“I giudici del rinvio traggono motivatamente il convincimento che l’unica verità processuale che risulta trovare conferma nella valutazione dei molteplici indizi esaminati risulta essere quella del tentativo di violenza sessuale. Il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito […] appare da un lato assolutamente corretto sul piano metodologico, dall’altro non viene contraddetto, quanto meno in modo decisivo e insanabile, dagli elementi valutativi di segno contrario opposti dai ricorrenti”. Così la Corte di Cassazione ha messo la parola fine, dopo 10 anni, al processo per la morte della studentessa imperiese Martina Rossi che perse la vita il 3 agosto 2011, a soli 20 anni, a Palma de Maiorca, precipitando dal sesto piano dell’Hotel Sant’Ana dove era in vacanza con le amiche.
Al momento della caduta, in camera con Martina Rossi c’erano due giovani aretini, anch’essi in vacanza in Spagna, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. Oggi, dopo tanti anni, c’è una verità processuale. Tentarono di stuprare Martina che, nel tentativo di fuggire, precipitò dal balcone. Per questo sono stati condannati a tre anni di carcere per tentata violenza sessuale.
Morte Martina Rossi: condanna Albertoni e Vanneschi, le motivazioni della Cassazione punto per punto
Escluso il consumo di stupefacenti da parte di Martina Rossi
“Non vi sono, in primo luogo, elementi di sorta per poter accreditare la tesi del consumo dl stupefacenti da parte di Martina assieme all’Albertoni, ricavata dalle asserzioni dello stesso imputato: una tesi che, oltre a collidere con il dato oggettivo del risultati negativi degli esami di laboratorio, viene sostenuta su fragili basi deduttive […] sotto altro profilo, a proposito del fatto che i testimoni danesi (vicini di camera, ndr) hanno riferito di avere percepito un odore di cannabis proveniente dalla stanza n. 609, non risulta che la circostanza sia stata collocata temporalmente in modo univoco e, soprattutto, che da essa si possa inferire che al consumo di stupefacenti si fosse associata anche Martina: circostanza, quest’ultima, che del resto risulta oggettivamente smentita dalle analisi di laboratorio“.
Esclusa l’ipotesi suicidio
“Attraverso un’accurata istruzione dibattimentale, caratterizzata dall’assunzione di molteplici testimonianze tra medici e conoscenti della giovane, la Corte di merito trae un quadro complessivo di una persona che, seppure in precedenza affetta da disturbi psichiatrici, nell’estate del 2011 appariva aver superato i pregressi problemi e mostrava un’attenzione e delle aspettative per il proprio futuro che risultavano incompatibili con la decisione di porre fine alla propria esistenza”.
Esclusa la caduta accidentale
“Meramente congetturale, poi, é l’ipotesi subordinata – qualificata come ‘terza verità’ dal giudici del rinvio -secondo la quale Martina Rossi sarebbe precipitata dal balcone della stanza 609 a causa di un malore e, in specie, di un episodio di vomito, a cagione del quale la giovane si sarebbe sporta eccessivamente dalla ringhiera, precipitando poi nei vuoto. L’ipotesi prospettata dai difensori muove, naturalmente, dall’asserita caduta di Martina dal centro del balcone – laddove, come si é visto, gli elementi valorizzati dalla sentenza impugnata con giudizio insindacabile in questa sede militano per una caduta dal lato destro del balcone – e cerca di valorizzare alcuni dati ritenuti suggestivi: l’assenza di cibo nell’organismo di Martina a fronte del fatto che le sue amiche avevano riferito di avere acquistato e consumato del cibo dopo la discoteca; la presenza, sulla traiettoria della caduta, di una chiazza che ipoteticamente potrebbe ricondursi a un getto di vomito; il malore come possibile conseguenza del consumo di stupefacenti o alcolici.
