E’ stato fissato per il prossimo 27 settembre l’Appello del processo Breakfast che in primo grado ha visto la condanna a due anni di carcere, pena sospesa, del Sindaco di Imperia Claudio Scajola con l’accusa di procurata inosservanza della pena, per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, a sua volta condannato a tre anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
In un primo momento a Scajola venne contestata anche l’aggravante mafiosa, poi decaduta su richiesta dello stesso Procuratore Aggiunto, Giuseppe Lombardo.
Un Appello che arriva a oltre due anni di distanza dalla sentenza di primo grado, a reato molto probabilmente già prescritto per quel che riguarda Claudio Scajola (e Chiara Rizzo), arrestato a Roma l’8 maggio del 2014, più di otto anni fa.
“Per noi la prescizione è un aspetto residuale – dichiara a ImperiaPost l’avvocato Elisabetta Busuito – Abbiamo chiesto di assumere delle nuove prove in sede di dibattimento di Appello perché vogliamo che anche l’ultimo segmento di condotta cada. Nell’auspicio che la Corte voglia assumere queste nuove prove, il nostro obiettivo è ottenere un’assoluzione nel merito”.
Processo Breakfast: fissato l’Appello
Insieme a Scajola, difeso dagli avvocati Elisabetta Busuito, Giorgio Perroni e Patrizia Morello, compariranno davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria Chiara Rizzo, ex moglie di Amadeo Matacena, condannata a un anno di carcere, per procurata innoservanza della pena, Martino Politi e Mariagrazia Foridelisi, ex collaboratori di Matacena, entrambi assolti in primo grado dall’accusa di intestazione fittizia di beni.
Nello stesso procedimento vennero coinvolti anche l’uomo d’affari Vincenzo Speziali, catanzarese ma residente a Beirut, in Libano, sposato con una nipote del leader cristiano maronita Amin Gemayel, che ha patteggiato un anno di carcere, e Roberta Sacco, ex segretaria di Claudio Scajola, condannata a 1 anno e 6 mesi di carcere con la formula del rito abbreviato. Entrambi accusati di procurata inosservanza della pena.
Il collegio composto dai giudici Pratticò, Rachele e Barbieri motivò così la condanna di Claudio Scajola al termine del processo di primo grado: “Non vi è alcun dubbio che l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla Rizzo, in concorso con Speziali ,onsistente nell’attuare lo spostamento di Matacena da Dubai in Libano, si legasse funzionalmente all’intenzione dello stesso Matacena di sottrarsi alla cattura, poiché attraverso quell’aiuto egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza certamente maggiori di quelle di cui godeva a Dubai mentre, senza quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente […] Sulla scorta delle emergenze processuali, può ritenersi che lo spostamento di Matacena da Dubai a Beirut sia stato organizzato da Scajola e Speziali in un contesto tutt’altro che estemporaneo e casuale, che ha fornito allo Scajola sicura garanzia di concretezza del piano, in quanto progettato con l’apporto di soggetti di elevato rangoistituzionale,che avevano sicura possibilità di attuarlo,nella stessa cornice temporale, in cui organizzavano un’altra latitanza, vale a dire quella di Marcello Dell’Utri, che verrà arrestato proprio a Beirut”.
Una tesi offensiva da sempre respinta dalla difesa (che nella propria arringa parlò di “indagine lacunosa” e “di un quadro accusatorio non corrispondente tra quanto avvenuto e quanto ipotizzato“), secondo cui “Scajola non avrebbe mai operato per aiutare Matacena a sottrarsi alla legge e non aveva alcun interesse per la sorte di Matacena, ma piuttosto quello di aiutare la moglie dell’ex parlamentare, Chiara Rizzo, nei confronti della quale nutriva qualche sentimento”.