“Condotta censurabile sotto il profilo etico e professionale“. “Illecito rilevante sotto il profilo disciplinare, in evidente contrasto con i doveri di lealtà, correttezza e imparzialità che devono sempre contraddistinguere i comportamenti di un componente dell’Arma dei Carabinieri“. La Corte d’Appello di Genova, pur assolvendo dall’accusa di abuso d’ufficio il Colonnello David Egidi (all’epoca dei fatti comandante Carabinieri Imperia) e Gianfranco Cabiddu, marito dell’allora Procuratore della Repubblica di Imperia Giuseppa Geremia, non risparmia dure considerazioni sull’operato degli imputati.
Il processo, ormai noto, è quello istruito a seguito dell’inchiesta sul mancato ritiro della patente a Cabiddu, che permise al marito dell’ex Procuratore di continuare a guidare regolarmente per diversi mesi, il tempo necessario, secondo l’accusa, a sostenere l’esame di idoneità, dopo un’operazione alla cataratta, e procedere alla revisione della patente.
Nell’inchiesta fu coinvolto anche l’allora comandante provinciale, Colonnello Luciano Zarbano. Dopo la condanna in primo grado, è stato assolto da tutte le accuse perché “il fatto non sussiste”. Zarbano, a inizio 2020, ha inoltrato un esposto al Ministro della Giustizia Bonafede ripercorrendo il calvario giudiziario, dal 2013 al 2019, conclusosi con l’assoluzione, che è stato causa di “pregiudizi gravi e irreparabili” alla carriera, di spese consistenti e di “danni di natura fisica, morale ed esistenziale”, invitando le autorità ad adottare provvedimenti.
Imperia: mancato ritiro patente ex marito procuratore, le motivazioni della Corte d’Appello
Dopo la condanna in primo grado, in Tribunale a Imperia, a 1 anno e 2 mesi di carcere per Egidi e a 3 anni di carcere per Cabiddu, la Corte d’Appello ha assolto i due imputati dall’accusa di abuso d’ufficio, perché il fatto non sussiste, condannando il solo marito dell’ex Procuratore a 1 anno di carcere per falso.
La Corte, però, nelle motivazioni, ha espresso considerazioni molto dure sull’operato dei due imputati, specificando che “il ribaltamento della pronuncia di primo grado si fonda non su una rivisitazione del quadro probatorio, bensi su una diversa valutazione in diritto, concernente l’interpretazione della norma incriminatrice”.
Abuso d’ufficio
La conoscenza dei fatti
“Sotto il profilo storico – si legge – la consapevole inazione da parte dell’Egidi nella vicenda de qua è dimostrata da plurimi elementi fattuali e di natura logica. Occorre innanzitutto premettere come sia emerso un contatto telefonico diretto fra il Cabiddu e l’Egidi (12.2.2014, ndr) che, non risultando altri e diversi rapporti fra i due, non può che essere logicamente riconducibile alla vicenda. Deve pertanto ritenersi che, quantomeno a partire da tale data (e non da fine agosto o primo di settembre, come sostenuto dall’imputato) l’Egidi fosse stato informato della vicenda”.
“Anche la testimonianza resa dal M.llo Gianoli conferma tale impostazione logica, avendo il teste affermato di aver ricevuto espressamente dall’Egidi la richiesta di trasmettergli una missiva in arrivo dalla Stazione CC di Lunamatrona concernente ‘il marito del Procuratore’, con la prescrizione: ‘Tu quando ricevi la busta, non la toccare e me la consegni immediatamente’)”
La posizione dell’allora Colonnello Luciano Zarbano (poi assolto)
Egidi ha sempre sostenuto di aver agito su richiesta del proprio superiore, il Colonnello Zarbano. A riguardo, la Corte scrive: “Si ritiene scarsamente rilevante discettare se l’Egidi abbia agito di propria iniziativa ovvero, a sua volta, su input del diretto superiore, Col. Zarbano (atteso che, in ogni caso, non sarebbe ravvisabile la scriminante di cui all’art. 51 C.P. , poiché, anche a voler ammettere che un ordine vi fosse stato, sarebbe stato illegittimo e dunque l’imputato non sarebbe stato tenuto ad adempiervi)”.
E ancora: “Egidi […] ha fatto comprendere una situazione di psicologica sudditanza rispetto al Col. Zarbano che a suo dire gli avrebbe dato l’ordine di soprassedere […] Questa situazione, anche se fosse vera, di certo non potrebbe scriminarlo. La causa di giustificazione di aver agito per ordini superiori, come è noto, potrebbero operare solo qualora Egidi non avesse avuto contezza della illegittimità dell’ordine. E’ invece risultato provato che egli sapeva che la raccomandata conteneva un atto da notificare al Cabiddu, e che era quindi ben consapevole di agire ‘contra ius'”.
Una versione poco verosimile
Secondo la Corte la versione dei fatti fornita da Egidi (non essere a conoscenza del contenuto della missiva e aver agito su ordine di un diretto superiore, il Col. Zarbano) sarebbe “poco verosimile”.
