22 Dicembre 2024 17:04

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“Martina Rossi morì per sfuggire a stupro. In camera aggredita e spogliata dei pantaloncini”: Appello bis, ecco le motivazioni

In breve: Gli imputati Vanneschi e Albertoni secondo la Corte hanno raccontato una lunga serie di bugie nel tentativo di nascondere la verità.

Martina Rossi è morta nel tentativo sfuggire a un tentativo di stupro, dopo essere stata aggredita e privata, con la forza, dei pantaloncini che indossava. Così la Corte d’Appello di Firenze ha ricostruito gli ultimi istanti di vita della studentessa imperiese, precipitata dal 6° piano dell’Hotel Sant’Ana di Palma de Maiorca il 3 agosto del 2011, mentre era in vacanza con le amiche.

In camera con Martina, al momento della caduta, Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, condannati a tre anni di carcere. Secondo la Corte, come vedremo, hanno raccontato una lunga serie di bugie nel tentativo di nascondere la verità.

Morte Martina Rossi: le motivazioni della sentenza

Le versioni dei due imputati

Alessandro Albertoni

” L’imputato riferiva alle ragazze amiche di Martina Rossi […] di essere stato da quest’ultima aggredito, secondo modalità che venivano riferite in tal modo: dopo che Vanneschi Luca e Martina Rossi si erano assopiti, mentre Albertoni Alessandro continuava ad ascoltare musica, Martina Rossi si sarebbe improvvisamente svegliata in forte stato di agitazione, manifestando di essere eccessivamente accaldata, e si sarebbe tolta i pantaloncini che indossava, e poi si sarebbe scagliata improvvisamente contro l’Albertoni, aggredendolo e stringendolo al collo fino a graffiarlo, con una condotta assolutamente immotivata.
In tale frangente, secondo la prima ricostruzione di Albertoni, Vanneschi Luca dormiva, e non si sarebbe accorto assolutamente di niente. Sempre proseguendo la ricostruzione fornita dall’imputato nell’immediatezza degli accadimenti, ad un certo momento Albertoni sarebbe riuscito a calmare Martina Rossi, facendole sentire della musica con gli auricolari, tanto che la ragazza si sarebbe assopita di nuovo. A questo punto l’imputatosarebbesceso fino alla stanza numero 152 con l’intenzione di chiedere alle amiche di Martina Rossi di venire a riprendersi la ragazza, che lo aveva immotivatamente aggredito, con un comportamento che non poteva essere ulteriormente tollerato. Secondo il narrato delle due ragazze amiche di Martina, Isabella Cambiaso e Alessia Nicastro, dopo che l’imputato le aveva svegliate, e dopo che aveva richiesto il loro intervento per venire a riprendersi l’amica, nel mentre si stavano recando all’ascensore per salire al sesto piano dell’albergo, usciva dall’ascensore VanneschiLuca il quale riferiva che Martina Rossi era precipitata dalla terrazza della camera”.

Luca Vanneschi

“Secondo il racconto fatto alle ragazze dall’imputato, quest’ultimo, che stava dormendo sul letto vicino alla porta di uscita sul terrazzo, aveva sentito un rumore di passi che di corsa andavano verso la portafinestra che dava sul terrazzino della camera; aveva sentito Martina sbattere contro il vetro della portafinestra, che era chiusa; aveva sentito aprire la porta finestra e dei passi che tornavano indietro e prendevano poi la rincorsa e Martina che si buttava giù dal terrazzo.

Vanneschi diceva alle ragazze di aver sentito Martina che ‘ha tirato un urlo’ mentre cadeva giù. Alle ragazze l’imputato aveva detto di aver provato a fermare Martina, ma di non esserci riuscito perché, quando era uscito sul terrazzo, ‘Martina Rossi era già fuori dalla ringhiera e ha visto solo i piedi’.

[…] Il racconto effettuato da Vanneschi Luca ad Alessia Nicastro non trova alcun riscontro nelle altre acquisizioni processuali”.

La testimonianza della cameriera Francisca Puga

Una delle testimonianze chiave, l’unica oculare, è quella della cameriera dell’Hotel Sant’Ana, Francisca Puga. Secondo la Corte il racconto della donna è fondamentale nella ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Martina Rossi.

