23 Novembre 2024 11:18

Cerca
Close this search box.

23 Novembre 2024 11:18

Ventimiglia: omicidio Fedele “esecuzione mafiosa”. L’inchiesta, le intercettazioni e la ricostruzione degli inquirenti

In breve: Dagli atti dell'inchiesta emerge, secondo gli inquirenti, un quadro preoccupante, per quel che concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio imperiese.

Ci sarebbe uno screzio personale, il mancato acquisto di un’auto, una Mercedes, alla base dell’omicidio del 60enne Joseph Fedele.

Fedele e Pellegrino si sarebbero incontrati in zona Bevera, il 22 settembre, a bordo del furgone di Pellegrino, per completare l’acquisto dell’auto. Il 23enne, però, avrebbero riferito di aver cambiato idea e per tutta risposta Fedele avrebbe estratto la pistola. Pellegrino, per difendersi, dopo una colluttazione, sarebbe riuscito a strappare l’arma di mano al francese, sparandogli alla testa, due volte. Successivamente avrebbe portato il corpo in frazione Calvo, dove è stato poi ritrovato il 21 ottobre. 

Questa la versione raccontata da Domenico Pellegrino al Pm della Dda Marco Zocco il giorno stesso in cui il 23enne si è consegnato alle autorità. Difeso dall’avvocato Luca Ritzu, è accusato di omicidio. Da quel momento Pellegrino si è chiuso nel silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere davanti al  Gip Carla Pastorini di Genova.

Insieme a Pellegrino è stato arrestato Girolamo Condoluci, che sarebbe stato chiamato in causa dal 23enne per cancellare le prove dell’omicidio. E’ accusato di favoreggiamento.

La versione del 23enne, però, non convince gli inquirenti, convinti del fatto che l’omicidio si sia consumato in un contesto di criminalità organizzata e che Pellegrino si sia costituito per proteggere qualcuno o per proteggere se stesso da eventuali ritorsioni.

Secondo gli investigatori l’omicidio di Fedele sarebbe una vera e propria esecuzione in stile mafioso, con modalità tipicamente adottate da appartenenti a sodalizi di ‘ndrangheta” in quanto “la vittima inginocchiata (colpo al vertice del capo) e poi colpita alla nuca con una sorta di colpo di grazia”. 

Altro aspetto ancora da chiarire, il fatto che Fedele sarebbe stato trafitto, secondo il medico legale, da due colpi di arma da fuoco esplosi da due armi diverse. C’era dunque una seconda persona con Pellegrino al momento dell’omicidio?

Omicidio Joseph Fedele: gli atti dell’inchiesta

Il ritrovamento del cadavere

Il 21 ottobre i Carabinieri di Ventimiglia rivengono, a seguito di segnalazione, un cadavere in avanzato stato di decomposizione in frazione Calvo, tra le rocce di un canale di scolo.

Sul cadavere non sono presenti documenti di identificazione; all’interno delle tasche dei pantaloni vengono rinvenuti mille euro e, a poca distanza, un orologio da uomo in metallo marca Festina.

Gli accertamenti medico legali consentono di stabilire che la morte risale a diverse settimane prima del
rinvenimento, causata da colpi di arma da fuoco sparati alla testa della vittima.

La vittima

La vittima dell’omicidio è tale Joseph Fedele, nato in Francia, e ivi residente, a Beausoleil, ma di origini calabresi, visto per l’ultima volta in vita dai famigliari il 22.9.2020 a Beausoleil.

Fedele era persona nota alle forze di polizia italiane, perché coinvolto in passato in indagini in materia di armi e stupefacenti e in rapporti con alcuni pregiudicati residenti nell’imperiese.

In particolare, un’annotazione dei Carabinieri fa riferimento a una indagine della DDA di Reggio Calabria, risalente all’anno 2005, e a un’indagine della Procura di Sanremo in materia di stupefacenti.

Fedele aveva precedenti penali in Francia per traffico di stupefacenti e, per tali reati, aveva subito periodi di carcerazione oltrefrontiera. Fedele, secondo quanto riferito dalla polizia francese, era ancora attivo nel traffico di stupefacenti, cocaina e hashish, che si procurava a Nizza e rivendeva in Italia a trafficanti di origine calabrese.

