La sentenza con cui la Cassazione ha respinto la richiesta danni di Francesco Bellavista Caltagirone riscrive la storia giudiziaria, e non, del porto turistico di Imperia. Dall’assenza di una gara d’appalto, sino alla permuta70-30 antecedente al rilascio della concessione, passando per le discrepanze nella contabilità, la Suprema Corte mette nero su bianco le anomalie del percorso amministrativo che ha portato l’imprenditore romano nel capoluogo ligure per costruire quello che doveva essere “il porto più bello del Mediterraneo”.
Imperia: porto turistico, una sentenza riscrive la storia
La Cassazione, non solo conferma i dubbi già espressi dalla Corte d’Appello nella sentenza di assoluzione del processo porto, quando i giudici parlarono di “opera sconfortante“, di “una dubbia commistione di interessi politici ed economici, pubblici e privati”, di “ingerenze inopportune ed indebite”, di “incertezza sulle procedure applicate” e di “un quadro complessivo che certo può far sospettare che si siano verificate delle irregolarità e sinanche degli illeciti di rilievo penale”, ma entra nel merito delle singole procedure.
Il passaggio più significativo dell’intera sentenza è quello in cui la Corte scrive “Caltagirone aveva dettato le sue condizioni per partecipare“, confermando il punto cardine non solo dell’inchiesta giudiziaria, ma anche della critica politica dell’epoca. Caltagirone ha scelto Imperia perché allettato dalla prospettiva di poter agire liberamente, perseguendo i propri interessi.
La storia del porto in sintesi
Nel 1992 viene costituita la Porto di Imperia Spa, società composta al 48% dal Comune di Imperia e al 52% dall’Imperia Sviluppo, composta a sua volta da imprenditori locali, tra i quali Carli, Isnardi e Cozzi Parodi. Nel 2005 la compagine societaria cambia. Come? Con l’ingresso della società Acquamare, del gruppo Acquamarcia, che fa capo all’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone. L’Acquamare entra nella Porto di Imperia Spa con il 4% delle quote, poi con un aumento di capitale, ne acquisisce il 33%, in parte dall’Imperia Sviluppo, in parte dal Comune di Imperia che, tramite il consiglio comunale, rinuncia ai patti parasociali e al diritto di prelazione sul 4%.
Sempre nel 2005 Porto di Imperia Spa e Acquamare sottoscrivono una permuta. L’Acquamare si impegna a realizzare il porto turistico, trattenendo per se il 70% delle opere, a mare e a terra, e lasciando il restante 30% alla Porto di Imperia Spa.
L’anno successivo, nel 2006, il Comune di Imperia rilascia una concessione di 55 anni, per la realizzazione del porto turistico, alla Porto di Imperia Spa. La Porto di Imperia Spa, a sua volta, affida i lavori per la costruzione del porto, senza alcuna gara d’appalto, all’Acquamare, sua socia al 33%.
La gestione del porto
Da quel momento Caltagirone ha gestito l’opera porto come un’opera di sua proprietà (come da lui stesso ammesso durante il processo, a Torino), con una lunga catena di subappalti, senza tenere alcuna contabilità, costruendo grazie ai finanziamenti delle banche (140 milioni di euro). Non soldi suoi, ma delle banche. A garanzia del mutuo concesso all’Acquamare, società con capitale sociale di appena 10 mila euro, l’imprenditore ha chiesto alla Porto di Imperia Spa (non all’Acquamare o all’Acquamarcia, società di sua proprietà) di sottoscrivere un’ipoteca sulle future, all’epoca ancora non realizzate, opere dello Stato. Non sue, ma dello Stato (tanto che il Consiglio di Stato l’ha dichiarata nulla).
L’immobilismo delle istituzioni
In questo quadro tutt’altro che trasparente, il Comune di Imperia (così come gran parte della politica locale, di centrodestra) si è messo a disposizione di Caltagirone, senza mai far valere le proprie ragioni, senza mai tutelare il proprio patrimonio, senza mai esercitare il proprio ruolo di controllo. E non lo ha fatto neanche chi, teoricamente, avrebbe dovuto rappresentare una garanzia per la città, ovvero l’allora Ministro, oggi Sindaco di Imperia, Claudio Scajola che, non più di qualche mese fa, parlando dell’inchiesta porto turistico, ha dichiarato ‘ci siamo fatti male da soli’. Chi ha fatto male alla città, in realtà, come chiaramente evidenziato dalla Cassazione, è stato qualcun altro, certamente non l’opposizione politica (accusata in un recente consiglio di essere la causa del fallimento del porto turistico), men che meno la Magistratura, la cui unica colpa, semmai, è stata quella di non riuscire a costruire un castello accusatorio abbastanza solido pur in presenza di molteplici irregolarità, ormai conclamate.
La sentenza della Cassazione va ad aggiungersi ad altre pronunce che, negli ultimi anni, hanno confermato in più occasioni l’inadeguatezza dell’operazione porto. Dalla conferma della decadenza della concessione a quella del fallimento della Porto di Imperia Spa.
Qualcuno, oggi, dovrebbe chiedere scusa alla città. Noi attendiamo, fiduciosi.
Mattia Mangraviti