“La teste osservò la ragazza che scavalcava con una gamba la ringhiera di protezione di una terrazza dei piani alti dell’albergo, che non seppe identificare sul momento, e che poi precipitava senza riuscire ad aggrapparsi ad alcun appiglio […] La teste utilizzava le espressioni ‘si lasciava cadere nel vuoto, da uno dei piani superiori’; ‘alzando una gamba e subito dopo un braccio, o in ordine inverso, precipitando di lato’; ‘dopodiché, alzò una gamba per oltrepassare la ringhiera e lasciarsi cadere’. Martina Rossi precipitò dal terrazzo della camera 609 senza gettarsi in avanti oltre la ringhiera, di slancio, ma semplicemente scavalcò la ringhiera con una gamba e poi precipitò nel vuoto. Questo è il contributo che Francisca Puga ha potuto dare all’istruttoria, importantissimo come si avrà modo di verificare nel prosieguo.

L’insistenza con la quale Francisca Puga affermava di aver sempre dichiarato che la ragazza si era buttata intenzionalmente, si evidenzia, all’esame critico delle dichiarazioni della teste, una ‘deduzione‘ e non un ‘fatto’ […] L’affermazione perentoria secondo la quale la ragazza si era gettata intenzionalmente dalla terrazza altro non era quindi che una ‘deduzione’ che Francisca Puga aveva effettuato sulla base di altra ‘percezione’ […] circostanza quest’ultima compatibile sia con la condotta di chi si lascia cadere intenzionalmente nel vuoto, sia con chi viene colto di sorpresa dalla improvvisa mancanza di un appoggio o di un appiglio e non ha tempo di porre in essere alcuna manovra”.

Vanneschi e Albertoni colpevoli – ecco le prove secondo la Corte d’Appello

I graffi sul collo di Albertoni

“Il processo non ci consegna una sola ragione, un solo motivo plausibile per il quale Martina Rossi, che si era recata presso la stanza 609 al fine di trascorrere un po’ di tempo prima di rientrare nella propria camera e mettersi a dormire, spinta non certo da un interesse nei confronti dei ragazzi che alloggiavano presso la camera 609, ma semplicemente dalla necessità di non costituire intralcio per le due amiche che stavano intrattenendo un rapporto amoroso con i rispettivi ragazzi, dovesse aggredire senza motivo Albertoni Alessandro, con una condotta che non trova ragionevole fondamento in alcuna effettiva acquisizione processuale, se non nel racconto di Albertoni Alessandro, il quale si è rivelato completamente mendace.

E dunque occorre dare ragionevolezza alle lesioni al collo inferte ad Albertoni Alessandro da parte di Martina Rossi, e l’unica spiegazione ragionevole alternativa a quella fornita dall’imputato, la quale non ha retto al vaglio degli elementi processuali acquisiti, è che Martina Rossi abbia graffiato Albertoni Alessandro nel tentativo disperato di difendersi dalla condotta aggressiva di quest’ultimo, nel corso della quale venivano anche strappati di dosso a Martina Rossi i pantaloncini del pigiama che indossava”.

Albertoni era nella stanza 609 quando Martina è precipitata

“Secondo le ultime dichiarazioni di Albertoni, quest’ultimo si sarebbe trovato in compagnia di Isabella Cambiaso e Alessia Nicastro, e tutti si stavano recando verso l’ascensore sito al primo piano per salire alla camera 609 quando avrebbero sentito ‘un tonfo sordo’ e contestualmente un ‘urlo forte’, che Albertoni riferisce come lanciato da ‘una signora’, che altri non sarebbe se non Francisca Puga, la quale, entrando nell’albergo, si sarebbe incontrata con l’imputato e con Isabella Cambiaso.

Questa ricostruzione è assolutamente fantasiosa.Isabella CambiasoAlessia Nicastro hanno mai riferito in questo processo di aver udito un urlo forte e di aver percepito un tonfo sordo, né di aver percepito ciò che era accaduto a Martina Rossi dal tonfo e da un urlo percepiti mentre si trovavano in compagnia di Albertoni Alessandro.

