E’ una sentenza sorprendente, nella sua perentorietà, quella con cui la Cassazione ha accolto il ricorso della curatela fallimentare e della Procura Generale, ribaltando la pronuncia della Corte d’Appello e confermando il fallimento della Porto di ImperiaSpa, società incaricata della gestione del porto turistico di Imperia, travolta dagli scandali giudiziari che portarono all’arresto, nel 2012, dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone.
Lascia oggettivamente perplessi il fatto che, per la pronuncia di una sentenza così tranchant, ci siano voluti sei lunghi anni. La Corte d’Appello, infatti, annullò il fallimento della Porto di Imperia Spa nel lontano gennaio 2015, appena 8 mesi dopo la sentenza di insolvenza pronuncia dal Tribunale del capoluogo.
La Porto di Imperia Spa, lo ricordiamo, gestiva il porto con una concessione cinquantennale (poi revocata). Era composta da tre soggetti, tutti al 33%, Comune di Imperia, Acquamare (società facente capo a Caltagirone) e Imperia Sviluppo (società riconducibile all’imprenditore Gianfranco Carli).
Cassazione conferma fallimento Porto Imperia Spa
Quali erano le contestazioni
Secondo la Corte d’Appello la sentenza di fallimento è stata “pronunciata d’ufficio” e ne ha pertanto dichiarato la nullità.
- Ha rilevato che la richiesta di fallimento avanzata dal P.M. all’udienza fissata ai sensi dell’art. 162 I. fall. era stata implicitamente rigettata, stante l’ammissione di Porto di Imperia alla procedura di concordato preventivo e che, comunque, andava escluso che i suoi effetti potessero sopravvivere al provvedimento di ammissione;
- ha ritenuto che tale richiesta non costituisse atto di impulso idoneo ad integrare la condizione di procedibilità di cui all’art. 173, 2° comma I. fall. nell’ambito del distinto procedimento di revoca del concordato;
- ha inoltre evidenziato che il fallimento non avrebbe potuto essere dichiarato neppure in forza dell’analoga richiesta contenuta nella memoria depositata dal P.M. nel corso del procedimento di revoca, mai comunicata a Porto di Imperia, in quanto il rispetto del diritto di difesa del debitore esige che la domanda di fallimento sia portata a sua conoscenza.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione ha smontato le contestazioni della Corte d’Appello, senza risparmiare anche alcune critiche.
- E’ circostanza pacifica che, con decreto del 26.3.2014, il giudice delegato alla trattazione del procedimento ex art. 173, 2° comma, I. fall. fissò al 14.5.2014 l’udienza di comparizione, assegnando termine alle parti per la presentazione memorie fino a 7 giorni prima di detta data: nell’ambito della fase di revoca, dunque, il giudice aveva previsto lo scambio di scritti difensivi mediante il loro deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 170 cod. proc. civ..
Ne consegue che, secondo quanto stabilito al 4° comma di tale disposizione, inspiegabilmente ignorata dalla corte territoriale, la memoria depositata dal PM il 14.4.2014, contenente la richiesta di fallimento di Porto di Imperia, doveva ritenersi ritualmente comunicata alla società e che nessuna ulteriore comunicazione era necessaria al fine della regolare instaurazione del contraddittorio sull’istanza e del rispetto del diritto di difesa della debitrice.
Tanto basterebbe alla cassazione della sentenza impugnata”.
I giudice della Corte Suprema precisano anche che
- Va ricordato che il P.M. […] partecipa ordinariamente al procedimento, oltre che attraverso l’eventuale deposito di note autorizzate […] rassegnando le proprie conclusioni orali; queste possono comprendere non solo una valutazione negativa della proposta concordataria, ma anche l’eventuale richiesta di fallimento […] senza che vi sia la necessità che tali conclusioni si traducano in un formale ricorso da notificare al debitore.
- Va rilevato che la possibilità che all’esito dell’udienza fissata per la revoca del concordato sia dichiarato il fallimento è espressamente prevista al 2° comma dell’art. 173, sicché non v’è alcuna necessità che il decreto del giudice delegato di convocazione delle parti contenga una specifica indicazione in tal senso.
- Non è contestato il fatto che l’udienza del 14.5.2014 […] si è tenuta alla presenza dei rappresentati della società fallenda ed anche del P.M., il quale ha rassegnato le proprie conclusioni riportantosi alla memoria difensiva datata 4.4.2014, ove era stata avanzata formale istanza di fallimento della società Porto d’Imperia s.p.a.
- E’ indubbio che non potesse più porsi alcun problema di corretta comunicazione dell’istanza; né, sotto altro profilo, la sentenza dichiarativa avrebbe potuto essere ritenuta nulla per la mancata concessione alla debitrice di un apposito termine per replicare alla richiesta di fallimento, non solo perché la replica ben avrebbe potuto essere contenuta in apposita memoria o essere esposta oralmente all’udienza, ma perché neppure risulta che in sede di reclamo la società fallita avesse lamentato un concreto pregiudizio del proprio diritto di difesa derivato dalla mancata assegnazione del termine.
- è palesemente errato in diritto l’ulteriore assunto del giudice del merito, secondo cui l’ammissione alla procedura di concordato preventivo della società debitrice avrebbe determinato l’implicito rigetto dell’istanza di fallimento già presentata dal P.M.
- va rilevato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva […] impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento […] ma non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M., né ne consente la sospensione”.