La famiglia della moglie, Regnier, è considerata dagli inquirenti vicina alla famiglia dei Fargette (residenti in Francia) in rapporti con la locale ndranghetista di Ventimiglia (come dimostrerebbe, secondo gli investigatori, la partecipazione di un esponente della famiglia Fargetie, al funerale di Giuseppe Marcianò, capo locale di Ventimiglia, e a quello di Antonio Palamara, esponente di vertice della locale di Ventimiglia).

I dubbi sui responsabili – I colpi di arma da fuoco sarebbero due, con due armi diverse

Secondo il medico legale Luca Tajana, Fedele sarebbe stato ucciso con due colpi di arma da fuoco differenti. Nella relazione, infatti, si legge che “il foro di ingresso ubicato in sede (occipitale sinistra) e il foro di ingresso osservato a livello parietale destro in prossimità del vertice […] presentano diametri differenti, che con ragionevole certezza esprimono l’effetto di due colpi d’arma da fuoco esplosi con armi di calibro diverso”.

Per gli inquirenti resta il forte dubbio che Pellegrino non abbia agito da solo, tanto che nell’ordinanza di custodia cautelare si fa riferimento alla “complicità di persone non ancora identificate”.

La prima svolta dell’inchiesta

Eseguendo un ordine di carcerazione, un militare nota la presenza, nei pressi dell’abitazione dell’arrestato, a Bordighera, di un furgone Peugeot Expert, di colore facilmente distinguibile dai furgoni dello stesso modello perché il portellone posteriore destro appartiene a un Citroen modello Jumpy.

Un veicolo dello stesso tipo e colore e con il caratteristico portellone posteriore bianco, era stato ripreso da una telecamera installata presso una ditta di costruzioni di località Bevera, a circa 1.300 metri (e a circa due minuti in auto) dal luogo di rinvenimento del cadavere di Joseph Fedele il 22.9.2020, mentre transitava prima in direzione frazione Calvo (alle ore 15.44.39) e poi, in direzione opposta, verso Ventimiglia (alle 15.50.48).

Il furgone è risultato essere utilizzato da Girolamo Condoluci e da Domenico Pellegrino.  Si tratta di un primo indizio dal quale gli inquirenti partono per ricostruire tutti i movimenti di Condoluci e Pellegrino, con intercettazioni, telefoniche e ambientali e analisi delle celle telefoniche, le quali evidenziano come i due arrestati si trovassero, il giorno della scomparsa di Fedele, nei luoghi dove si è consumato l’omicidio.

Il passaggio della Smart e di una Peugeot 207 dal luogo dell’omicidio

Altro elemento chiave dell’inchiesta è il passaggio dinnanzi alla telecamera dell’azienda di Bevera, vicino al luogo dell’omicidio, di un’autovettura simile a una Smart di colore scuro, gli inquirenti evidenziano che la madre di Domenico Pellegrino è intestataria di una Smart. A bordo dell’auto, secondo gli investigatori, c’era proprio Pellegrino.

C’è poi un secondo passaggio, quello di una Peugeot 207, secondo gli inquirenti molto simile a quella di proprietà di Domenico Pellegrino.

Entrambe le auto risultano essere state cedute nel periodo immediatamente successivo all’omicidio di Fedele. 

Le reazioni agli articoli di giornale

Le prime reazioni registrate dagli inquirenti sono relative all’identificazione del cadavere, il 25 novembre, e al ritrovamento dell’auto di Fedele a Mentone, dove era stata portata, secondo gli investigatori, da Pellegrino e Condoluci, dopo l’omicidio, l’11 dicembre.

La madre di Pellegrino convocata in Caserma

Ulteriori determinanti elementi di prova emergono a seguito della notificazione alla madre di Pellegrino dell’invito a presentarsi presso la caserma dei Carabinieri di Ventimiglia.