Entrambe le ragazze hanno sempre riferito di essere state avvisate di ciò che era accaduto da Vanneschi Luca, al momento in cui quest’ultimo usciva dalla porta dell’ascensore […] Ma vi è di più. Secondo le dichiarazioni rese da Francisca Puga […] la donna, dopo aver visto precipitare la ragazza, si era messa alla ricerca del suo corpo davanti all’albergo ed entrando nell’albergo non aveva certamente incontrato nè Albertoni Alessandro né Isabella Cambiaso né Alessia Nicastro […] Né peraltro Francisca Puga Escuder ha mai fatto cenno di aver ‘lanciato un urlo’ […]  Si tratta, all’evidenza, di una ricostruzione completamente falsa e certamente maldestra […] che tenta di accreditare la versione secondo la quale, al momento in cui Martina Rossi precipitava dal terrazzo della camera 609, Albertoni non si trovava all’interno della camera, ma altrove”.

Martina Rossi venne picchiata prima di precipitare dal 6° piano

Per quanto attiene alle lesioni escoriative alla gamba sinistra, queste ultime, se sicuramente non compatibili con un impatto del corpo di Martina Rossi con la soletta del primo piano […] sono tuttavia compatibili con un evento lesivo che Martina Rossi si può essere procurata nella fase di scavalcamento del terrazzo della camera 609. Per quanto attiene invece al quadro lesivo all’occhio sinistro, alle labbra, alla spalla sinistra, che certamente non è compatibile con la precipitazione del corpo di Martina Rossi da un’altezza di 21 m sull’asfalto, questa tipologia di lesioni è sicuramente compatibile con una colluttazione avvenuta fra Martina Rossi e Albertoni Alessandro all’interno della camera 609 (o con entrambi gli imputati, qualora si prescinda dalla reciprocità delle lesioni)”.

La caduta di Martina e la “sbeccatura” sul terrazzo

Secondo la Corte “Martina Rossi precipitò dal terrazzo della camera n.609 dell’albergo ove si trovava alloggiata, mentre era posizionata sulla parte destra del terrazzo, trascinando nella sua caduta il pezzo di calcestruzzo mancante dal muretto di separazione della camera n.609 con la camera n.611, il quale si staccò in conseguenza dell’azione meccanica posta in essere da Martina Rossi (e che probabilmente ne cagionò la perdita di equilibrio), e, precipitando al suolo, produsse la sbeccatura posta sul terrazzo del primo piano sulla proiezione della parte destra del terrazzo della camera 609 dell’albergo”.

I pantaloncini mai ritrovati

“I pantaloncini che Martina Rossi indossava non venivano rinvenuti all’interno della camera 609, e quindi conseguentemente si deve ritenere che qualcuno provvide a toglierli dalla ‘scena del crimine’. Sicuramente non gli inservienti dell’albergo, poiché quest’ultimi non avevano alcun motivo di asportare un indumento da quella camera, né risulta dagli atti del processo che lo abbiano fatto; né tantomeno gli agenti di polizia, i quali, qualora avessero rinvenuto i pantaloncini del pigiama della ragazza, li avrebbero certamente repertati in sede di sopralluogo, e ne avremmo trovato traccia negli atti di polizia acquisiti al processo. E se Martina Rossi non si era certamente sfilata da sola i pantaloncini per il caldo (nel qual caso avremmo dovuto rinvenirli all’interno della camera 609, abbandonati in qualche angolo della camera) evidentemente i pantaloncini le furono tolti da qualcuno che era presente nella camera, e che ha provveduto successivamente ad occultarli, ragionevolmente perché l’indumento si era evidentemente lacerato al momento in cui era stato tolto con violenza alla ragazza, e non era facile spiegare tale lacerazione”.

Le intercettazioni ambientali

Elemento chiave, secondo la Corte, è la conversazione tra Albertoni e Vanneschi registrata negli uffici della Questura di Genova, il 7 febbraio 2012, prima dell’interrogatorio dei due giovani aretini.

Albertoni Alessandro: “E’ una rottura, di quegli spaccamenti…ora starà chiuden…c’è scritto…sul cadavere non ci sono…non vi sono riportati segni di violenza…di tipo sessuale (ndr alzando iI pugno destro in segno di vittoria mentre Vanneschi Luca annuisce) Sentirsi dire una cosa lì ye-ye urlo, urlo”.
Vanneschi Luca: (incomprensibile)
Albertoni Alessandro:Fottàti, sul corpo non ci sono violenze sessuali”.
Vanneschi Luca: “E che lei s’è butta’…s’è buttata?”
Albertoni Alessandro (alza le spalle): Un ghio so. L’aveva chiusa lei (portandosi l’indice della mano destra alla fronte) è pazza! Annamo…ma che testimone (incomprensibile) che nn era normale”.
Vanneschi Luca (alzando le spalle): “Ah sì, che un si cavava più”.
Albertoni Alessandro (ride) “E’ stato bello eh? Ti giuro che io e te ricordarsi di quanto salati s’era (ndr modo di dire il cui significato è ‘ricordarsi quanto eravamo sballati’) Boia! C’è stato un momento che (incomprensibile) io ero ‘volato'”.
Vanneschi Luca: “Eh sì”.

