23 Luglio 2024 06:22

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23 Luglio 2024 06:22

Covid: “Io, 29enne, tra i primi fortunati ad essere vaccinati”. La storia dell’imperiese Corinna Agnese, tecnica radiologa a Novara

In breve: Contattata da ImperiaPost, Corinna ha ripercorso i drammatici momenti vissuti durante gli scorsi mesi, sia dal punto di vista professionale sia umano.

“I progressi della medicina hanno salvato milioni di vite e tutt’ora continuano a farlo. Anche il vaccino del Covid-19 non lo vedo come un pericolo, ma se mai come una salvezza.“. Queste le parole della 29enne imperiese Corinna Agnese, TSRM nella radiologia del Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara.

Corinna è stata tra le prime persone in tutta Italia a ricevere il vaccino, lo scorso 27 dicembre, il cosiddetto “Vaccine Day”. 

Contattata da ImperiaPost, Corinna ha ripercorso i drammatici momenti vissuti durante gli scorsi mesi, sia dal punto di vista professionale sia umano.

Covid: la storia della tecnica radiologa Corinna Agnese

Hai definito il 9 marzo “il giorno in cui è iniziato l’incubo”, puoi raccontarci meglio come hai vissuto l’inizio dell’emergenza?

Ricordo benissimo l’8 Marzo. Stavo andando al lavoro alle 7, pensando di fare il mio solito turno, quando ha iniziato a squillarmi il telefono e mentre guidavo verso l’ospedale pensavo “chi è che mi scrive già alle 6.30 del mattino? ”. Prima di entrare ho aperto WhatsApp e ho trovato tantissimi messaggi di amici e colleghi che mi scrivevano che eravamo in zona rossa e che volevano avvisarmi perché io solitamente ogni smonto notte, nei miei riposi, torno a Imperia dove ho la casa e la famiglia. Infatti il 9 sarei dovuta tornare appunto a casa.

Sentire zona rossa in quel momento è stato spiazzante e non si collegava a nulla di definito, perché era tutto nuovo, quindi ricordo la paura di restare lontana da casa, da sola, la paura dell’ignoto, perché di questo virus sconosciuto nulla era chiaro.

E’ iniziata così, con la paura, e così è continuata per tutti questi mesi: paura di portare il virus a casa, di infettare amici e parenti, paura di ammalarmi senza sapere che decorso avrei potuto avere, perché è chiaro a tutti che da casi asintomatici, si può passare al reparto COVID, e i più sfortunati ad intubati in un’intensiva.

Com’è cambiata la tua vita professionale? E ci sono state conseguenze anche sulla tua vita personale?

Sicuramente è cambiato il modo di lavorare e la mia vita personale, come quella di tutti, ma come a tutte le cose ci si abitua e si iniziano nuove “routine” che prima non esistevano mentre ora sono la normalità.

Dall’inizio ho rispettato tutte le regole in quanto era, dal mio punto di vista, l’unico modo che avevamo per proteggerci e proteggere gli altri e senza fare sterili polemiche contro politici, scienziati o chi per loro.

Ho cercato di affrontare un periodo davvero difficile che paragono tranquillamente a un incubo a occhi aperti, un incubo con scene da film apocalittico americano. 

Ricorderò per tutta la vita la prima volta che entrando al lavoro ho visto i tendoni della Protezione Civile con tutti gli operatori bardati in tute bianche, immagini che si vedevano appunto in televisione ma che io in 29 anni non avrei mai pensato di vedere dal vivo.

Le cicatrici psicologiche tanti se le porteranno per tutta la vita, io a marzo ho anche perso mia nonna a causa del Covid-19. Non averla neppure potuta salutare o vedere sarà un dolore che non dimenticherò mai, perché una delle cose più atroce di questa malattia è che le persone muoiono sole, lontane da tutto e da tutti, con il solo conforto degli operatori sanitari. Quindi sì, sono stati mesi di paura, solitudine e angoscia, superati anche dal fattoche lavorando come turnista e avendo residenza a Imperia mi era concesso di tornare sempre a casa, ad Imperia, nei miei riposi.

Perché ciò che sembra banale, come un tornare a casa, anche se per pochi giorni, in questi mesi, è stato davvero fondamentale. Ci tengo a precisare che io a Imperia convivo con il mio fidanzato che lavorava come infermiere in un reparto Covid e che non ho visto i miei parenti fino a metà maggio, sempre in sicurezza e distanziamento sociale, pertanto non ho mai messo a rischio nessuno, essendo quella la mia paura più grande.

Ti aspettavi la seconda ondata? Secondo te si poteva evitare?

In Italia anche durante l’estate il virus non è mai sparito del tutto, non è stato debellato. I casi ci sono sempre stati anche se in numero minore e bastava guardare i bollettini quotidiani per saperlo, pertanto mi aspettavo una seconda ondata, anche se ammetto che ho sperato fino alla fine di non dover rivedere quei numeri altissimi.

Evitarla non sarebbe stato possibile perché è un virus il COVID-19 e come tale si comporta. Tuttavia lo stile di vita estivo non ha sicuramente aiutato, le discoteche, le feste, la movida dei ragazzi e tutto il resto che non era necessario fare, in questo momento storico, così come lo stile di vita sociale-familiare “ italiano ”, ha portato ad avere un numero davvero elevato di casi, dove purtroppo il prezzo più caro lo ha nuovamente pagato la stessa generazione della prima ondata: la generazione dei nonni, coloro che erano più fragili e che andavano protetti più di ogni altro da questo maledetto virus.

Hai fatto il vaccino il 27 dicembre, il cosiddetto Vaccine Day, quindi sei tra le prime in tutta Italia ed Europa. Puoi raccontarci com’è andata?

Esatto, sono stata una delle prime fortunate che ha già ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer in occasione del VaccineDay.

La partecipazione era su base volontaria. L’azienda si è subito attivata, dopo l’approvazione del vaccino da parte dell’EMA, chiedendo al personale chi desiderasse essere vaccinato. Dopo questa prima adesione e dopo la conferma che il Maggiore della Carità era tra i primi ospedali a ricevere le dosi in Piemonte, l’azienda ha nuovamente richiesto a tutto il personale chi volesse partecipare al VaccineDay del 27/12 e io ho inviato immediatamente il modulo per richiesto e pochi giorni dopo mi è arrivata la conferma che ero stata scelta per farlo.

E’ stata una convocazione inaspettata perché in azienda i dipendenti sono davvero tanti e io non avrei mai creduto di essere una delle poche fortunate ad essere chiamata.

Le uniche emozioni che ho provato leggendo la prima mail di conferma sono state felicità, speranza e un pò di incredulità per essere stata “scelta”.

Non ho mai avuto paura o agitazione nel farlo perché erano 10 mesi che aspettavo questo momento.

Ci tengo anche a dire che mi è stato iniettato nel pomeriggio del 27 e che non ho avuto nessun sintomo o effetto collaterale.

Oltre a molti cittadini, ci sono anche numerosi sanitari che non hanno dato il proprio consenso al vaccino. Cosa ne pensi? Pensi che dovrebbe essere obbligatorio?

Il mio modesto pensiero è che tutti dovrebbero vaccinarsi, sanitari e non, perché è l’unico modo per uscire dalla pandemia, per mettere la parola ‘fine’ a tutto quello che abbiamo vissuto in questi mesi.

Ci sono persone che hanno avuto la fortuna di vivere questo virus solo attraverso il telegiornali altre che invece, come me, l’hanno vissuto in prima linea, altri ancora che hanno avuto perdite a livello affettivo o a livello economico, quindi ci sono sicuramente diverse storie e sensazioni tra le persone, ma penso che se tutti facessero il vaccino tutto questo smetterebbe di esistere e si tornerebbe lentamente alla normalità.

Penso che i progressi della medicina abbiano salvato milioni di vite e tutt’ora ne salvano migliaia. I vaccini appartengono a questi progressi, pertanto anche il vaccino del Covid-19 non lo vedo come un pericolo ma se mai come una salvezza.

Sono stanca di leggere post di negazionisti, no vax, complottisti, stanca davvero perché vorrei sapere se gli stessi che scrivono certe cavolate se si ammalassero rifiuterebbero medicinali o cure, se venissero infettati dal Covid nella sua forma peggiore rifiuterebbero un posto letto, ma soprattutto li inviterei a fare un giro nei pronti soccorsi, nei reparti COVID e negli ospedali in generale per capire se cambierebbero idea vedendo anche solo per mezz’ora quello che noi abbiamo visto ogni giorno per 10 mesi infiniti.

Concludo dicendo che a mio avviso il vaccino è un dovere verso se stessi e verso gli altri, un dovere morale e etico, e che in questo momento spero che la speranza prenda il posto della paura”.

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