In una conversazione a tre Domenico Pellegrino, la mamma e lo zio, si discute di una possibile versione difensiva da fornire agli inquirenti sulla presenza di Pellegrino sullo scenario dell’omicidio, ipotizzando che avrebbero potuto raccontare che la mamma aveva accompagnato il figlio Domenico nelle campagne per chiudere il contatore temendo che, a causa della pioggia, eventuali smottamenti avessero danneggiato la tubazione.

Le preoccupazioni degli arrestati

Pellegrino, dopo aver compreso di non riuscire a giustificare una sua presenza nella zona dell’omicidio, si rivolge così a Condoluci: “mi sa che siamo arrivati alla fine sai?“. Condoluci prova a rassicurarlo: “no, no… non è ancora lo fine, perché uno può passare di lo eh! Stiamo scherzando?! […] quelli (gli inquirenti) non hanno capito un cazzo […] se l’ hanno chiamata a lei è perché la macchina (la smart, ndr) è intestata a lei e gli dicono cosa è andata a fare”.

Condoluci invita Pellegrino a negare di avere usato l’auto nella circostanza “ma non gli devi dire che sei andato tu…e cerca ancora di tranquillizzarlo “per il momento non hanno niente, avevano chiamato…avevano chiamato a noi a quest’ora, a me! …inc…il furgone me lo fanno […] non è solo tua mamma, tutte le macchine che saranno in quella str… in quel momento chiameranno… “.

Il progetto di dar fuoco al furgone

Preoccupati per un’eventuale accertamento scientifico sul furgone, i Pellegrino e Condoluci accennano alla possibilità di incendiare il veicolo, anche se Condoluci sottolinea il rischio di essere tenuti sotto controllo dagli inquirenti “è sicuro, però magari ti guardano per vedere cosa fai eh”.

Pellegrino, riportando un suggerimento dell’avvocato, replica “[…] per questo mi ha detto di non bruciare il furgone l’avvocato, di non fare niente, lascia stare tutto com’è […l”.

Pellegrino e Condoluci progettano nuovamente di dare fuoco al furgone il 14 dicembre. Secondo gli inquirenti “le conversazioni riportate dai Carabinieri non lasciano dubbi sulla volontà di Condoluci e Pellegrino di distruggere il veicolo, evidentemente nella prospettiva di cancellare tracce del delitto”.

Il sequestro del furgone

Il 15 dicembre i Carabinieri danno esecuzione al provvedimento di sequestro del furgone, recandosi presso l’abitazione dell’intestataria del veicolo, convivente di Condoluci. I militari, appreso dalla donna che il furgone era nella disponibilità del convivente, l’hanno invitata a chiamarlo perché consegnasse il veicolo ai Carabinieri.

La notizia del sequestro suscita grande preoccupazione in Condoluci e Pellegrino.

In una conversazione ambientale avvenuta il 15 dicembre a bordo del furgone che i Carabinieri intendono sequestrare, Condoluci, che sta tornando a casa dalla convivente, dove lo attendono i militari, si rivolge così a Pellegrino: “[…] io cosa ci devo dire…io ci dico che io non so niente eh! faccio come abbiamo detto […] vogliono il furgone! di andare su col furgone! […] ma Domenico tu non hai capito adesso cosa è successo, quelli sono venuti che vogliono il furgone hanno visto...Vogliono a me vedrai che come arrivo mi mettono subito le manette! Che si pensano che sono io! Come cazzo faccio io adesso!  Domenico….io….io ci dico che non so niente eh! […] Ma’ si pigliano il furgone eh! Per vedere il sangue!”.

A proposito della possibile presenza di sangue sul furgone Pellegrino si dimostra molto preoccupato “[…] dici che ce n’è ancora? […] m’arrestano oggi”.

Le legittima difesa come versione difensiva

Condoluci e Pellegrino si accordano per fornire all’avvocato una versione dei fatti concordata e per sostenere che Pellegrino ha sparato, ma per difendersi, e poi ha gettato l’arma nel fiume.

“(…] all’avvocato gli dici che gli hai sparato […] gli dici che ti sei difeso e la pistola l’hai buttata nel fiume […]”.

“La galera non ha mai ammazzato nessuno”

Gli inquirenti ritengono di notevole importanza anche le conversazioni tra Domenico Pellegrino e alcuni familiari.

