22 Novembre 2024 15:40

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22 Novembre 2024 15:40

Giorno della Memoria: nel diario della deportata imperiese Maria Musso il dramma delle donne nei lager nazisti. “Nel campo di Ravensbrück si viveva nella paura, ma le donne dimostrarono la loro forza”

In breve: Donatella Alfonso, Laura Amoretti, Raffaella Ranise hanno scritto insieme il libro “Destinazione Ravensbrück": L’orrore e la bellezza nel lager delle donne”

Dramma, dolore, privazione, ma non solo. Nei campi dell’orrore le donne sono riuscite a far fiorire l’amicizia, la solidarietà e la forza di combattere.

Lo raccontano, dando nuovamente voce alle protagoniste, Donatella Alfonso, Laura Amoretti, Raffaella Ranise in “Destinazione Ravensbrück”: L’orrore e la bellezza nel lager delle donne(Ed. All Around), un libro “in progress”, come da loro stesse definito, che sembra avere un’anima propria, perchè si arricchisce nel tempo di testimonianze ed emozioni.

Dopo la prima edizione, uscita nel 2020, e la seconda edizione del 2021, infatti, non sono mai cessate le nuove scoperte sulle storie delle donne internate nel campo di concentramento di Ravensbrück, situato a nord di Berlino. Lì, in quello che viene considerato il campo di sterminio femminile più atroce del periodo nazista, vennero deportate e uccise migliaia di donne con la sola colpa di essere state giudicate dal regime hitleriano “non conformi”, “pericolose” a tal punto da dover essere eliminate.

Grazie alle ricerche di Alfonso, Amoretti e Ranise, è stato recentemente rispolverato il prezioso diario Maria Musso, una delle deportate dalla provincia di Imperia, precisamente da Diano Arentino, che a breve sarà pubblicato dall’Istituto della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia.

In occasione della Giornata della Memoria che viene celebrata oggi, 27 gennaio, abbiamo intervistato le tre scrittrici liguri per conoscere meglio la realtà di quel campo dove, nonostante la tragedia, le donne riuscirono a costruire amicizie e legami profondi che consentirono, purtroppo solo ad alcune, di sopravvivere.

Il libro “Destinazione Ravensbrück”, oltre che in formato cartaceo e Ebook, è ora disponibile anche in formato audiolibro, letto proprio dalle tre autrici, curato da Consorzio Zdb.

Giornata della Memoria: il libro “Destinazione Ravensbrück” e le storie di donne che non si arrendono

Com’è nato il libro “Destinazione Ravensbrück”?

Laura Amoretti: “‘Destinazione Ravensbrück’ non è un titolo scelto per caso. Abbiamo cercato di raccontare le testimonianze delle donne che furono deportate dalla nostra Liguria a Ravensbrück. Fra queste donne vi erano Maria Musso ed Elena Bracco della nostra provincia. Le loro storie viene raccontata nel libro insieme a quella di molte altre donne, italiane e non. Abbiamo dato loro di nuovo la voce per far sì che resti la testimonianza di tutte”.

Donatella Alfonso: “Questo è per noi il senso della memoria: far parlare nuovamente queste donne. Attraverso i loro scritti, continuano a vivere. Noi non abbiamo creato nulla, abbiamo solo raccolto le loro voci. Lo abbiamo sentito come dovere civile per ricordarle. Dal campo di Vallecrosia a Ravensbrück, le storie di queste donne rappresentano il sacrificio di tante.

Da quando abbiamo iniziato questo lavoro escono continuamente nuovi materiali da approfondire o nuove persone da conoscere.

Raffaella Ranise: “Il campo di lavoro di Ravensbrück nacque nel 1939 e non era per le ebree (ce n’erano poche), ma per le reiette, le oppositrici del regime hitleriano, quindi soprattutto deportate politiche, tedesche, francesi e per ultime italiane. C’erano le donne considerate criminali, che davano fastidio alla società, anche le lesbiche”.

Come si viveva nel campo?

Raffaella Ranise: “Le giornate, come raccontano le testimoni, iniziavano con l'”appelle”, l’appello. Le mettevano al freddo/caldo a seconda della stagione, in fila 5×5. Se erano abili al lavoro venivano chiamate, altrimenti no, e potevano essere fucilate. La salvezza si decideva lì. Chi veniva giudicata in grado di lavorare veniva sfruttata nelle fabbriche vicine, con la paura costante di essere picchiate o uccise se non rispettavano i tempi o se facevano qualche errore. Vivevano con la costante paura di non arrivare al giorno dopo, ma con la determinazione di resistere.

La parte più toccante veniva fuori di sera, quando le donne si incontravano nelle loro baracche e provavano a tenersi allegre, dalle più anziane a quelle più giovani. Nascevano amicizie, legami ai quali si aggrappavano per andare avanti. Lì si sentiva la forza della vita”. 

Perchè lo definite ‘in progress’?

Donatella Alfonso: “È un libro ‘in progress’. La prima edizione è del 2020, la seconda edizione del 2021, perchè abbiamo trovato altre storie da raccontare. Ad esempio abbiamo aggiunto Teresa Noce, abbiamo parlato dei Testimoni di Geova. Ogni giorno che passa veniamo in possesso di nuovi documenti, nuove storie. Nonostante la pandemia, nelle scorse due estati, siamo riuscite a fare diversi incontri per presentare il libro e abbiamo incontrato moltissime persone che ci hanno dato nuovi spunti. In particolare, è stato emozionante conoscere, durante una presentazione a Molini di Triora, le nipoti di una deportata di cui non sapevamo la storia, Eguaglianza Anfossi di Taggia”.

