Dopo la carne arriva anche il pesce sintetico, creato in laboratorio con cellule staminali in provetta. Secondo quanto annunciato ieri dalla Confederazione Nazionale Coldiretti in occasione dell’incontro al Meeting di Rimini su “La crisi alimentare globale: la persona al centro”, però, circa il 68% degli italiani (7 su 10) ancora non si fida, nutrendo svariati dubbi sia in materia di tutela ambientale che in termini di salute.
Alimentazione: dopo la carne, arriva il pesce sintetico. Interviene la Coldiretti
La sperimentazione di questo “pesce sintetico” nasce in Germania con i primi bastoncini di sostanza ittica coltivati in vitro, senza aver mai neppure visto il mare, seguita a stretto giro dalla sperimentazione statunitense sul sushi in provetta.
“Con questo progetto, la società tedesca Bluu Seafood – spiega Coldiretti – promette di ricreare in laboratorio la carne di salmone atlantico, trota iridea e carpa partendo da cellule coltivate e arricchite di proteine vegetali.
Per ora in Germania si punta alla realizzazione di prodotti come bastoncini e polpette, realizzate facendo biopsie ai pesci e creando masse di cellule autoriproduttive da confezionare per il consumo umano.
Negli Stati Uniti, invece, il colosso Nomad Foods, proprietario, tra gli altri, del marchio Findus Italia, ha firmato un accordo con la start-up californiana BlueNalu per studiare il lancio di pesce da colture cellulari, mentre la Wildtype di San Francisco ha raccolto un capitale di 100 milioni di dollari per sviluppare un sushi da salmone coltivato in laboratorio, programmando l’eventuale distribuzione su larga scala attraverso accordi con una catena di sushi bar con 1230 punti vendita negli States e una di poke, e in Corea del Sud la CellMeat sta lavorando anche sui gamberetti in provetta”.
Un business non indifferente, soprattutto se si considera che, a livello globale, ogni anno vengono consumati in media oltre 20 kg di pesce vero pro capite. Dato che nel Vecchio Continente arriva a una media di 25 kg pro capite e in Italia sale a circa 28 kg.
“Si tratta di una deriva alimentare iniziata anni addietro con la carne sintetica americana – spiegano Gianluca Boeri e Guido Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato confederale – sostenuta da importanti campagne di marketing improntate a nascondere i colossali interessi commerciali e speculativi in ballo per esaltare, invece, il mito della maggior sostenibilità rispetto alle tradizionali attività di allevamento e pesca. Ebbene, non è così”.
“Questa tanto declamata nuova frontiera dell’innovazione in ambito alimentare non potrà mai equiparare i metodi tradizionali – spiega Daniela Borriello, Responsabile di Coldiretti Impresa Pesca Liguria – né il ruolo fondamentale dei pescatori per l’equilibrio ecologico di mare e terra. Ogni giorno, infatti, sono proprio loro a mettere in atto un importantissimo lavoro di pulizia dei nostri mari, provvedendo alla raccolta di rifiuti finiti nelle acque e riportandoli a riva per poterli smaltire correttamente, nel pieno rispetto dell’ecosistema. In Germania si è arrivati a questa nuova frontiera della produzione alimentare proprio a causa della decisione di chiudere le attività di pesca, che limita, di fatto, i livelli di sicurezza sia per l’ambiente che per la salute umana”.
Come per la carne, infatti, anche il pesce da laboratorio fa sorgere diversi dubbi e, in molti casi, anche storcere il naso. Tali procedimenti, infatti, non solo non salvano gli animali, ma non aiutano nemmeno l’ambiente, a causa dell’ingente consumo di acqua ed energia, e la salute, in quanto non fornisce la garanzia che i prodotti chimici utilizzati per la realizzazione del prodotto siano sicuri per il consumo alimentare.
“Nulla a che vedere con il pesce italiano – continua Borriello – né con il nostro pesce ligure, la cui qualità è una certezza e una promessa di salute per noi e per le nostre tavole”.
Non a caso, interrogati sui motivi principali per i quali boccerebbero il cibo fatto in laboratorio, il 68% degli italiani ha messo sul podio delle proprie perplessità anzitutto il fatto di non fidarsi delle cose non naturali, fattore seguito a stretto giro dai consistenti dubbi in merito alla sicurezza per la salute (60% degli intervistati), dalla considerazione che il cibo artificiale non avrebbe lo stesso sapore di quello vero (42%) e dal timore per il suo impatto sull’ambiente (18%).
“Le bugie sul cibo in provetta – concludono Boeri e Rivarossa – confermano la precisa strategia delle multinazionali sottesa alla produzione di questi alimenti 4.0, la quale, attraverso con abili operazioni di marketing, puntano a modificare le sane abitudini alimentari naturali, fondate sulla qualità e sulla tradizione che la nostra Liguria promuove, invece, da sempre attraverso i propri prodotti, celebri in tutto il mondo come sinonimo di salute e benessere”.