“Alla luce delle risultanze – scrive la Corte – la versione resa da Egidi appare assai poco verosimile ed in alcun modo riscontrata. Come si è visto Egidi ha negato circostanze risultate assolutamente provate quale quella che fin dal febbraio 2014 sapeva che la raccomandata conteneva una notifica da fare al Cabiddu come ben spiegato dal M.llo Gianoli, teste qualificato e privo di qualunque interesse.
Egidi ha sminuito il rapporto di amicizia che lo legava al Cabiddu e sua moglie, facendolo ritenere assai meno confidenziale di quello che aveva Cabiddu con il Col. Zarbano, ma le sue stesse dichiarazioni portano a ritenere il contrario […] Questa situazione di assoluta confidenza-amicizia ben spiega il movente dell’illecito, ossia quello di favorire l’amico Cabiddu, nonché marito del Procuratore, per quanto possibile”.
“[…] Anche la data in cui avviene finalmente la notifica appare quanto mai sorprendente, considerato che quello stesso giorno Cabiddu aveva riottenuto la patente […] Risulta evidente dalla cronologia delle telefonate come Cabiddu abbia chiamato Egidi non appena superato l’esame, questi gli abbia detto di andare per la notifica ed in effetti dopo pochi minuti la notifica avviene. Evidente l’accordo tra i due. I documenti e i tabulati non permettono una ricostruzione differente”.
Condotta censurabile, ma non si configura reato
“A questa Corte appare indiscutibile che l’imputato era perfettamente a conoscenza, sin da subito, del contenuto della missiva e che fosse dunque consapevole essere suo preciso doverenotificarne immediatamente il contenuto al Cabiddu e inserire il provvedimento di sospensione nella banca dati del S.D.I.
L’avere viceversa trattenuto, per lungo tempo, ed ingiustificatamente, tale atto presso il proprio ufficio, senza compiere gli incombenti descritti, costituisce condotta illegittima, in quanto volta, evidentemente, a favorire indebitamente il Cabiddu (verosimilmente in quanto coniuge dell’allora Procuratore della Repubblica di Imperia).
Tale condotta, tuttavia, pur essendo censurabile sotto il profilo etico e professionale e costituendo, ad avviso di questa Corte, illecito rilevante sotto il profilo disciplinare, ponendosi in evidente contrasto con i doveri di lealtà, correttezza e imparzialità che devono sempre contraddistinguere i comportamenti di un componente dell’Arma dei Carabinieri, non può integrare il reato di abuso d’ufficio”.
Non c’è il vantaggio patrimoniale
” Questa Corte ritiene che il primo giudice (Tribunale Imperia, ndr) abbia fornito una interpretazione forzata e fuorviante del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte in tema di individuazione del contenuto e dei limiti che la norma in esame attribuisce al concetto di ‘vantaggio patrimoniale’.
Il vantaggio richiesto per l’integrazione del reato p. e p. dall’art. 323 C.P. deve essere necessariamente riferito all’aspetto patrimoniale, nel senso che l’accrescimento della situazione giuridica deve, direttamente o indirettamente, garantire l’acquisizione di utilità che siano rilevanti sotto l’aspetto patrimoniale.
Avuto riguardo, nello specifico, all’indebito conseguimento di una abilitazione alla guida, il principio enunciato dalla Suprema Corte può trovare applicazione esclusivamente nelle ipotesi in cui la patente di guida sia necessaria al titolare beneficiato per lo svolgimento di una attività di impresa per il cui svolgimento sia funzionale la guida di veicoli. Nel caso in esame, viceversa, come accennato in precedenza, non risulta che il Cabiddu esercitasse professionalmente alcuna attività che richiedesse, per il suo svolgimento, il possesso della patente di guida. Dunque il vantaggio per il predetto nel mantenere la possibilità di fruire di tale titolo abilitativo alla guida di veicoli rappresentava esclusivamente una comodità, comune a qualunque privato cittadino, consentendogli di potersi spostare autonomamente”.
Confermato il reato di falso
“Deve viceversa essere mantenuta ferma l’affermazione di penale responsabilità del Cabiddu – si legge – in ordine al reato di cui all’art. 483 C.P. Il fatto storico è pacifico ed incontestato. Dalla documentazione acquisita è infatti emerso che il Cabiddu, in data 15.1.2015, nel corso della visita medica per il rinnovo della patente, dichiarò, in sede di autocertificazione, la totale assenza di patologie invalidanti, laddove viceversa egli risultava affetto da patologie che avrebbero comportato una diversa procedura abilitativa, dinanzi alla Commissione Medica.
Inoltre il comportamento del Cabiddu oggetto di tale specifica contestazione non può essere considerato un incidente di percorso, né un unicum, atteso che, come si è visto, l’imputato – sempre in riferimento all’abilitazione alla guida – non si è fatto scrupolo di coinvolgere ufficiali dell’Arma dei Carabinieri per bloccare il provvedimento di sospensione della patente di guida che doveva essergli notificato, consentendogli cosi di superare, nel frattempo, un nuovo esame, conseguendo un nuovo titolo abilitativo.