“La domanda che ci è stata fatta più spesso negli anni è: ‘ma se poi ve li tolgono?’. Noi abbiamo sempre risposto: ‘saremo felici per loro. Sarà dura separarsi, ma ne usciremmo tutti arricchiti’.
Quello che conta è la consapevolezza di essere stati un momento importante nelle loro vite. L’affido è un gesto d’amore che non rimane fine a se stesso. È parte integrante della storia del bambino e della tua. È proprio come essere genitori. Quando si dà la vita a un figlio, quel figlio non è di tua proprietà. Prima o poi, dopo i 18 anni, prenderà la sua strada e come genitore devi accettarlo e supportarlo, non tenerlo legato a te a tutti i costi”.
Sono queste le parole di P. e F., una coppia residente nell’imperiese che, 14 anni fa, ha deciso di entrare nel mondo dell’affido, prendendo per mano prima M. e poi V., iniziando un’avventura che ha cambiato le loro vite.
In occasione dei 25 anni dell’Associazione Progetto Famiglia di Imperia, l’associazione che ha fondato Casa Pollicino, ImperiaPost ha deciso di raccontare la storia di una famiglia affidataria, per mostrare cosa significa nel concreto affrontare questo percorso.
Imperia: quando l’amore non ha confini. La storia di una famiglia affidataria
Com’è iniziata la vostra avventura nel mondo dell’affido?
“Tutto è iniziato fin da quando ci siamo conosciuti. Avevamo entrambi già 36 anni, ci siamo sposati e avevamo tutti e due il desiderio di diventare genitori. Eravamo già aperti all’idea di adozione o affido, dato che io, P., conoscevo già da tempo Nazzareno Coppola, ed ero entrato a far parte dell’associazione, inserendomi nel mondo del volontariato.
Due anni dopo il matrimonio siamo andati a parlare con Nazzareno per avere consigli su quali passi potevamo compiere. Inizialmente propendevamo per un’adozione, ma parlando con lui, è uscito fuori che c’era il caso di un bambino di due anni che avrebbe avuto bisogno di una famiglia affidataria, per un periodo non specificato. Lì per lì abbiamo detto ‘ci pensiamo’, siamo usciti dalla porta, ma, nemmeno arrivati in fondo alle scale, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che avevamo già deciso.
Siamo tornati subito indietro e abbiamo detto ‘noi ci siamo, cosa dobbiamo fare?’. Da lì è iniziato tutto. Non sapevamo nulla del bambino, solo il nome e l’età, e che probabilmente sarebbe stato un affido a lungo termine. Abbiamo iniziato gli incontri con gli assistenti sociali e la psicologa. C’erano altre tre coppie a disposizione per l’affido e alla fine siamo stati scelti noi. È stata un’emozione enorme”.
Com’è andato il primo incontro con il bambino (che chiameremo M.)?
“Non dimenticheremo mai i suoi grandi occhioni che ci guardavano intensamente. Lo abbiamo incontrato con gli assistenti sociali e la coppia che lo aveva in affido temporaneo in quel momento. Si è subito lasciato andare, abbiamo fatto un pezzo di strada per mano. Dopodiché abbiamo iniziato una serie di incontri per un passaggio graduale, finchè siamo arrivati a una mattina di giugno che lo abbiamo portato a casa nostra. Quando abbiamo chiuso la porta di casa ci siamo guardati e ci siamo detti ‘ora si comincia davvero’. Era un salto nel vuoto, l’inizio di una nuova vita, una grande emozione”.
Ci sono stati momenti difficili inizialmente?
“Lui conosceva già la casa, si trovava a suo agio. La giornata passava con tranquillità, era durante la notte che emergevano gli ‘strappi’ della sua vita. Il distacco dalla madre naturale, che non poteva prendersi cura di lui, poi la casa famiglia, poi la famiglia temporanea, poi noi. Dentro di lui c’era tanta agitazione che usciva fuori di notte. Piangeva, sfogava la tensione nell’unico modo in cui poteva esprimersi.
Fortunatamente l’affido prevede di norma gli stessi diritti di maternità che la donna ha in caso di figlio naturale. Abbiamo quindi avuto tanto tempo per dedicarci completamente a lui, con il grande supporto degli psicologi, degli assistenti sociali e della Casa Famiglia Pollicino che ci è sempre stata vicina per ogni problema anche burocratico”.
Quando è arrivata V.?