E’ agevole constatare – e la Corte di merito lo fa in termini affatto chiari e corretti – che tali circostanze sono, in parte, prive di valenza probatoria, in quanto basate su mere congetture e disancorate da dati oggettivi; in parte sono contraddette da elementi univoci. Il consumo di stupefacenti o alcool é stato escluso dagli accertamenti tossicologici svolti in Spagna, sulla cui affidabilità la Corte di merito aveva già fornito chiarimenti più che adeguati; la macchia attribuita a vomito non risulta essere mai stata esaminata nella sua origine, di tal che la tesi difensiva de qua resta affidata a una mera congettura, a fronte del fatto che – come precisato dalla Corte del rinvio – non sono state accertate tracce di vomito in nessun altro luogo, ed in particolare né sul terrazzo, né sulla traiettoria della caduta; quanto all’asserita consumazione di cibo da parte delle amiche di Martina, non risulta accertato che ad essa si fosse associata anche la Rossi, di tal che anche questo dato – letto congiuntamente con l’assenza di cibo nel corpo della giovane – é affatto congetturale; per non dire dell’assoluta incompatibilità (affermata sempre dalla Corte di merito) della tesi del malore anche con le modalità e con la dinamica della caduta descritte dalla teste Ruga Escuder“.
Martina Rossi arrivò in camera con i pantaloncini e precipitò con le sole mutandine addosso
“Quanto agli indumenti indossati da Martina nel salire verso la stanza n. 609, é di tutta evidenza che l’esatta determinazione del tipo di indumenti che la giovane avrebbe indossato nella detta circostanza ha valore e significato probatorio assolutamente recessivi a confronto con i dati di fondo che conferiscono peso alla questione sul piano probatorio: le sue compagne di stanza, sia pure con qualche sfumatura differente nei dettagli, riferiscono entrambe che Martina sali verso la stanza 609 indossando un paio di pantaloncini corti e una maglietta; mentre quando precipitò dal sesto piano la giovane non indossava più i pantaloncini ed aveva indosso solo gli slip, oltre a una maglietta.
[…] L’Albertoni aveva raccontato alle compagne di stanza della Rossi che costei si sarebbe tolta i pantaloncini una volta arrivata nella stanza 609, a suo dire perché in preda a vampe di calore: circostanza scarsamente attendibile secondo i giudici del rinvio (non essendo spiegabile perché la giovane per il caldo si togliesse i pantaloncini e non la maglietta), ma idonea ad accreditare il dato dei pantaloncini indossati da Martina quando salì dalla sua stanza alla n. 609 (e non più indossati al momento della caduta dal balcone)”.
Vanneschi e Albertoni erano in camera quando Martina cadde dal balcone
“Ulteriore tema affrontato è quello della compresenza (di Vanneschi e Albertoni, ndr) nella stanza 609 nel momento in cui Martina precipitò dal balcone della stanza: compresenza che forma oggetto di confutazione nei ricorsi in esame, ma che, nel percorso argomentativo della Corte gigliata é confermata da plurimi elementi. Nulla quaestio per quanto riguarda il Vanneschi, il quale aveva riferito di essersi svegliato mentre Martina si gettava nel vuoto, facendo in tempo a vederne solo i piedi, e che nel racconto della Cambiaso e della Nicastro era sceso con l’ascensore e, mentre ne usciva, aveva incontrato le due ragazze aveva detto loro che Martina si era gettata.
Per quanto concerne l’Albertoni, la sua versione – secondo la quale egli era sceso dalle amiche di Martina prima che costei cadesse dal balcone, per avvisarle del suo strano comportamento, e solo in un momento successivo lui e le due ragazze avrebbero udito un tonfo sordo e un urlo – é stata giudicata inattendibile (anzi addirittura fantasiosa) dai giudici del rinvio sulla base delle dichiarazioni delle due amiche di Martina, che hanno sempre sostenuto di avere saputo della caduta di Martina non già da un tonfo o da un urlo – di cui non hanno mai riferito – ma dalla notizia data loro dal Vanneschi che usciva dall’ascensore.
