8 Novembre 2024 16:31

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8 Novembre 2024 16:31

Imperia: processo patente marito ex Procuratore. Abuso d’ufficio, Cassazione conferma assoluzione Egidi e Cabiddu/La sentenza

In breve: La Corte di Cassazione ha confermato l'assoluzione dall'accusa di abuso d'ufficio, respingendo il ricorso del Procuratore Generale. Ecco le motivazioni.

La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione dall’accusa di abuso d’ufficio, respingendo il ricorso del Procuratore Generale, nell’ambito del processo che vedeva sul banco gli imputati il Colonnello dei Carabinieri David Egidi e Gianfranco Cabiddu, marito dell’ex Procuratore Capo di Imperia Giuseppa Geremia, per il mancato ritiro della patente al marito dell’ex Procuratore.

Secondo l’accusa la mancata notifica, a Cabiddu, dell’atto di ritiro della patente di guida, permise al marito dell’ex Procuratore di continuare a guidare regolarmente per diversi mesi, il tempo necessario a sostenere l’esame di idoneità, dopo un’operazione alla cataratta, e procedere alla revisione della patente.

Cabiddu, lo ricordiamo, era accusato anche di falso per aver “mentito” al medico dell’Asl sul proprio stato di salute. In Appello è stato condannato a 1 anno di carcere. 

Imperia: processo patente marito ex Procuratore, Cassazione conferma assoluzioni per abuso d’ufficio

In primo grado Egidi e Cabiddu erano stati condannati, dal Tribunale di Imperia, con l’accusa di abuso d’ufficio, rispettivamente a 1 anno e 2 mesi di carcere e 3 anni di carcere, pena poi riformata in Appello, con l’assoluzione per Egidi e Cabiddu dal reato di abuso d’ufficio (il Pg aveva chiesto la riformulazione del reato in omissione atti d’ufficio) e la condanna a 1 anno per falso per Cabiddu. 

La Cassazione, come detto, ha confermato l’assoluzione per entrambi gli imputati.

“La condotta tenuta dagli imputati – scrivono i giudici della Suprema Corte – non integra il delitto di rifiuto d’atti d’ufficio, sebbene non per le ragioni ritenute dai giudici d’appello (ritennero che il reato di abuso d’ufficio non fosse configurabile per difetto del requisito della patrimonialità del vantaggio indebitamente procurato al Cabiddu e che detta condotta non potesse integrare neppure un rifiuto d’atti d’ufficionon avendo reputato sufficiente, a tal fine, un comportamento meramente omissivo e dilatorio, come quello tenuto dall’Egidi nella fattispecie, ndr)”.

Il ricorso del Procuratore Generale

Si lamenta la violazione del citato art. 328, primo comma, poiché il rifiuto rilevante a tal fine può consistere anche nella deliberata e consapevole inazione a fronte di uno specifico dovere d’ufficio: situazione doverosa, nello specifico, riconosciuta come sussistente dalla stessa sentenza, che ha espressamente affermato la precisa strumentalità di tale contegno omissivo alla vanificazione degli effetti dell’atto da notificare (e notificato – giust’appunto – lo stesso giorno in cui il Cabiddu ha ottenuto la nuova abilitazione alla guida).

L’autorità ricorrente […] dubita, peraltro, che si sia trattato di una mera inerzia consapevole e non, invece, di un deliberato rifiuto di adempiere per facta concludentia. Osserva, inoltre, che l’atto omesso rientra tra quelli da compiere per ragioni di ordine e sicurezza pubblica”.

La sentenza della Cassazione

“A norma dell’art. 328, cod. pen., il rifiuto del compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, da parte del pubblico agente che vi sia tenuto, realizza il delitto soltanto qualora l’atto non solo debba essere compiuto senza ritardo, ma altresì riguardi un limitato ventaglio di ragioni: giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene e sanità.

Nel caso specifico, è nel giusto l’autorità ricorrente, allorché sostiene che la notifica del provvedimento di sospensione della patente di guida dovesse essere eseguita senza ritardo: è, infatti, quella della tempestiva esecuzione, un’esigenza coessenziale a qualsiasi provvedimento autoritativo di carattere sanzionatorio, anche di natura amministrativa, onde evitare il rischio di vederne frustrata la funzione.

Ritiene, invece, il Collegio che l’atto omesso dagli imputati non possa farsi rientrare in nessuna delle indicate materie tipiche ed esclusive. Tanto dicasi anzitutto – oltre che, ovviamente, per l’igiene e la sanità – per le ragioni di giustizia.

Pronunciandosi proprio con riferimento all’omessa notifica di un atto trasmesso per l’applicazione di sanzioni amministrative, la Corte di cassazione ha più volte precisato che, in tema di omissione di atti di ufficio, per atto da eseguirsi senza ritardo per ragione di giustizia, s’intende solo un ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole, l’attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria. La ragione di giustizia, cioè, si esaurisce con la emanazione del provvedimento di uno di questi organi, non estendendosi agli atti che altri soggetti pubblici siano eventualmente tenuti ad adottare per darvi esecuzione.

Altrettanto, ed anzi a maggior ragione, deve ritenersi con riferimento ai motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica, che attengono alle condizioni essenziali per garantire un’ordinata convivenza sociale, in vista della tutela di interessi fondamentali, quali l’integrità fisica e psichica delle persone o la sicurezza dei loro beni.

Non è certo possibile sostenere, dunque, se non con una genericità ed astrattezza difficilmente conciliabili con l’esigenza di tassatività delle norme penali incriminatrici, che la possibilità di circolazione alla guida di un veicolo di una sola persona non autorizzata – quale effetto dell’omissione dell’atto dovuto da parte del pubblico ufficiale – sia di per sé tale da esporre a pericolo l’incolumità o il patrimonio della comunità sociale di un dato territorio, intesa nel suo complesso.

Deve conseguentemente escludersi, allora, che il pronto compimento di tale atto da parte degli odierni indagati fosse loro imposto da esigenze di tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza pubblica”.

Le dichiarazioni del legale di David Egidi, l’avvocato Alberto Pantosti Bruni

“Il mio assistito ha dovuto, suo malgrado, sostenere cinque anni di processi, con due diverse ipotesi di reato, entrambe poi rivelatesi insussistenti. Questo procedimento non si sarebbe neanche dovuto celebrare”.

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