“Nel 2010. Tutto è cominciato un giorno quando Nazzareno, che passava di lì in bici, ci ha suonato al campanello. Ci ha detto che c’era il caso di una bambina che aveva bisogno di una famiglia affidataria perchè la madre non poteva occuparsi di lei e noi abbiamo subito deciso di informaci.
Inizialmente V., che aveva 7 anni, era stata portata in una casa famiglia con l’idea che presto sarebbe tornata dalla madre, che nel frattempo avrebbe dovuto affrontare un percorso di riabilitazione. Le cose, però, non sono andate come previsto, e quindi è stato necessario cercare una famiglia affidataria.
È iniziato così un lungo percorso con la psicologa per assicurarci che per M., che aveva 5 anni, non fosse un nuovo scossone. Siamo andati per gradi nell’inserimento in famiglia. La psicologa ha avuto la grande intuizione di aspettare l’inizio dell’anno scolastico per il trasferimento ufficiale. È stato fondamentale per l’avvio della convivenza. Si sono accettati a vicenda senza problemi”.
Un momento che non dimenticherete mai?
“La prima volta che ci hanno chiamati mamma e papà. M. mi ha chiamato mamma solo un mese dopo il suo arrivo – racconta F. – mentre gli cambiavo il pannolino. Mi ha guardata negli occhi e mi ha detto ‘mamma’, è stato bellissimo”.
“Il mese successivo – racconta P. – siamo andati in montagna. Io li avevo portati su e poi tornavo in città per lavoro. Un giorno sono tornato a prenderli e quando M. mi ha visto mi è venuto incontro gridando ‘papà, papà’. È stato emozionante e inaspettato, un momento che ripagava di ogni difficoltà
Anche V., pochissimo tempo dopo il suo arrivo, ci ha chiesto se poteva chiamarci mamma e papà, e noi ovviamente eravamo felicissimi”.
Com’è cambiato il rapporto tra voi due come coppia?
“È cresciuto moltissimo. Abbiamo affrontato tutto con grande forza e le difficoltà ci hanno unito ancora di più”.
Quali sono state le difficoltà più grandi?
“Sicuramente non sono stati facili i rapporti con le madri naturali. Abbiamo sempre rispettato gli incontri, sebbene provocassero grande turbamento nei bambini per giorni che alcune volte ne uscivano traumatizzati. È capitato che gli assistenti sociali mettessero davanti le esigenze del genitore naturale al benessere del bambino, senza considerare le conseguenze. In ogni caso, grazie al supporto della psicologa, che ringrazieremo sempre, e al nostro impegno quotidiano per cercare di rendere tutto più leggero, siamo riusciti ad affrontare tutto.
Eravamo preparati alle difficoltà di questo tipo, devi metterle in conto se entri nella vita di un bambino che ha già una famiglia. Invece, non eravamo affatto preparati a tutte le difficoltà burocratiche che complicano tutto. Sono stati innumerevoli i viaggi, molti a vuoto, tra uffici comunali, questure, prefetture, tribunali, per ottenere un solo documento, una semplice firma o una risposta.
Fortunatamente, l’associazione di Nazzareno ci è sempre stata vicina, assistendoci quando non sapevamo dove sbattere la testa e cercando di semplificare tutti i passaggi burocratici”.
C’è stato un momento in cui i ragazzi si sono resi conto di non essere con la loro famiglia naturale?
“In realtà, l’aspetto positivo dell’affido è che, a differenza dell’adozione, non c’è nulla di segreto. Il bambino, anche se piccolo, sa da sempre di andare in un’altra famiglia, perchè gli incontri con quella naturale sono costanti. Sta alla famiglia rendere il tutto meno destabilizzante possibile, lasciando che il bambino si ambienti con i suoi tempi.
Ricordo in particolare un disegno di M. quando era all’asilo che riassume questo concetto. Su un foglio aveva disegnato in alto la sua mamma naturale, con lui dentro la pancia, e più in basso lui che correva incontro a noi due con le braccia aperte. Questo è l’affido”.
Ora, in entrambi i casi, siete arrivati alla ‘chiusura del cerchio’, in un caso con l’adozione e nell’altro con la tutela legale. Siete felici? Com’è andata?
“Siamo felicissimi. È come essere arrivati a un traguardo, che è solo l’inizio di un’altra avventura. Adesso siamo una vera famiglia, anche se, nella pratica, non è cambiato nulla, perchè in tutti questi anni ci sentivamo già una vera famiglia.