  • Albertoni Alessandro manifestava soddisfazione per il fatto di essere riuscito a ‘sbirciare’ sui fogli lasciati incustoditi dalla funzionaria di polizia che lo stava interrogando, la circostanza che le indagini non si stavano orientando verso l’ipotesi della violenza sessuale. Il riferimento alla violenza sessuale è un dato acquisito al processo, e assolutamente incontrovertibile dall’esame del documento registrato in atti;
  • Le dichiarazioni di Albertoni Alessandro fanno riferimento esplicito alla circostanza che la mattina in cui è avvenuto il fatto sia lui che Vanneschi Luca erano ‘sballati’, e quindi avevano effettivamente fatto uso di sostanze stupefacenti; ragionevolmente l’hashish di cui avevano disponibilità, anche se non è dato sapere se ciò sia avvenuto prima dell’arrivo di Martina Rossi nella camera 609, o dopo che Martina Rossi era arrivata nella camera;
  • al momento in cui avveniva la registrazione l’indagine non conosceva l’ipotesi investigativa della violenza sessuale, che quindi era un tema assolutamente fuori dal processo in quella specifica fase. Questa circostanza è documentata da un atto processuale che è stato lungamente di omicidio volontario, imputazione questa che è anche adesso fuori dal processo, ma piuttosto perché fotografa in maniera incontrovertibile come alla data del 19 novembre 2013 l’ipotesi accusatoria secondo la quale la caduta di Martina Rossi dal terrazzo della camera 609 dell’albergo fosse stata causata da un’aggressione a sfondo sessuale che aveva determinato la fuga della ragazza, ed il tentativo di sottrarvisi attraverso il passaggio da un terrazzo all’altro dell’albergo, fosse un’ipotesi per l’appunto fuori dal processo, di nessuna consistenza, mai fatta da alcuno; che non traspariva neppure nelle pieghe delle carte processuali.

Che senso avrebbe avuto parlare il 7 febbraio 2012 di violenza sessuale se il processo non coltivava tale investigazione, e quindi non vi poteva essere alcun rischio, sotto quel profilo, conoscibile dagli imputati. L’interesse (o per meglio dire la gioia irrefrenabile) per l’accertamento che tale ipotesi investigativa non era nelle carte degli investigatori derivava quindi, ragionevolmente, dal fatto che entrambi gli imputati, Albertoni Alessandro e Vanneschi Luca, ben sapevano che quell’ipotesi investigativa era invece estremamente fondata, e avrebbe creato loro non pochi problemi qualora fosse entrata fra le Ipotesi investigative del processo. Questa è l’unica lettura ragionevole”.

I turisti danesi vicini della stanza 609

Altra testimonianza chiave, secondo la Corte, è quella dei due turisti danesi che soggiornavano nella stanza accanto alla 609. 

Richiesto che cosa avesse sentito la mattina del 3 agosto 2011, Lars Jensen riferiva di essere stato svegliato perché c’era stato un ‘urlo forte’ e dopo c’erano tante grida e tanta confusione giù in basso sul piazzale e qualcuno che correva fuori nel corridoio. Il teste riferiva di aver sentito una persona correre nel corridoio e che aveva avuto la sensazione che la persona che aveva sentito correre nel corridoio provenisse ‘dalla camera accanto alla nostra’ […]

Veniva poi chiesto al testimone se l’urlo che aveva udito, e che lo aveva svegliato, era riferibile a un uomo oppure a una donna, ed il teste riferiva con certezza che l’urlo era ‘l’urlo di una donna’, ed era talmente forte che lo aveva appunto svegliato, avendo la porta del balcone aperta. Lars Jensen riferiva infine di aver sentito provenire dal balcone della camera 609 più volte l’odore di hashish, ma di non aver mai visto nessuno che fumava hashish sul terrazzo.

