“La sua perdita è incolmabile e mi auguro che la sua eredità culturale sia preservata e divulgata come merita e difesa nel modo migliore possibile. Non dimenticherò mai i viaggi, le cene e i momenti di lavoro vissuti insieme”.
Con queste parole commosse il discografico imperiese Stefano Senardi ricorda il maestro Franco Battiato, scomparso lo scorso 18 maggio a seguito di una lunga malattia.
Legati, oltre che per rapporti di lavoro, da una profonda amicizia, Senardi e Battiato hanno condiviso negli anni moltissimi momenti insieme. La notizia della sua scomparsa è stata quindi un duro colpo per il discografico imperiese, che ha deciso di ricordarlo pubblicamente solo a distanza di alcune settimane.
Ecco cosa ha raccontato a ImperiaPost.
Imperia: Stefano Senardi ricorda Franco Battiato
“Da quando se n’è andato io, volontariamente, mi sono isolato dai social e dalla possibilità di interviste o racconti, fino a questo momento. L’unica eccezione è stata per un vecchio caro amico de “El Pais”, il famoso quotidiano spagnolo, con il quale ho sempre avuto un rapporto speciale, che ha sempre seguito Franco. In Spagna era rispettato e seguito come da noi. Un giorno mi piacerà raccontare anche le nostre avventure spagnole con lui e Manlio Sgalambro, la vera rockstar della coppia, il filosofo siciliano autore dei testi degli ultimi lavori di Franco. Ma questo è un altro discorso che merita un racconto a parte”.
Quale rapporto legava lei e Franco?
“Il legame con Franco è stato qualcosa di più che un rapporto di lavoro, iniziato ancora prima che firmasse il contratto con me alla Polygram. Insieme abbiamo trascorso tante vacanze di Natale ed estive. Abbiamo viaggiato in India, in Turchia, in Grecia. Trascorrevamo il tempo insieme quando Franco registrava o suonava dal vivo, a New York, a Parigi (dove abbiamo registrato ‘L’Imboscata’) a Siviglia (dove ha concepito l’idea di ‘Fleurs’, che poi ha realizzato in soli due giorni con cinque musicisti in uno studio che aveva creato all’interno di un frantoio di fianco alla sua casa di Milo, sulle pendici dell’Etna).
Ho sempre ammirato la sua immensa cultura e la sua discrezione sotto tutti gli aspetti, anche durante gli ultimi periodi della sua vita, la sua curiosità verso tutti i mondi musicali possibili. Proprio quella curiosità lo ha spinto sempre ad approfondire temi che andavano oltre la musica, dalla fisica quantistica al misticismo tibetano. Ha lavorato per tutta la vita allo studio del passaggio da un’esistenza all’altra e spero proprio che avesse ragione perché mi consola pensare che ora stia sperimentando una grande rinascita”.
Quando è iniziato il vostro rapporto lavorativo?
“Dopo 20 anni con la EMI, nel 1996 l’ho convinto a venire alla Polygram e insieme abbiamo realizzato tre album: ‘L’imboscata’ (dove è contenuta ‘La cura’), Gommalacca (che giudico uno degli album più belli) e Fleurs (il primo disco di cover realizzato da un artista italiano).
Sceglievamo insieme tutto, arrangiamenti, copertina. È stato sempre gratificante, per via del rapporto di grande fiducia e confidenza che c’era”.
A quali canzoni di Battiato è più affezionato?
“Sono tantissimi i suoi brani che amo. Dal giorno in cui è mancato a oggi (un paio di volte l’ho anche sognato) ci sono alcune canzoni in particolare che mi sono tornate in mente in continuazione: ‘Il re del Mondo’, “Oceano di Silenzio’ e ‘Lode all’inviolato’.
Mi è tornato in mente anche il video di ‘Voglio vederti danzare’, un altro brano indimenticabile. Guardando la clip, ci si rende conto come certe persone possano far diventare delle cose piccole veramente grandi e come possano dare a tutti la possibilità di interpretazione e di immedesimazione universale. In quel video Franco realizza una sintesi perfetta tra l’evidente solennità della sua intenzione intellettuale e una maldestra, quasi goffa, realizzazione corporea. L’effetto che crea è di pura gioia, almeno per me. C’è ironia per la coreografia pop del periodo, in perfetta sintonia con il rispetto sacrale verso le culture che ritengono il ballo un momento di altissimo valore.
In qualche modo ci libera tutti. Il suo è un invito al ballo sia per quelli che hanno conoscenze, che siano tecniche o antropologhe, sia per quelli che si muovono in modo spontaneo e magari impacciato”.
Un ricordo che la fa sorridere?
“Mi viene in mente una delle nostre tante vacanze. Ci trovavamo in Sicilia, dove Franco aveva affittato una casa grandissima dove invitava a turno tanti ospiti. Gli piaceva molto essere circondato da amici e dai suoi familiari, suo fratello Michele, la moglie di lui Graziella e la figlia Cristina a cui era molto legato. Amava potersi prendere la libertà, anche per una giornata intera, di starsene per conto suo mentre gli altri si godevano le passeggiate, le gite, le cene e tutto il resto. Ogni tanto riappariva e si stava tutti insieme e ci divertivamo molto. Il gruppo era veramente variegato. C’era un grande senso di libertà e qualcosa che ci legava sentimentalmente anche da un punto di vista intellettuale, pur essendo tutti di formazione e impostazioni mentali diverse. Lui diventava il catalizzatore dei nostri migliori sentimenti.
Alcune sere facevamo una specie di cineforum: cercavamo dei film abbastanza complicati che avevamo portato per vedere insieme e poi li commentavamo anche seriamente, ma il motivo finale era quello del divertimento e del confronto.
Ricordo che una sera, mentre tornavamo a casa, ci siamo trovati davanti a una scalinata veramente complicata per le mie gambe. Franco si offrì di portarmi quasi in braccio, ma per fortuna non lo fece perché saremmo sicuramente rovinati a terra e ci saremmo anche fatti male, pur prendendola in ridere. A quel punto ci venne in soccorso Willem Dafoe che dimostrò di avere una muscolatura possente. Mi resi conto che tutti quegli esercizi di qualche arte marziale che praticava sopra il tetto all’alba a qualcosa servivano. Ci trasportò praticamente a braccia in cima alla scalinata tutti e due. Ridevamo come dei pazzi.
Sono mille i ricordi anche legati alle giornate di lavoro. Credo di essere stato uno dei pochi a passare del tempo con lui a discutere dei suoi lavori, dai brani ai titoli, fino alle copertine, e ogni volta che gli piaceva qualche mia idea mi sentivo un gigante. È tanto il bene e il rispetto che ci siamo voluti.
Penso di non aver mai conosciuto una persona con una cultura così profonda e nello stesso tempo così semplice e disponibile, nella sua discrezione verso il resto del mondo”.
Cosa significa questa perdita per lei e per il mondo della musica?
“Inutile sottolineare il mio profondo dolore e quanto sia stata grave e profonda la perdita di questa persona eccezionale per me, così come per tutti quelli che l’hanno conosciuto e apprezzato come uomo e come artista. Ci mancherà tanto.
La sua perdita è incolmabile e mi auguro che la sua eredità culturale sia preservata e divulgata come merita e difesa nel modo migliore possibile e possa essere utile un po’ a tutti, soprattutto ai giovani”.
Gaia Ammirati