Per quanto riguarda M., quando aveva circa 11 anni, durante uno degli incontri di routine, gli assistenti sociali ci hanno chiesto: ‘ ma non avete mai fatto domanda di adozione?’. Noi non ci avevamo mai pensato, avevamo fatto richiesta che fosse sul nostro stato di famiglia, ma non pensavamo di poter chiedere l’adozione. Così, abbiamo iniziato a muoverci. Ci sono voluti 2/3 anni, tra tutti i passaggi burocratici. Finchè, nel 2016 è arrivato il decreto di adozione. Era ‘solo’ un foglio di carta, nel nostro rapporto nulla è cambiato, ma ci ha reso felici.
Il momento più emozionante è stato all’arrivo della carta di identità. Quando M. l’ha presa in mano gli sono brillati gli occhi. Noi lo abbiamo sempre reputato nostro figlio, ma finalmente da quel momento potevamo concentrarci solo su di lui, senza più far fronte a tutte le incombenze burocratiche.
Per quanto riguarda V., quando siamo stati chiamati dal tribunale, dato che la madre non era in grado di riprenderla con sè e altri familiari non si erano fatti avanti, il giudice ci ha chiesto se volevamo adottarla. Noi eravamo disponibili, ma abbiamo rispettato la volontà di V. che voleva entrare nel nostro nucleo familiare mantenendo il suo cognome. Il giudice ha quindi nominato F. tutrice legale e patrimoniale. Siamo stati accontentati in tutto, è stata anche questa una grande soddisfazione.
Entrambi i ragazzi avevano bisogno di sentirsi una vera famiglia. Noi non abbiamo mai imposto nulla, è stato tutto naturale”.
In definitiva, cos’è l’affido per voi?
“È un’esperienza che ti cambia la vita. Porta con sè un bagaglio di sofferenze, per via del fatto che i bambini che hanno bisogno di una famiglia affidataria vengono necessariamente da situazioni di grave disagio, ma allo stesso tempo ti regala grandissime emozioni e gioie.
Rifaremmo tutto dall’inizio, non c’è mai stato un solo momento in cui ci siamo pentiti. È un impegno quotidiano, come lo è un figlio naturale, con la differenza che con l’affido devi confrontarti con tante figure, dagli assistenti sociali agli psicologi ai tribunali, e c’è da gestire il difficile rapporto dei ragazzi con la famiglia d’origine.
Guardandoci indietro adesso, che sono arrivate l’adozione e la tutela legale, vediamo tutto quello che abbiamo fatto e le soddisfazioni sono tante. M. e V. sono cresciuti, sono due adolescenti come tutti gli altri, nel loro momento di crescita e di scoperta. Si sentono a loro agio.
Noi siamo stati fortunati, abbiamo sempre avuto l’appoggio delle nostre rispettive famiglie, degli amici, e dell’associazione Progetto Famiglia di Casa Pollicino. Insieme a loro lavoriamo per ottenere sempre più diritti e migliorare il sistema dell’affido.
Il nocciolo più duro è la burocrazia, per il resto è normale che ci siano momenti di sofferenza e altri di gioia, fa parte della vita.
Il momento più bello? È stato lo scorso anno, quando tutti e 4 siamo andati in vacanza alcuni giorni a Parigi, per la prima volta da vera famiglia a tutti gli effetti. È stato indimenticabile”.
Ci sono ancora troppe poche famiglie affidatarie rispetto ai bambini che avrebbero bisogno dell’affido. Cosa direste a chi è indeciso?
“La domanda che ci è stata fatta più spesso negli anni è: ‘ma se poi ve li tolgono?’. Noi abbiamo sempre risposto: ‘saremo felici per loro. Sarà dura separarsi, ma ne usciremmo tutti arricchiti’.
Infatti, siamo convinti che anche nel caso in cui M. e V. fossero tornati alle loro famiglie naturali non avrebbero lasciato un vuoto nelle nostre vite, bensì una ricchezza: la consapevolezza di essere stati un momento importante nelle loro vite. L’affido è un gesto d’amore che non rimane fine a se stesso. È parte integrante della storia del bambino e della tua. È proprio come essere genitori. Quando si dà la vita a un figlio, quel figlio non è di tua proprietà. Prima o poi, dopo i 18 anni, prenderà la sua strada e come genitore devi accettarlo e supportarlo, non tenerlo legato a te a tutti i costi.
Anche se avessimo avuto anche figli naturali avremmo voluto lo stesso iniziare questo percorso nell’affido. Una cosa non esclude l’altra.
A chi è indeciso diremmo: perchè non farlo? È un atto di amore. Le difficoltà sono tante, come quando si decide di avere un figlio, ma l’amore ripaga di tutto”.