23 Novembre 2024 06:29

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23 Novembre 2024 06:29

“Non è un paese per mamme”. La scrittrice Paola Setti a Imperia. “In Italia vieni punita, e non valorizzata, per aver fatto un figlio”/Video

In breve: Paola Setti, giornalista, 47 anni, è l'autrice del libro "Non è un paese per mamme". Un'inchiesta sulle mamme italiane e sulle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia.

“In Italia vieni punita per aver fatto un figlio. Non c’è stato ancora un salto culturale, così come avvenuto negli altri paesi europei”. Così Paola Setti, giornalista professionista, 47 anni, ieri ospite a Imperia per presentare il suo libro “Non è un paese per mamme – Appunti per una rivoluzione possibile” edito da All Around. Un’inchiesta sulle mamme italiane e sulle difficoltà nel conciliare lavoro, carriera e famiglia.

Paola, una volta diventata mamma, si è licenziata dal giornale dove lavorava, a Milano.  Solo successivamente si è accorta di non essere un caso isolato, decidendo così di dare voce alle mamme.

Imperia: “Non è un paese per mamme” l’intervista a Paola Setti

“In Italia appena fa un figlio, non sempre, per fortuna, ma fin troppo spesso purtroppo, una donna non viene più vista come la lavoratrice in gamba, ma come un problema. Ci sono tante sfumature. Dalle difficoltà a conciliare la vita lavorativa e quella familiare, senza che mediamente nessuno ti venga incontro, ne sul posto di lavoro, ne in famiglia, al perdere il lavoro, venendo accompagnata alla porta. Si viene messe nella condizione di lasciare il posto di lavoro o comunque di non poter fare più carriera. Tra questi due estremi ci sono tantissime situazioni di grande difficoltà. ‘Hai voluto la bicicletta? Ora pedala, da sola e in salita’.

Negli altri paesi europei c’è stato un salto culturale che in Italia non è ancora avvenuto. Nei paesi del Nord Europa, l’esempio più semplice da fare, il Welfare ti aiuta e non vieni punita per aver fatto un figlio, ma valorizzata. E si viene messe in condizione di farci stare tutto, anche due, tre figli. 

C’è stato un salto culturale perché negli anni ’60 non era così, era un pò come da noi. Tu sei la mamma, se fai un figlio sono affari tuoi, te ne stai a casa, molli il lavoro, lo Stato non ti sostiene. E’ questione di cambiare la mentalità, per cambiare poi i servizi, più nidi, più scuole dell’infanzia, più strutture, rispetto a quelle che abbiamo, che ti sostengano.

Il problema delle donne più giovani è che mollano subito il lavoro, invece non bisogna mollare, ma insistere per farci stare tutto. Chiedere aiuto alla propria famiglia, sono fortunatissime quelle che hanno dei nonni da ‘schiavizzare’ e non genitori piccoli da curare e genitori anziani da curare, e fare rete con le altre mamme per affrontare le stesse difficoltà. Io ho intervistato tante mamme che, laddove manca lo Stato si sono organizzate. Hanno fatto spazi di coworking, hanno costruito piccoli villaggi, quartieri.  Perché quello che manca è proprio il sostegno della comunità.

E poi, chiedere aiuto ai padri. Laddove c’è una mamma, alla quale viene accollato tutto, c’è un papà che non riesce a fare il papà, perché c’è un datore di lavoro che dice ‘perché esci alle 4 per andare a prendere il bambino? Non ce l’hai una moglie, una tata, una suocera? Allora sei un lavativo’. Se i papà si prendessero questa responsabilità sarebbe più garantito alla genitorialità di entrambi, padre e madre, e la possibilità di lavorare e realizzarsi sul lavoro, anche facendo carriera, per entrambi“.

 

 

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