E’ stata inoltre smentita la versione dell’Albertoni circa il fatto che l’urlo sarebbe stato della Puga Escuder (cameriera, unica testimone oculare), che egli avrebbe incontrato all’entrata dell’albergo: versione che non trova alcuna conferma nelle dichiarazioni della Puga Escuder, la quale, dopo l’accaduto, si era rivolta esclusivamente al portiere dell’hotel e assieme a lui si era messa alla ricerca del corpo. Ulteriore elemento di contrasto alla versione dell’Albertoni proviene dalle dichiarazioni rese alla P.G. il 17 gennaio 2014 dalla teste Krystyna Karpets alla quale l’Albertoni avrebbe raccontato che egli e il Vanneschi erano assieme quando Martina precipitò dal balcone: dichiarazioni che la teste ha confermato in dibattimento, sia pure a seguito di contestazioni.
Ed ancora, va richiamato il narrato dei testimoni danesi, i quali – come si é visto – hanno riferito di un urlo di donna così violento da averli svegliati, e subito dopo hanno udito un rumore di passi diretti dalla stanza accanto al corridoio e poi alle scale, che la persona scendeva precipitosamente: questa persona non poteva essere il Vanneschi, che scese successivamente con l’ascensore, e viene quindi identificata dalla Corte di merito (in assenza di altre plausibili spiegazioni) nella persona dell’Albertoni, il quale pertanto sarebbe stato presente nella stanza al momento della tragedia, cronologicamente corrispondente con l’urlo percepito dai testimoni danesi. La lettura del predetti elementi congiuntamente con altri depone, secondo la sentenza impugnata, per il mendacio della sua versione”.
I graffi sul collo di Albertoni segno di una colluttazione con Martina
“Quanto alla questione dei segni sul collo dell’Albertoni, analogamente, é fuorviante e frutto di elementi puramente rivalutativi la prospettazione degli stessi come ‘arrossamenti’ piuttosto che come ‘graffi’: prospettazione che, lungi dall’eliminare lo scenario di una colluttazione o di un’aggressione, incide – anche in questo caso – unicamente su un elemento indiziario che i ricorrenti cercano di isolare dal contesto, ma la cui intrinseca ambiguità é inquadrata dalla Corte fiorentina nell’ambito di una più complessiva valutazione, in cui si collocano le dichiarazioni spontanee rese dall’Albertoni che attribuisce i segni a un’improvvisa e immotivata aggressione da parte di Martina nei suoi confronti: versione in ordine alla quale la Corte di merito argomenta adeguatamente la propria valutazione di inattendibilità.
A tacer d’altro le affermazioni dell’Albertoni svuotano di significato il dilemma tra ‘graffi’ e ‘arrossamento’, atteso che é nella stessa versione dell’imputato, pur giudicata inattendibile dalla Corte di merito, che i segni vengono ricondotti a un atto violento. Quanto poi alla spiegazione dell’allegata aggressione di Martina con un suo delirio eventualmente conseguente all’assunzione di stupefacenti, essa rimane priva di sostegno – se non di quello riveniente dalle dichiarazioni dell’Albertoni, della cui inattendibilità la Corte di merito ha fornito ampia spiegazione – e per il resto assume valore meramente congetturale, a fronte dell’oggettività del dato costituito dagli esiti negativi degli esami di laboratorio e autoptici eseguiti in Spagna circa l’assunzione, da parte della Rossi, di sostanze stupefacenti“.