Dal complesso delle emergenze processuali, la persona che, proveniente dalla camera 609, si gettava correndo giù per le scale altri non era ragionevolmente se non Albertoni Alessandro […] e la contestualità dell’urlo fa ritenere che quindi Albertoni Alessandro fosse presente all’interno della camera 609 quando Martina Rossi precipitava dal terrazzo. E d’altra parte la persona che usciva dalla camera 609 precipitandosi lungo le scale non poteva essere Vanneschi Luca, per la semplice ragione che Vanneschi Luca utilizzò l’ascensore per recarsi al primo piano. Le testimonianze su questo specifico punto sono pacificamente acquisite al processo, e specialmente quella di Alessia Nicastro, che aveva il ricordo nitido delle porte dell’ascensore che si aprivano e di Vanneschi Luca che usciva dando la notizia che Martina Rossi era ‘caduta’

Le circostanze nelle quali Martina Rossi ebbe ad urlare non sono state accertate nel giudizio – se cioè si trattasse di un urlo lanciato nel corso della aggressione subita, o nel momento della precipitazione – e tuttavia, stante il racconto del teste Lars Jensen, ed il brevissimo lasso di tempo che intercorse tra l’urlo e la percezione della uscita dalla camera 609 di qualcuno che si precipitò giù per le scale, deve ritenersi ragionevole che la ragazza abbia urlato nel momento in cui perdeva la presa sul terrazzo al confine fra la camera 609 e 611, e precipitava nel vuoto”.

Martina era una ragazza solare

La Corte non ha dubbi. Martina Rossi era una ragazza solare, piena di vita. Per questo l’ipotesi del suicidio non è credibile.

“Il quadro è quello di una ragazza poco più che ventenne, ancora nel pieno della progettualità della vita sociale e affettiva; una ragazza ‘normale‘ alla quale nell’ultimo periodo della propria vita erano accadute soltanto ‘cose positive’ che la motivavano nel suo percorso di vita. Un quadro incompatibile con le condizioni di una ragazza che, secondo la ricostruzione degli imputati, avrebbe deciso, senza alcun motivo apparente, né alcuna ragione contingente, di mettere fine alla propria vita gettandosi dal balcone di una camera d’albergo posta al sesto piano, in una località ove si trovava per una vacanza che aveva tanto desiderato.

Certamente Martina Rossi non aveva alcun interesse per Albertoni Alessandro, cosi come l’imputato ha precisato che neppure lui aveva alcun interesse per Martina Rossi. Non vi era stato alcun rifiuto che Martina Rossi avesse dovuto subire da parte di Albertoni Alessandro.

Martina Rossi era salita nella camera609, indossando un pigiamaleggero, al solo fine di trascorrere un po’ di tempo, in attesa che Enrico D’Antonio e Federico Basetti le lasciassero la possibilità di dormire nella sua camera. La ragazza eraserena e tranquilla e ragionevolmente contenta, poiché quella mattina aveva incontrato una persona che le interessava (Mattia, ragazzo con cui si era baciata in discoteca poche ore prima di rientrare in albergo, ndr), e che avrebbe potuto costituire un progetto per il futuro. Nulla giustificava in quel contesto una volontà di porre fine alla propria vita da parte di Martina Rossi”.

Tentata violenza sessuale unica spiegazione ragionevole

Secondo la Corte l’unico motivo plausibile per la caduta di Martina Rossi dal terrazzo è il tentativo di sfuggire a una violenza sessuale da parte dei due imputati. 

“All’esito dell’esame del complessivo quadro indiziario può sostenersi che la ‘verità’ espressa dal capo di imputazione abbia assunto dignità di vera e propria ‘verità processuale’, tale da offrire l’unica spiegazione ragionevole agli elementi indiziari che il processo ha faticosamente acquisito, e che, nella loro molteplicità, sono tutti convergenti nell’affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio […] che Martina Rossi, la mattina del 3 agosto 2011, precipitò dal balcone della camera 609 dell’albergo Sant’Ana di Palma di Maiorca nel disperato tentativo di sottrarsi ad una aggressione a sfondo sessuale posta in essere in suo danno da entrambi gli imputati.

Si è a lungo esaminato il quadro complessivo degli elementi indiziari che portano a ritenere che Martina Rossi cercò rifugio nel terrazzo della camera 609, decidendo di oltrepassare il muretto divisorio con la camera a fianco, quella ove dormivano Lars Jensen e Bunger Philips Thalassa; e che nel tentativo di attraversare il muretto divisorio la ragazza perse l’equilibrio, forse anche a causa del distacco di quel pezzo di muretto che poi, nella caduta, provocava la sbeccatura sul muretto al primo piano dell’albergo, e venne udita gridare da Lars Jensen Bunger Philips Thalassa, e venne vista cadere da Francisca Puga Escuder”.

