Lucio Sardi, esponente di Sinistra Italiana interviene, con una lunga nota stampa, per esprimere alcune considerazioni in merito alle ultime elezioni provinciali, che hanno visto il sindaco Claudio Scajola come nuovo presidente e alla possibilità dell’ingresso di un socio privato, all’interno della Rivieracqua.
Imperia: elezioni provinciali e ingresso socio privato in Rivieracqua. Le considerazioni di Lucio Sardi
“Il finale d’anno ha regalato ai cittadini della provincia di Imperia due eventi che rappresentano l’esito della stessa parabola politica.
Il primo è l’incoronazione a presidente della Provincia del candidato unico Claudio Scajola, elezione accompagnata dal risultato “bulgaro” ottenuto dalla sua lista che si è aggiudicata l’ottanta per cento dei seggi del consiglio provinciale.
Un risultato che dimostra la ricostruzione di un capillare sistema di controllo delle istituzioni locali attorno al ricompattato centrodestra nato dal patto Toti-Scajola. Un risultato che ha quasi del miracoloso e che rievoca la resurrezione di Lazzaro, considerando le vicende che pochi anni fa portarono al collasso del sistema di potere di Scajola e la pesante eredità che aveva lasciato alla nostra provincia.
La seconda notizia, solo apparentemente slegata dalla prima, è stata la presentazione del piano dell’ATO idrico provinciale, nel quale è previsto l’ingresso di soci privati in Rivieracqua al fine di garantire un “indispensabile” apporto di 25 milioni di euro di capitale.
Ripensando ai racconti dei Vangeli, viene questa volta in mente il tradimento dei venticinque denari (non trenta perchè in questo caso hanno pure tirato al risparmio), a danno, questa volta, della volontà popolare espressa con il referendum sull’acqua pubblica del 2011, quando più di 25 milioni di cittadini italiani, si sono espressi contro la presenza dei privati nella gestione del più essenziale servizio e bene pubblico.
Il fatto che a gestire questa operazione siano, sul lato della politica un presidente della Provincia non eletto dai cittadini sulla base di un programma elettorale, e dal lato “tecnico” il commissario dell’ATO idrico nominato dal Presidente della Regione, è la conferma che ci troviamo di fronte ad un vero oltraggio al voto referendario degli italiani e degli imperiesi.
Nei dieci anni trascorsi da quel 2011, anno in cui il neo presidente della Provincia scopriva, insieme a noi, che qualcuno gli aveva a sua insaputa pagato un milione di euro per l’acquisto della casa con vista Colosseo, evidentemente molta acqua è passata sotto i ponti della politica.
Quello storico pronunciamento referendario, che vide una partecipazione di quasi il 60% degli aventi diritto (percentuale che oggi è un miraggio rispetto a quelle reggiunte alle recenti elezioni amministrative) con oltre il 95% dei votanti che si espresse per la gestione totalmente pubblica del servizio idrico, è infatti diventato un fastidioso ostacolo che può essere messo in discussione.
Lo mettono in discussione gli interessi economici delle aziende private verso un settore che può garantire profitti sicuri e senza rischi, grazie al meccanismo del vincolo di copertura dei costi di gestione e di investimento delle tariffe uniche di ambito, tariffe che possono prevedere una quota aggiuntiva per la remunerazione riconosciuta all’eventuale investimento del privato.
Partecipando al capitale del gestore unico del servizio idrico, i privati possono quindi garantirsi un facile profitto, potendo caricare sulla tariffa dell’acqua ogni onere per gli investimenti ed ogni eventuale inefficienza di gestione, con la garanzia di non perdere la propria remunerazione e senza rischi di concorrenza, una sorta di bengodi del monopolista.
Ma la volontà popolare del referendum del 2011 è messa in discussione anche dal recente “Decreto privatizzazioni” del governo Draghi che vuole reintrodurre a forza nei servizi locali il principio della privatizzazione, esperienza che nel nostro paese ha però prodotto quasi sempre inefficienze e peggioramento dei servizi, con l’interesse pubblico piegato a quello del mercato (vedasi le autostrade).
Tornando ai protagonisti dell’operazione di privatizzazione “parziale” del servizio idrico integrato della nostra Provincia tramite l’ingresso di privati nel capitale di Rivieracqua, è utile fare un richiamo al loro curriculum, indubbiamente consistente in materia.
Il presidente Scajola potrebbe definirsi il “reuccio” delle privatizzazioni viste quelle da lui realizzate o politicamente “benedette”, tutte rivelatesi a danno della collettività.
Iniziamo da Eco-Imperia che gestiva la raccolta dei rifiuti del capoluogo ed era partecipata da un soggetto privato il quale era più interessato a conferire i rifiuti nella sua discarica di Ponticelli piuttosto che ad organizzare un sistema efficiente della raccolta differenziata.