Le bugie di Albertoni e Vanneschi e il tentativo di inquinare le prove
“Si é già visto che, per la Corte del rinvio, la versione del Vanneschi é inficiata da elementi di mendacio, sia per quanto riguarda le sue allegazioni circa il modo in cui Martina si sarebbe gettata (a tuffo, laddove tutti i consulenti sono stati concordi nell’affermare che Martina cadde ‘a candela’), sia per quanto riguarda la sua posizione all’interno della stanza (sul letto vicino alla porta finestra, risultato invece occupato da valigie, laddove anche l’Albertoni aveva affermato che il Vanneschi dormiva nel letto matrimoniale accanto a lui). Correttamente il mendacio delle due versioni é stato reputato idoneo ad accreditare, sul piano indiziario, le loro responsabilità in ordine all’accaduto: é noto che, in materia limitrofa, l’alibi falso, a differenza dell’alibi fallito ed a similitudine dell’alibi ‘costruito’, indicativo di una maliziosa preordinazione difensiva, costituisce indizio a carico […] va detto che nella specie, certamente, vi é stata ad opera della Corte territoriale una valutazione contestuale delle dichiarazioni dei due imputati qualificate come false e degli altri elementi indizianti a loro carico.
[…] Si é avuto modo di ricordare in che modo sia l’Albertoni che il Vanneschi cercassero, fin dalla prima fase delle indagini, di inquinare il quadro probatorio, concordando con il Basetti e il D’Antonio (ossia gli altri due occupanti la stanza n. 609) una versione di comodo; infine, si é avuto modo di evidenziare che, alla luce delle intercettazioni audio e video effettuate il giorno dell’interrogatorio dei due ricorrenti presso la Questura di Genova, le manifestazioni di visibile sollievo e di compiacimento per l’assenza di riferimenti a segni di violenza sessuale nell’incarto a disposizione degli inquirenti non furono solo dell’Abertoni, ma furono anche del Vanneschi”.
Le intercettazioni: la violenza sessuale e gli stupefacenti
“Con riguardo alle intercettazioni video ambientali e telefoniche eseguite nei confronti dei due imputati, sul cui significato e sulle cui diverse trascrizioni ad opera dei consulenti e del perito i ricorrenti si sono ampiamente diffusi, la sentenza impugnata opera un’ampia e conducente ricostruzione, attraverso una lettura che – giova evidenziarlo – é corroborata dalla visione coordinata del filmato registrato nella sala di attesa della Questura (a Genova, in attesa di essere interrogati, ndr). Il fatto che l’Albertoni avesse fatto riferimento all’assenza di elementi militanti per la violenza sessuale nell’incarto a disposizione dell’interrogante, quale che sia l’atto da cui tale circostanza fosse stata tratta, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata viene associato (anche visivamente, su basi gestuali) a un atteggiamento di soddisfazione da parte di entrambi gli odierni imputati, in una fase nella quale l’ipotesi investigativa di violenza sessuale non veniva in alcun modo coltivata; ed ancora, il riferimento all’avvenuto consumo di stupefacenti nelle conversazioni e negli SMS non coinvolge in alcun modo Martina trattandosi di dialoghi in cui l’Albertoni e il Vanneschi fanno esclusivo riferimento alle loro personali condizioni conseguenti all’uso di sostanze psicoattive”.
Martina Rossi cadde tentando si sfuggire a uno stupro
“Gli elementi indiziari valorizzati ed analizzati dai giudici del rinvio, la cui tenuta a fronte delle argomentazioni difensive é assicurata dall’esclusione dell’ipotesi suicidiaria caldeggiata dai ricorrenti (e anche dell’ipotesi del malore), dal mendacio dell’Albertoni e del Vanneschi (le cui versioni vengono giudicate inattendibili e per alcuni versi risultano contraddette da dati fattuali oggettivi) […] depongono per una caduta accidentale nel tentativo di sottrarsi ai due occupanti la stanza 609 e di scavalcare il muretto divisorio tra il balcone della stessa stanza e quello della stanza adiacente, dopo essere stata privata dei pantaloncini ed avere avuto una colluttazione quanto meno con l’Albertoni (riportandone, forse, alcune lesioni e graffiando il collo dell’aggressore).