Vanneschi e Albertoni, i perché della condanna

“Negli atti vi è la prova che, al momento in cui Martina Rossi precipitò dal terrazzo della camera nel tentativo di sottrarsi alla aggressione sessuale, all’interno della camera 609 non soltanto erano presenti entrambi gli imputati, ma entrambi portarono un contributo causale alla consumazione del reato.  Era presente Vanneschi Luca per sua stessa ammissione; era presente Albertoni Alessandro […].

Per quanto attiene alle condotte degli imputati, la presenza dei graffi sul collo di Albertoni e di lesioni non compatibili con la caduta al suolo sul corpo di Martina Rossi fanno ritenere accertato in causa che all’interno della camera 609 avvenne una colluttazione tra l’imputato e la ragazza; colluttazione anche particolarmente violenta, tanto da determinare quella condizione di panico che spinse Martina a trovare rifugio sul terrazzo della camera, e durante la quale evidentemente si lacerarono i pantaloncini che indossava la ragazza.

Con specifico riferimento alla condotta ascritta al Vanneschi Luca, che è privo di segni evidenti di colluttazione, possiamo certamente affermare che l’imputato era sveglio, contrariamente a quanto da lui sempre sostenuto, e sotto l’effetto dell’hashish che aveva consumato immediatamente prima con l’Albertoni.

È ragionevole ritenere che Vanneschi spalleggiò l’amico e si frappose fra Martina e la uscita dalla camera dalla porta di ingresso. Martina, sfuggita alla aggressione di Albertoni, evidentemente trovò la via di fuga bloccata, e avvertì la ostilità di entrambi gli imputati, tanto che scelse la via di fuga più rischiosa, che infatti mise fine alla sua esistenza. Se Vanneschi Luca avesse aiutato la ragazza, la morte di Martina si sarebbe potuta evitare […] Tutta la condotta dell’imputato Vanneschi, fino dalla immediatezza, porta a ritenere la sussistenza di un concorso nel reato e non di una semplice connivenza. Vanneschi Luca era ben sveglio e sotto l’effetto di stupefacenti e, quand’anche si voglia ritenere non provata una sua diretta condotta aggressiva, contribuì certamente ad impedire a Mattina la via di fuga attraverso la porta di ingresso della camera, con ciò ponendo in essere una condotta causalmente efficiente. 

Vanneschi al pari di Albertoni fino da subito iniziò quella condotta di inquinamento processuale attuata attraverso un mendacio sistematico, sicuramente diretto a ‘coprire’ le responsabilità dell’amico ma volto anche a coprire le proprie responsabilità. E’ di tutta evidenza infatti che Martina dovette percepire la presenza di Vanneschi come ostile, se invece di cercare il suo improbabile aiuto cercò scampo nella fuga sul terrazzo, e nel tentativo di scavalcamento del muretto divisorio tra la camera numero 609 e la camera numero 611 che le costò la vita.

Morte come conseguenza di altro reato

Per la Corte il reato di “morte come conseguenza di altro reato” è dimostrato, ma non perseguibile in quanto prescritto.

“In ogni caso deve rilevarsi come la valutazione delle condotte accertate in relazione al delitto di tentata violenza di gruppo […] porta a ritenere che fosse assolutamente prevedibile che Martina, bloccata da entrambi gli imputati la via di fuga che passava dalla porta di accesso alla camera, avrebbe cercato la via di fuga nel terrazzo, poiché l’uscita dalla porta di Ingresso le era preclusa; e quindi era assolutamente prevedibile che indurre la ragazza a cercare ‘scampo’ attraverso il terrazzo comportava la preventiva valutazione che la ragazza, nel tentativo di fuggire, potesse mettere in atto azioni che la esponevano al rischio oggettivo di precipitare dal terrazzo della camera di albergo. In questa valutazione si ritiene integrato il dolo del delitto rubricato dl cui all’art. 586 c.p. Tuttavia occorre prendere atto che il delitto di cui all’art. 586 c.p. risulta prescritto nei mesi immediatamente successivi al giudizio di primo grado, con la conseguenza che il reato deve essere dichiarato estinto per sopravvenuta prescrizione”.

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