“Solamente al pensiero di quello che è successo mi vergogno. Mi è caduto il mondo addosso“. Questa la drammatica testimonianza, riportata questa mattina in Tribunale a Imperia, da un 68enne, commerciante di Riva Ligure, nell’ambito del processo, dinanzi alla giudice monocratica Francesca Minieri (PM Veronica Meglio), che vede sul banco degli imputati un’intera famiglia, arrestata dai Carabinieri lo scorso 16 giugno 2021, con l‘accusa di circonvenzione di incapace. Nel dettaglio, sono finiti alla sbarra padre, 42 anni, Daniele Riviera, madre, 42 anni, Sonia Magaton, e figlio, 21 anni, David Riviera (difesi dall’avvocato Luca Ritzu).
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Secondo l’accusa i tre avrebbero raggirato per anni un anziano (analfabeta), la moglie, e il figlio (disabile psichico), convincendoli di poter ottenere un risarcimento milionario per una compravendita di generi alimentari (formaggi, per un importo pari a circa 30 mila euro) non perfezionata. L’ammontare del raggiro ammonterebbe a circa 110 mila euro, tra contanti e ricariche PostePay. Si sono costituite quattro parti civili rappresentate dagli avvocati Sandro Lombardi del Foro di Imperia, Alessandra Pinori e Paolo Prato.
Nell’udienza odierna, sono ascoltati dal giudice il perito che ha analizzato le telefonate ricevute dalla parte offesa e una delle vittime, il 68enne.
“La mia famiglia è rovinata. Io mi fidavo e invece mi hanno preso tutti i soldi. Ci ho creduto come un pollo – ha affermato affranto il 68enne rispondendo alle domande del PM – Quando Magaton è stata arrestata non ci credevo, li credevo una famiglia pulita. Solamente al pensiero di quello che è successo mi vergogno. Mi è caduto il mondo addosso. Continuavo a versare i soldi anche se i miei familiari erano contrari, ho combattuto per anni con la mia famiglia. Io sono un piccolo artigiano, vendo formaggi a Riva Ligure e nelle fiere.
Tutto è iniziato nel febbraio 2016 – ha spiegato la parte offesa – quando ho conosciuto la Magaton a una fiera. Da lei avevo inizialmente comprato una piccola partita di formaggi. Quando poi ne ho ordinato degli altri, per un valore di 3 mila euro, pagando in anticipo e in contanti, non sono mai arrivati. Il fornitore, un certo ‘Puddu’, aveva chiamato scusandosi e aveva dato alla Magaton due assegni, uno per me e uno per lei, da 15 mila euro, ma non si potevano incassare. A quel punto è entrata in scena un’avvocatessa, che mi chiamava con il numero privato, che ci consigliava di fare causa a Puddu a Montecarlo dove aveva già altre denunce. Ogni settimana davo soldi in contati alla Magaton o al marito o al figlio per le udienze, 1.500 euro a settimana. Se non pagavo mi dicevano che avrei perso tutto. Ho dovuto anche svendere delle mie proprietà per poter pagare”.
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La ricostruzione degli inquirenti:
L’attività trae origine da una segnalazione che – opportunamente approfondita dai militari – ha permesso di ricavare un quadro gravemente indiziante a carico dei destinatari dei provvedimenti i quali, da circa cinque anni, avevano indotto la vittima a versare periodicamente somme di denaro – tra i 500 e i 2.000 Euro – convincendola di poter ottenere un risarcimento milionario per una compravendita di generi alimentari non perfezionata.
In particolare, gli autori del reato avevano convinto il malcapitato di aver:
- acquistato una partita di merce (formaggi) per un importo di circa 30 mila Euro (fatto in realtà mai avvenuto);
- intentato una causa risarcitoria presso un Tribunale francese attraverso un avvocato associato a uno studio legale situato in Bulgaria (la prima inesistente, il secondo reale, ma estraneo alla vicenda in quanto senza alcun rapporto con la persona offesa);
- ottenuto un risarcimento superiore a 500.000 Euro, che sarebbe stato versato una volta pagate le spese di istruttoria e previo “sblocco” di un altrettanto fantomatico “server”.
L’attività di raggiro è stata corroborata da documenti in lingua straniera contraffatti, insistenti pressioni sulla vittima e telefonate da un avvocato fittizio.
Il ruolo degli arrestati
La moglie, Sonia Magaton, grazie alle non comuni doti di attrice, impersonificava sia il ruolo di una vittima dello stesso rivenditore di merce mai consegnata e accomunata nel diritto al risarcimento, nonché quello di legale, facendo credere di aver fatto ottenere un risarcimento milionario esigibile attraverso le continue richieste di denaro per “aprire il server”.
Gli altri due complici (marito e figlio) sono sono stati posti agli arresti domiciliari. Nella convinzione che ogni dazione sarebbe stata quella definitiva per ottenere il risarcimento a “sei zeri”, negli anni la vittima – in uno stato di totale soggezione e prostrazione psicologica – ha “volontariamente” dilapidato il patrimonio familiare, giungendo anche alla vendita di beni immobili.