[…] Il fatto che il tentativo di violenza sessuale sia stato o meno condotto anche attraverso il ricorso a una violenza fisica in danno di Martina, tale da provocarle lesioni, riveste una rilevanza che, a conti fatti, si rivela relativamente marginale nella ricostruzione degli eventi. E’ chiaro tuttavia che la presenza di lesioni che non sono state ritenute riferibili alla caduta (e neppure all’impatto con la soletta del primo piano, secondo la ricostruzione accolta dai giudici del rinvio) é stata letta congiuntamente ai segni sul collo dell’Albertoni, dato questo che é stato correttamente ricondotto dai giudici del rinvio ad una colluttazione, anche a causa della manifesta inattendibilità delle spiegazioni alternative fornite dallo stesso Albertoni”.
Violenza sessuale di gruppo
“I giudici del rinvio hanno ritenuto certa la compresenza di Albertoni e Vanneschi all’interno della stanza n. 609 quando Martina precipitò dal balcone, cosi come […] é stato escluso che il Vanneschi stesse dormendo ed é stata ravvisata la natura sessuale dell’aggressione ai danni di Martina. Il fatto che anche il Vanneschi fosse coinvolto nel tentativo di violenza sessuale con un ruolo quanto meno agevolativo é stato chiarito dalla Corte fiorentina attraverso un ampio ragionamento, che parte da elementi deduttivi riferiti ai momenti in cui Martina si trovava nella stanza n. 609, alla presenza di entrambi gli odierni ricorrenti, e fino al momento della sua caduta dal balcone di quella stanza.
Il ragionamento, poi, si sviluppa tenendo conto della condotta del Vanneschi nelle ore e nei giorni successivi al fatto e, in generale, durante le indagini. Un primo, importante elemento logico, riferito agli istanti che precedettero la precipitazione della giovane, viene enunciato dalla Corte di merito sul rilievo che Martina, nel cercare di sottrarsi al tentativo di violenza sessuale, non aveva cercato di uscire dalla porta della stanza che dava sul corridoio – come sarebbe stato intuitivamente logico, spiega correttamente il Collegio del rinvio -, ma si era determinata a tentare di scavalcare il muretto divisorio tra il balcone della stanza e quello della stanza attigua: segno evidente che, ove si fosse diretta verso la porta della stanza 609, le sarebbe stata sbarrata la strada non solo dall’Albertoni ma evidentemente anche dal Vanneschi, o comunque con il contributo di costui: il quale doveva quindi necessariamente agire d’intesa con l’Albertoni quanto meno agevolandone l’azione criminosa nei confronti della Rossi. Ove infatti il Vanneschi si fosse opposto a tale azione, per Martina la soluzione di sottrarsi ad esso tentando di uscire dalla porta della stanza sarebbe stata la più ovvia, diretta ed agevole.
Ciò premesso, la ‘scelta‘ del Vanneschi tra venire in aiuto di Martina e associarsi, almeno in termini di concorso morale, all’azione criminosa del compagno di stanza […] non lasciava effettivamente spazio, a ben vedere, a terze soluzioni assistite da logicità e verosimiglianza: anche qualora egli avesse assunto un atteggiamento non direttamente aggressivo, il Vanneschi di fatto avrebbe agevolato l’Albertoni se é vero che Martina non riuscì ad uscire, o addirittura neppure tentò di uscire, dalla porta d’ingresso della stanza 609. Del resto, neppure sarebbe agevole spiegare, in termini di logicità e di verosimiglianza, per quale ragione un soggetto non coinvolto nell’aggressione sessuale esercitata da un compagno di stanza nei confronti di una ospite, oltre a non reagire e a non opporsi in qualche modo, sarebbe rimasto all’interno della camera e non sarebbe neppure uscito dalla stessa per chiamare aiuto e provocare l’intervento di terzi”.