14 Novembre 2024 06:16

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14 Novembre 2024 06:16

Imperia: “Acqua e beni comuni, indietro non si torna!”, venerdì 11 giungo in Prefettura la consegna del documento firmato da cittadini e associazioni

In breve: Sono stati raggiunti più di 800 contatti.

Le persone e le associazioni imperiesi che hanno sottoscritto l’appelloAcqua e beni comuni, indietro non si torna!”, venerdì 11 giugno alle ore 10, consegneranno il documento in Prefettura. 

Imperia: “Acqua e beni comuni, indietro non si torna!”, venerdì 11 giugno la consegna di un documento in Prefettura

“L’iniziativa si pone tra le molte proposte in preparazione alla manifestazione nazionale del 12 giugno a Roma per il decennale dei Referendum del 2011.

Una straordinaria affermazione dei SI che oggi come ieri è il presupposto per un Piano di ripresa e resilienza dei territori, che garantisca i diritti fondamentali e una reale transizione ecologica, sottraendo i servizi pubblici essenziali alle privatizzazioni, il paesaggio al cemento, la cura delle persone e del territorio alle mercificazioni”.

“L’appello è rivolto alla cittadinanza, alle associazioni e ai movimenti quale monito delle ragioni che, oggi come ieri, pongono la difesa dei beni comuni, necessari ed emergenti al centro delle comunità locali.

Acqua e beni comuni: indietro non si torna! A 10 anni dal referendum, per un Piano di ripresa e resilienza dei territori

A 10 anni dalla vittoria referendaria, che vide anche ad Imperia la straripante vittoria dei SI, l’acqua e i beni comuni sono ancora sotto attacco.

L’emergenza sanitaria ha messo ancor più in evidenza che l’acqua è la prima cura e che senza i diritti fondamentali la nostra società è sempre più fragile. La natura sindemica della pandemia dimostra che quanto accaduto non è un evento occasionale, ma favorito dalla relazione troppo spesso irresponsabile tra le attività dell’uomo e le delicate condizioni ambientali.

Le soluzioni individuate nel PNRR ripropongono le stesse privatizzazioni di allora, la finanza globale è sempre più spregiudicata nel fare profitto mentre la crisi climatica ed ambientale impongono una sempre più urgente inversione di rotta per la sua conservazione.

Queste problematiche sono ben presenti anche nella nostra provincia e la vicenda di Rivieracqua è la metafora più evidente della mortificazione dell’esito referendario.

Il servizio idrico è un settore assolutamente strategico per il territorio e la sua gestione deve restare pubblica, poter garantire il reinvestimento dei ricavi nella manutenzione e nella tutela della risorsa acqua dalla captazione alla depurazione.

Ma più in generale, i servizi pubblici locali sono un business che fanno gola a molti e la loro gestione da parte di privati, che hanno l’obiettivo di massimizzare i profitti, genera gravi problemi sul territorio.

Può essere il caso del trasporto pubblico locale e di RT, la cui drammatica situazione debitoria frutto negli anni di cattive gestioni, ma anche di scelte societarie a dir poco avventate (si pensi alla partecipazione in altre Società o ai Bus ad idrogeno) piuttosto che di investimento per il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del servizio. La crisi sanitaria ha messo in luce quanto sia essenziale una mobilità pubblica e di qualità, omogenea ed ecocompatibile; una situazione che da sola renderebbe necessario il superamento del concetto di tariffazione (che copre solo il 36% dei costi del servizio) per spostare l’intero carico della spesa sulla fiscalità generale.

Sono anche le logiche del mercato e di crescita che inducono gli enti locali a privatizzare i servizi educativi e socio-sanitari, a disfarsi dei propri beni per fare cassa, sia il caso di Villa Angerer o del restyling del Porto Vecchio a Sanremo; o a promuovere piani urbanistici che non affrontano l’arresto al consumo di suolo, una risorsa esauribile al pari dell’acqua, ma continuano a prevedere nuove cementificazioni a fronte di riqualificazioni virtuose.

Non si cura un territorio conferendo maggiore edificabilità.

La grande colata grigia che già in passato, in una regione fragile come la Liguria, ha riguardato i centri urbani e più di recente le coste, continua con le opere ritenute strategiche. A Taggia la realizzazione di un’unica struttura ospedaliera, in un’area a rischio idrogeologico, completa un processo urbanizzativo di aree da sempre naturali a vocazione agricola, in poli commerciali e di servizi. Ancora una volta un progetto che contraddice le necessità messe in luce dall’emergenza epidemiologica, la quale richiederebbe una maggiore capillarità della risposta sanitaria, incentrata su un rafforzamento della medicina territoriale, in un contesto orografico del ponente così articolato.

Lo spirito e gli obiettivi di quella stagione referendaria, sono quanto mai attuali e necessari per porre al centro i territori e le comunità di riferimento, e consentire ai Comuni, messi a dura prova da anni di austerità, di esercitare a pieno titolo la propria storica funzione pubblica e sociale.

Se non vogliamo che tutto torni come prima per non ripetere le scelte economiche ed ambientali che hanno prodotto le attuali crisi, va pretesa la sospensione del Patto di stabilità interno e del pareggio di bilancio per i Comuni, analogamente a quanto concesso dall’UE per gli Stati.

Il presupposto per un nuovo sviluppo territoriale, che garantisca i diritti fondamentali e una reale transizione ecologica, è quello di sottrarre i servizi pubblici essenziali alle logiche del mercato, attraverso una nuova gestione partecipativa dei lavoratori e della cittadinanza, che vada oltre il pubblico, sia appunto comune.

C’è bisogno di un rilancio di quel protagonismo sociale che sappia rivendicare un Recovery PlanET, per costruire un’alternativa di società, la Società della cura, fuori dall’economia del profitto”.

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