il crollo è la corrosione della parte sommitale del tirante della pila 9 […] Se i controlli e le manutenzioni fossero stati eseguiti correttamente, con ogni probabilità avrebbero impedito il crollo […]L’esecuzione dell’intervento di retrofitting lo avrebbe evitato con elevata probabilità”.
L’esito della perizia, richiesta dal Gip di Genova Angela Nutini nell’ambito dell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi, e firmata da quattro ingegneri, docenti universitari (Giampaolo Rosati e Stefano Tubaro del Politecnico di Milano, Massimo Losa e Renzo Valentini dell’ateneo di Pisa), conferma timori e sospetti: la struttura avrebbe ceduto per la mancanza di manutenzione, in particolare per la corrosione dei cavi di uno strallo, che hanno determinato il cedimento della struttura.
Ponte Morandi: perizia sul crollo, nel mirino le mancate manutenzioni
La perizia è l’atto chiave del secondo incidente probatorio nell’ambito dell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi che provocò la morte di 43 persone il 14 agosto del 2018.
Nel documento, di oltre 400 pagine, i tecnici incaricati dal Tribunale di Genova avanzano dubbi sull’operato di Autostrade per l’Italia, ente gestore, che al contrario ha sempre attribuito le cause del crollo a difetti di costruzione.
“Avrebbe dovuto avere una conoscenza adeguata di come l’opera era stata costruita – si legge – valutando la rispondenza con i documenti progettuali, cosa che avrebbe permesso di individuare il grave difetto costruttivo nell’ultimo tratto del tirante, in corrispondenza della sommità dell’antenna, consentendo di prevedere e tenere sotto controllo il processo di degrado.
A partire dalla sua costruzione (1967, ndr) è stata via via trascurata negli anni la serie di indicazioni del progettista, l’ingegner Riccardo Morandi, con particolare riferimento al degrado degli acciai dei cavi […] Lo stesso progettista e i tecnici avevano evidenziato fino al 1985 un già diffuso stato di ammaloramento e proposto modifiche non sempre e non compiutamente accolte”.
La perizia si sofferma in particolare sulle pile 9 e 10, oggetto di un intervento nel 1993.
“Da allora non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o di riparazione dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del Sud-lato Genova della pila 9, erano particolarmente gravi […] I sistemi di monitoraggio attuati, pur conoscendo i rischi di degrado dei materiali, non sono però risultati adeguati a individuare le criticità presenti nella parte del viadotto crollata”.
La conclusione dei periti appare tranchant.
“È chiaramente mancato un coordinamento ingegneristico in grado di raccogliere e confrontare tra loro tutte le informazioni disponibili che, seppur incomplete, dovevano destare un ben maggior allarme sullo stato dell’opera”.
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