Avete ritrovato il diario di Maria Musso, una delle deportate. Com’è andata?

Raffaella Ranise: “Maria Musso, insieme a Elena Bracco, è tra le donne della nostra provincia che furono deportate a Ravensbrück. In particolare Maria Musso era originaria di Diano Arentino. Entrambe riuscirono a tornare a casa, seppur segnate dagli orrori che avevano vissuto.

Di loro avevamo parlato già nella prima edizione del libro, ma quando siamo tornate all’Istituto Storico della Resistenza di Imperia per approfondire i documenti, abbiamo trovato le fotocopie del suo diario scritto a mano da Maria Musso al suo ritorno a casa. Per noi è stata una grandissima emozione, ci siamo commosse. Così abbiamo chiesto all’Istituto di mettere in risalto questo prezioso documento storico. Grazie al lavoro dell’amica professoressa Alfonsina Sibilla, che ha curato trascrizione e introduzione, il diario di Maria Musso è in pubblicazione, edito dall’Istituto Storico della Resistenza dell’età contemporanea, e sarà distribuito alle scuole. Ci sarà anche un nostro contributo sul Campo di Ravensbrück”.

Cosa vi ha colpito di più nel ripercorrere queste storie?

Laura Amoretti: “Verrebbe da dire l’orrore, il sacrificio, la mortificazione del corpo e degli affetti, ma, in realtà, ciò che ci ha colpito di più è stata la bellezza di queste donne, la forza, l’amicizia. Non la resilienza, perchè non c’era adattamento, ma il coraggio di agire, di fare, di resistere, anche con piccoli gesti. Ci ha emozionato la figura della mamma adottiva del campo che rubava pezzi di pane per darli ai bambini orfani. Ci ha emozionato le amicizie che nascevano. Ad esempio Milena, una donna molto carismatica, affascinante, aveva stretto grandi amicizie al campo e, con una in particolare sognava di scrivere libri. Poi si ammalò e morì di stenti. Il giorno in cui è morta, nonostante l’orrore di quel campo, quando arrivarono gli altri prigionieri per prendere il corpo e portarlo al forno crematorio, le donne, in nome dell’amicizia, riuscirono a farsi concedere di accompagnare Milena fino al forno, in una sorta di corteo funebre, e di rimanere con lei qualche minuto per salutarla. Quel gesto non salvò la vita a nessuno, ma, nel dramma che stavano vivendo, era uno dei tanti punti di forza che hanno consentito loro di andare avanti e di provare a sopravvivere”.

Donatella Alfonso: “Maria Musso fu anche amica di di Ida Desandrè, valdostana, mancata pochi anni fa. Il figlio, Roberto Contardo, ha scritto una canzone su di lei. Maria e Ida si erano incontrate a Ravensbrück e legarono profondamente. Entrambe riuscirono a sopravvivere, ma si persero di vista e per anni non seppero nulla l’una dell’altra. Ida pensava che Maria fosse morta perchè quando furono liberate era molto malata di tifo. Un giorno, a distanza di 30 anni, Ida decise di andare in vacanza a Diano Marina e, ricordandosi che Maria era di Diano Arentino, andò in Comune a chiedere dove fosse la tomba di Maria Musso. A quel punto gli comunicarono che la donna era ancora viva e che aveva un negozio a Diano Marina. Ida si recò lì e si fece riconoscere e finalmente si riabbracciarono. Questa storia ci ha emozionato tantissimo e ogni volta che la raccontiamo non possiamo non commuoverci”.

Raffaella Ranise: “Nel libro abbiamo messo in risalto non solo le toccanti voci delle donne deportate, ma anche le voci del male, riportando anche le testimonianze delle donne diaboliche. Donne kapò o medici che infliggevano del dolore in modo crudele e sadico ad altre donne, angeli del male. Abbiamo riportato alcune frasi del processo di Amburgo, dove hanno mostrato estrema freddezza e mai un segno di pentimento”.

Donatella Alfonso: “Nel libro diamo ampio spazio alla difficoltà delle donne di raccontare la deportazione. Pensavano di non essere credute o di essere giudicate. Il fatto che si fossero salvate poteva far pensare alle persone che si erano vendute o cedute al nemico. Tante donne per questi motivi hanno cominciato a raccontare in età avanzata, come ha fatto Maria Musso. Sicuramente è stato molto difficile e doloroso ritornare con la mente a quegli orrori”.

Cosa vi ha lasciato questo libro e questo lavoro che state continuando?

“È stata un’esperienza toccante e profonda. Per noi questo libro ha un valore enorme non solo per quello che rappresenta e quello che racconta, ma anche perchè è nato un bellissimo legame tra di noi, tre persone meravigliosamente diverse, accomunate dagli stessi ideali e le stesse emozioni”.

Come può questo libro avere risvolti positivi nella società di oggi?

Laura Amoretti: “Innanzitutto perchè promuove il valore della memoria, per non dimenticare. Inoltre, è un documento che fa capire che noi donne non siamo la resilienza ma siamo la forza. Quel campo è stata la più grossa prigionia al femminile della storia. Lì le deportate hanno messo in atto la nostra forza nell’essere donne. Ricordo la storia di Crisia, una ragazza di 15 anni, che riuscì, con altre 3 amiche, a comunicare con l’esterno attraverso degli scritti utilizzando l’urina. Questa è la voglia di non arrendersi, l’arte dell’arrangiarsi delle donne. Diciamolo alle nostre giovani generazioni”.

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