“la galera non ha mai ammazzato nessuno… l’importante è che stai tranquillo (in carcere) e che non ti dimostri addormentato” si sente in un’intercettazione ambientale.

Anche lo zio, Maurizio Pellegrino, da poco scarcerato dopo aver scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa, parla a Domenico del carcere. “[…] adesso è una cosa lunga non è che finisci domani mattina eh bello mio ehh si sa che è una cosa lunga, mettiti l’anima in pace […] non ci puoi fare niente, ci dovevi pensare prima […] che c’entra la tua famiglia, è una cosa tua e basta, una cosa tua personale, una cosa tua che è successa, gli dici come è successo e basta, in quel modo come hai detto, come i fatti come sono eh! i fatti come sono Domi! […] abbi pazienza, è una cosa bruttissima non è una cosa facile però.. portala come legittima difesa e basta! eh che vuoi fare.. […] ormai quello è successo, è una disgrazia Domenico, era meglio se non succedeva bello mio […] ti metti li su una branda e dormi per un po’ di anni bello mio, non un giorno eh?! sappilo che non è un giorno.. […] mettitelo in testa che sedici anni li hai tutti da fare eh! Sedici anni li hai tutti da fare bello mio… [… ] se riesci con lo legittima difesa riesci a prendere 4/5 anni eh! […]”.

“[ ] eh Domenico ormai è successo, meglio lui che te [… ]ma io vorrei sapere che ti è passato quel giorno nella testa! ma che ti è passato? […] E ormai Domenico vai e te li fai.. […]”.

Non potevi andartene? Che cazzo ti interessava..una reazione di questa, come gliela spieghi?!“.

Le accuse a Domenico Pellegrino

“L’avvenuto decesso di Fedele Joseph è senza dubbio qualificabile quale omicidio –  si legge nell’ordinanza – Gli elementi emersi giustificano l’aggravante contestata di cui all’art.416 bis.1 c.p., con conseguente competenza distrettuale. Invero, le relazioni in vita e i precedenti di polizia in Italia e giudiziari in Francia della vittima nonché le modalità dell’omicidio come allo stato ricostruito, consentono di ipotizzare che l’omicidio sia avvenuto in un contesto di criminalità organizzata. In particolare, si evidenzia che, secondo quanto ricostruito dal perito, sarebbero state utilizzate due armi che hanno attinto la vittima con due colpi alla testa, in sede diversa. Le modalità risulterebbero riferibili ad una vera e propria esecuzione, con la vittima inginocchiata (colpo al vertice del capo) e poi colpita alla nuca con una sorta di colpo di grazia. L’esecuzione con colpo alla nuca è tipica di contesti delinquenziali mafiosi.

Con riferimento alla posizione di Domenico Pellegrino, tutti gli elementi evidenziati, lo collocano sulla scena del delitto e, le affermazioni dallo stesso rese nei colloqui intercettati, provano la sua penale responsabilità per i reati contestati”.

Le accuse a Girolamo Condoluci

“Gli elementi relativi ai tabulari dimostrano che lo stesso abbia compiuto il medesimo itinerario del Pellegrino verso e dalla Francia. L’esame dei tabulati colloca Condoluci a Bordighera (quindi non nella località in cui si ipotizza sia avvenuto l’omicidio) nel primo pomeriggio del 22.9.2020 così, allo stato, da escludere che egli sia personalmente responsabile dell’omicidio di Fedele.

Risulta un quadro gravemente indiziario circa la sua attività di aiuto fornito al Pellegrino al fine di eludere le indagini. Ciò, a partire dal pomeriggio del 22.9.2020, quando l’ha accompagnato in Francia, a Mentone, dove è stata spostata l’auto di Fedele, che si trovava a Ventimiglia, e con gli interventi finalizzati a ripulire i luoghi ave erano presenti tracce del delitto, nonché il furgone, attività che chiaramente emerge dal contenuto delle intercettazioni.
Ulteriore dimostrazione del favoreggiamento sono i consigli dati sul comportamento da tenere e sulla versione dei fatti da offrire ed il proposito di dare fuoco al furgone”.

Condividi questo articolo: