“È stata un’odissea, sopratutto perché ho dovuto curarmi da solo. Ho dovuto pensare sia come medico che come paziente“. Così Alberto Razeto, il medico imperiese 56enne che, lo scorso novembre, ha preso parte alla 36ª spedizione Antartica Italiana alla stazione Concordia al Polo Sud (la seconda per il nostro concittadino), racconta l’incidente di cui è stato suo malgrado protagonista.
A causa di una brutta caduta, Razeto si è infatti procurato una frattura scomposta a tibia e perone. Dopo essersi medicato da solo alla base Concordia, è stato portato poi in Nuova Zelanda, dove ha subito un intervento e dove tuttora si trova ricoverato, in attesa di poter rientrare in Italia. Un rientro che è reso ancora più difficoltoso dall’emergenza Covid.
Una brutta avventura che ha anche un sapore amaro per il medico imperiese, dato che l’incidente ha messo fine alla sua spedizione antartica, per la quale aveva lavorato duramente negli ultimi due anni.
Il medico imperiese Alberto Razeto ferito in Antartide: il racconto
Può raccontarci cos’è successo?
“Ero alla base, al piano ammezzato, dove abbiamo fatto una riunione insieme a una guida per il recupero di vittime cadute in posti pericolosi. Al termine dell’incontro, mi sono avviato a scendere per la scala (la base è tutta collegata tramite scale). Mentre ero sui gradini, parlavo con un mio amico della base e con la testa mi sono girato per guardarlo. La scala, però, in un punto faceva una piccola curva e il piede non ha trovato il gradino. Non avendo l’appoggio ho cominciato a provare a tenermi per non cadere senza riuscirci, dato che la scala è stretta e c’è solo un passamano. Così mi sono girato di 180° e sono malamente ruzzolato giù dalla scala, procurandomi una brutta frattura scomposta di tibia e perone”.
Alla base Concordia era lei il medico, come ha affrontato l’incidente?
“È stata un’odissea, soprattutto perché ho dovuto curarmi da solo. Ho dovuto pensare sia come medico che come paziente. Mi sono fatto da solo i raggi-x. Quando ho visto l’immagine lo sconforto è stato grande. Di conseguenza poi mi sono fatto anche il gesso. Non mi sono potuto somministrare antidolorifici perché dovevo essere lucido e pensare a dare gli ordini a quelli che mi aiutavano”.
A rendere le cose più difficili è stata anche la componente emotiva.
“Sì, perché subentravano tutti i pensieri negativi. Prima di tutto la consapevolezza che avrei dovuto abbandonare la base. Sono infatti due anni che mi impegno duramente per poter tornare di nuovo in missione in Antartide. Ho rinunciato alle ferie per due anni consecutivi, ho sacrificato la mia vita privata proprio in preparazione della spedizione. Ero riuscito a trovare un sostituto per un anno per avere il permesso di partire dall’Asl. Con grande fatica sono quindi riuscito a ottenere la missione.
Inoltre, per il covid, prima di poter andare alla base Concordia ho dovuto trascorrere un mese in isolamento a Hobart, in Tasmania. In particolare, ho passato due settimane chiuso in una stanza di hotel, senza vedere nessuno e ricevendo i pasti direttamente in camera. Successivamente, altre due settimane potendo uscire dalla stanza, ma senza poter lasciare l’hotel. Questo per dire quanto significava per me questa missione e quanti sacrifici avevo fatto per poterci essere”.
Cos’è successo dopo l’incidente?
“Una volta messa in sicurezza la mia gamba si è dovuto pensare al trasferimento. Dopo qualche giorno sono stato portato nella base americana McMurdo, dove ho trovato uno staff medico squisito, con cui ho fatto amicizia. Successivamente mi hanno trasferito a Christchurch, in Nuova Zelanda, dove mi hanno operato e dove sono tuttora”.
Come sta vivendo questa situazione?
“Non è facile, sono da solo, straniero, parlo un’altra lingua è non sempre facile farsi capire. Ora sono qui che sto aspettando di essere dimesso. Non si sa quando, dipende dal covid. Nel frattempo passo le mie giornate chiuso in un ospedale ed è veramente dura. Cerco di farmi forza e aspetto di tornare in Italia”.
Gaia Ammirati