PIETRABRUNA. Sabato 2 agosto si terrà la festa “Color lavanda. L’evento rientra nell’ambito del progetto “Lavanda Riviera dei Fiori” che coinvolge 14 comuni, i quali in contemporanea proporranno un evento relativo alla lavanda.
Lo scopo dell’evento è quello di risollevare interesse intorno alla coltivazione della lavanda che per tanti anni è stata protagonista della storia e dell’economia di Pietrabruna. Il paese infatti fino a metà degli anni ’70 era il massimo produttore della provincia di essenza di “lavandino”.
La festa inizierà al mattino con l’ allestimento dell’alambicco e la distillazione, che verrà ripetuta nel pomeriggio.
Sarà possibile visitare la chiesa di San Matteo, l’oratorio della Santissima Annunziata, il Museo etnografico e la mostra fotografica sulla storia della lavanda. Nei “carruggi” e nelle belle piazzette si potrà curiosare tra le bancarelle di prodotti tipici e artigianali.
Alle 19 verrà offerto un aperitivo ai partecipanti e la serata si concluderà con un finale a sorpresa…..
Qui di seguito testo del Prof. Paolo Giordano sulla storia della lavanda di PietraBruna.
Il nonno di Giordano nel lontano 1925 è stato il primo a coltivare la lavanda.
STORIA DELLA LAVANDA DI PIETRABRUNA
“La lavanda…meraviglioso, profumato cespuglio colorato di mare, da tempi immemorabili ornamento delle nostre Alpi e chissà da quando pianta conosciuta dalla medicina popolare per le sue molteplici proprietà medicali. Oggi proviamo a tracciare una sua breve storia, forse parziale, ma per noi pietrabrunesi molto sentita, intima, personale perché si intreccia con quella di questo nostro paese: un insieme di case posate sulla roccia costruite con la pietra che gli dà il nome ed il colore, baciate dal sole che in ogni stagione le scalda e le illumina.
La collina che ci sostiene discende dal monte Follia e lassù in alto, sulle propaggini più alte del Follia e del Faudo da sempre è cresciuto questo cespuglio così tanto delicato e profumato; così poco esigente da crescere su terreni così poveri e scarni dove pochissime altre piante riescono a vivere. Qualcuno nei tempi antichi ha imparato a distillare le sommità fiorite; so da voci affidabili che già nell’ ottocento esisteva questa attività sui versanti liguri e piemontesi delle nostre Alpi grazie all’ abbondanza di questa pianta spontanea che prende vigore vegetativo quando l’ uomo alla giusta stagione recide i suoi fiori.
A Pietrabruna questa attività inizia negli anni venti. Giordano Paolo, nonno di chi scrive, iniziò proprio nel 1925; allora si parlava ancora e solamente di fiori spontanei raccolti in località impervie e lontane, trasportati a prezzo di dure fatiche all’impianto. Impianto…forse una parola grossa eppure in quegli anni erano già avvenuti notevoli perfezionamenti rispetto ai precedenti contenitori detti “a testa di moro” dalla forma del coperchio di chiusura che convogliava i vapori profumati nella serpentina per la condensazione. I contenitori di allora, ancora a fuoco diretto, erano già cilindrici con forma e guarnizione migliorate, che consentivano dei cicli di lavorazione più rapidi ed efficaci. Ma perché fermarsi alle piante spontanee? Così nel volgere di pochi anni cominciò la coltivazione di quelle stesse piante che non disdegnavano terreni anche migliori: agli inizi fu una coltivazione timida, poco estesa, che integrava le piante spontanee o poco più, ma presto venne il turbine della guerra e insieme a qualche misterioso (allora) parassita che ridusse la produzione.
Ritornò la pace e presto anche una nuova pianta molto simile ma più robusta: un ibrido di nome “lavandino” (non si tratta di un sanitario, in francese si dice “lavandin”, italianizzato suona così…). Esso è un incrocio (sterile) proveniente da due diverse varietà di lavanda. Grazie a questa pianta le colline di Pietrabruna cominciarono ad mostrare nei primi mesi estivi piccole macchie azzurre che negli anni ’50, ’60, ’70 si allargarono a tal punto da coprire una notevole porzione delle nostre colline che dalla fine di giugno si trasformavano sempre di più in un…mare di fiori e in una fonte primaria di sostentamento. Gli impianti per distillare un quantitativo così grande erano diventati semi industriali, non più a fuoco diretto, ma alimentati da vapore prodotto in caldaie dapprima funzionanti a legna, poi a nafta. Il numero degli impianti era cresciuto da 1, 2, 3…fino a circa 10. La lavorazione cominciava ai primissimi giorni di agosto e poteva arrivare a fine settembre.
Gradualmente erano cambiati i mezzi di trasporto; per quantitativi così non potevano bastare le robuste spalle dei portatori né quelle più robuste dei muli e allora?…
Comparvero le teleferiche, lunghi fili d’ acciaio che collegavano la collina alla periferia industriale (si fa per dire) del paese. Certo non si badava troppo all’ anti infortunistica, gli impianti erano piuttosto rudimentali, le carrucole fischiavano portando a valle i fasci; grazie a tanta attenzione e sì un po’ di fortuna tutto filò liscio. Ma gli anni passavano e vennero le strade interpoderali e spartanissimi mezzi meccanici a motore (si chiamavano “grimper”). Talvolta ci furono discussioni sul percorso da scegliere, ma sempre si trovò l’accordo sul tracciato e sulla cifra da spendere sempre rigorosamente a carico dei coltivatori. I mezzi erano molto rumorosi talvolta perdevano letteralmente una ruota e si fermavano (temporaneamente); essi procedevano a bassa velocità ed anche qui andò tutto bene.
Finirono gli anni ’70 e un’ infezione fungina fece il suo trionfale ingresso nelle coltivazioni. Si fecero analisi e tentativi, ma non ci fu nulla da fare. L’attacco fu così virulento da portarsi via quasi tutto nel giro di pochi anni. La gente accettò; caparbiamente si rivolse ad altre colture, alcuni se ne andarono. Qualche coltivazione rimase: piantata e ripiantata da qualcuno più testardo e/o appassionato. Qualcosa c’è ancora…tutti quegli impianti allora così sbuffanti ora tacciono, sarà possibile ancora ricominciare?
La nostra speranza fa capolino: è possibile…”