Proseguiamo con Amat che, dopo l’ingresso dei privati nel capitale, invece che rilanciarsi è entrata in una crisi finanziaria tale da non riuscire più a riversare i canoni di depurazione al Comune e che oggi é a rischio di fallimento dopo la revoca del concordato preventivo.
Ultima, ma non certo per importanza e per esito catastrofico, è stata l’operazione di privatizzazione della Porto di Imperia spa che ha occupato a lungo le cronache nazionali come caso esemplare di cattiva amministrazione.
A Scajola è giusto riconoscere anche il “merito” del suo contributo alla gestione pubblica dei servizi locali ed in particolare nella “brillante” scelta di affidare la guida della neonata Rivieracqua a chi l’ha portata ad un passo dal fallimento, caricandola dei debiti che gli utenti del servizio idrico della provincia dovranno ripagare con la nuova “salata” tariffa unica, a cui a breve si aggiungerà una dose di piccante per remunerare l’annunciato ingresso del privato.
La protagonista “tecnico” dell’ingresso dei privati in Rivieracqua è la commissaria dell’Ato idrico Gaia Checcucci, nominata a seguito del commissariamento dell’Ato disposto dalla Giunta Regionale a guida Toti.
Si tratta di una figura di esperienza, avendo ricoperto nel settore incarichi pubblici per ministeri ed enti locali, oltre ad essere stata nei cda di società private di gestione dei servizi idrici.
La sua visione sulla modalità di gestione del servizio idrico l’ha espressa partecipando attivamente alla campagna contro il referendum per l’acqua pubblica del 2011, che in un breve filmato di propaganda del comitato del no, definiva pericoloso e contro una “gestione industriale imprenditoriale” del servizio idrico.
Quella della dott.ssa Checcucci era una posizione legittima ma su cui la volontà degli italiani si è espressa in modo inequivocabilmente contrario. L’espressione democratica del refendum sull’acqua pubblica non può essere piegata a mezzo di tecnicismi o forzature per imporre l’ingresso dei privati in Rivieracqua, eventualità che evidentemente non preoccupa il commissario ma rappresenta nei fatti il tradimento della volontà popolare.
Quei 25 milioni di euro ritenuti fondamentali ed urgenti per il rilancio di Rivieracqua si possono infatti benissimo reperire (peraltro in tempi più brevi rispetto a quelli dell’annunciato bando europeo per la scelta di un socio privato) con una capitalizzazione pubblica della società. Operazione che si può realizzare attraverso un contributo dei Comuni della Provincia, molti dei quali hanno già accantonato nei bilanci fondi per coprire la propria quota di partecipazione al deficit accumulato da Rivieracqua negli anni scorsi, coinvolgendo anche la Regione.
Gli stessi fondi o parte di essi sono anche reperibili attraverso il sistema bancario che, scongiurata l’ipotesi di fallimento della società, sa di poter fare affidamento sulla garanzia di copertura del sistema della tariffa unica, con cui in futuro si copriranno i 150 milioni di investimenti previsti nel piano d’ambito presentato e per i quali i privati non tireranno fuori un euro.
L’operazione dell’ingresso dei privati in Rivieracqua è come quella di chi pensa di vendersi la casa per togliersi la rata del mutuo, ma poi continua a vivere nella stessa casa pagando tutta la vita l’affitto. Il privato che entrerà in Rivieracqua metterà nelle casse della società 25 milioni di euro su cui però i cittadini pagheranno, per sempre, una maggiorazione sulla tariffa per remunerare l’investimento privato.
Il privato sarà socio di minoranza, ma con il diritto di indicare gli amministratori e quindi con il controllo di gestione della stessa, salvo solo il rispetto delle attività di investimento previste dal piano d’ambito. Se poi un domani si dovesse decidere di tornare ad una gestione pubblica, il “generoso” contributo della partecipazione al capitale della società dovrà ovviamente essere restituito e gli utenti del servizio idrico di questa provincia, per la scelta di non aver attivato un finanziamento bancario, sperimenterebbero il nuovo concetto del “mutuo perenne”, che si paga sempre ma non finisce mai.
Di fronte a questo scenario, non è accettabile il rifiuto da parte del commissario Checcucci ad accogliere la proposta, avanzata da dieci sindaci durante l’ultima assemblea dell’Ato idrico, di predisporre un piano che preveda un’alternativa all’ingresso dei privati.
Facciamo quindi un invito a tutti i sindaci di questa provincia, a tutte le forze politiche movimenti e associazioni affinchè si attivi una mobilitazione che imponga la predisposizione di un piano alternativo a quello attuale, senza l’ingresso dei privati in Rivieracqua, per consentire di poter discutere di questa scelta in tutti i consigli comunali ed in altri luoghi di confronto con forme di partecipazione pubblica più ampie possibili.
È bene che di fronte ad un così sfacciato tradimento della volontà popolare, chi ha a cuore tale principio e coglie l’importanza di salvaguardare un servizio pubblico vitale per una comunità come è quello idrico, dimostri con i fatti di non aver lasciato nulla di intentato”.
C.S.