La condotta di Carlo Conti fu “connotata da estremi di colpa grave”. Così la Cassazione nella sentenza con la quale ha respinto il ricorso presentato dall’ex direttore generale della Porto di Imperia Spa, Carlo Conti, assolto in tutti i gradi di giudizio nel processo Porto, contro la pronuncia della Corte d’Appello che aveva respinto la richiesta di risarcimento danni per ingiusta detenzione.
Una sentenza che arriva a pochi mesi da quella, identica, pronunciata per l’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone e che, ancora una volta, conferma una gestione tutt’altro trasparente dell’operazione porto turistico, a Imperia.
Imperia: porto turistico, niente risarcimento danni per Carlo Conti
Caltagirone aveva chiesto un risarcimento danni per ingiusta detenzione per la custodia cautelare in carcere dal 5 marzo 2012, giorno dell’arresto, poi sostituita in data 21 aprile 2012 con quella degli arresti domiciliari sino al 6 maggio 2013.
La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, si concentra inizialmente su una breve ricostruzione dell’operazione porto turisitico, in particolare sui corrispettivi economici per la realizzazione dello scalo.
“Il Conti era stato sottoposto a misura cautelare per una serie di illeciti commessi nella gestione dell’appalto per i lavori commissionati dalla società Porto di Imperia spa (società a partecipazione pubblica della quale l’indagato era amministratore) alla società Acquamare Srl (riconducibile al concorrente Caltagirone Bellavista Francesco) appaltatrice e, a sua volta, socio privato della società committente.
I reati contestati erano ricollegati alla realizzazione delle infrastrutture del porto turistico di Imperia, dietro corresponsione di importi esorbitanti rispetto al valore delle opere da eseguire; secondo l’impostazione accusatoria, le indagini avevano permesso di appurare che il corrispettivo stabilito (in accordo tra la parte pubblica e quella privata) in data 12 febbraio 2007 in euro 160.000.000 era successivamente lievitato ad euro 290.000.000, contestualmente permutato nel 70% dei diritti di concessione (attribuiti alla Porto Imperia Spa dalla Concessione demaniale Marittima n. 5/2006 del 28 dicembre 2006) aventi, questi ultimi, in realtà il valore di euro 338.058.000 (tra l’altro corrispondente al 76% del valore) a favore della Acquamare Srl, pur a fronte di costi di costruzione indicati nel più modesto importo di euro 77.475.000 (coincidente con quanto indicato nell’atto di concessione)”.
Carlo Conti, no al risarcimento danni: “Gestione improntata all’inosservanza di regole”
“Il giudice della riparazione – scrive la Cassazione – […] ha osservato che sussistevano le condizioni ostative al riconoscimento dell’equa riparazione, in quanto, alla luce dei dati fattuali della vicenda processuale, era emersa incontestabilmente la figura, nella vicenda processuale in oggetto, del Conti, quale soggetto che aveva posto in essere un’articolata condotta connotata da estremi di colpa grave, in quanto egli, con più azioni dimostrative di una sua gestione improntata all’inosservanza di regole nell’ambito della propria funzione, aveva certamente orientato l’autorità giudiziaria verso la sussistenza delle ipotesi delittuose che gli erano state contestate.
Nell’ordinanza impugnata si è dato adeguatamente conto che tale variegato comportamento, ritenuto illegittimo da più organi giurisdizionali e dallo stesso Giudice della sentenza assolutoria ed esercitato attraverso una pluralità e molteplicità di atti o conversazioni comprovanti un ruolo direttivo nell’adozione di condotte quantomeno non corrette, aveva esercitato una funzione sinergica nell’adozione della misura cautelare.
Le contestazioni a Carlo Conti
Analizzando le contestazioni mosse all’ex Direttore Generale della Porto di Imperia Spa, così come già accaduto per Francesco Bellavista Caltagirone, la Cassazione evidenzia ancora una volta l’opacità dell’operazione porto, parlando apertamente di “contesto di illegalità“. Una sentenza che smentisce ancora una volta la narrazione del Sindaco di Imperia Claudio Scajola e del centrodestra imperiese, secondo cui il progetto del porto più bello del Mediterrano sarebbe naufragato per colpa della Magistratura. I giudici della Suprema Corte smentiscono, inoltre, un’altra ricostruzione tanto abusata in questi anni, ovvero che l’operazione fosse a costo zero e vantaggiosa (33% delle quote) per il Comune di Imperia. La Cassazione, infatti, parla chiaramente di “imponente e ingiustificato trasferimento di risorse dalla città di Imperia, azionista al 33% del Porto di Imperia, alla società interamente privata Acquamare Srl”.
In particolare, i giudici della Suprema Corte riassumono in quattro punti le contestazioni a Carlo Conti.
- l’imponente e ingiustificato trasferimento di risorse dalla città di Imperia, azionista al 33% del Porto di Imperia, alla società interamente privata Acquamare Srl, rispetto al quale egli si sarebbe adoperato per impedire che la Commissione di controllo e collaudo e l’Autorità di vigilanza avessero a disposizione tutta la documentazione necessaria per espletare i loro compiti istituzionali;
- le ambiguità in ordine alla qualificazione dell’opera come pubblica (vedi la lettera del 1° marzo 2010 indirizzata al Comune di Imperia ed alla Amat Spa in cui chiedeva l’applicazione delle tariffe riservate alle utenze del Comune di Imperia) o privata (vedi la memoria depositata nel corso delle indagini preliminari);
- la sua condotta certamente inadeguata riguardo ai S.A.L., che erano cruciali per verificare se il capitolato di appalto fosse stato rispettato, nonché la natura e la qualità dei materiali impiegati, considerato che, in prospettiva, i beni sarebbero stati acquisiti dal demanio dello Stato;
- la mancata corresponsione degli stati di avanzamento lavori, pur richiesti sin dal 2008, giacché la contabilità di cantiere non era stata tenuta; con l’ulteriore grave conseguenza che erano ignoti l’eventuale conformità delle opere al progetto e il reale ammontare dei costi;
- il Conti, messo alle strette, aveva trasmesso solo nel 2010 una documentazione totalmente inattendibile, che confondeva i costi con il valore delle opere, confusione della quale il Conti, manager di lungo corso, non poteva non essere consapevole, contribuendo quindi a creare un humus compatibile con i reati successivamente ascrittigli.
Le conclusioni
“Si è logicamente evidenziato che il comportamento posto in essere dal richiedente, sebbene non ritenuto idoneo a configurare un illecito penale, aveva integrato una situazione a lui ascrivibile, configurando un contesto di illegalità. In sostanza si è chiarito che la piattaforma probatoria oggettivamente riferibile al richiedente e dotata, all’epoca, di efficacia sinergica nell’adozione della misura cautelare, aveva fondatamente ingenerato nell’autorità giudiziaria l’apparenza, poi rivelatasi erronea, della responsabilità del Conti in ordine alle fattispecie criminose contestate.
L’ordinanza impugnata lumeggia adeguatamente la condotta posta in essere dal richiedente, rispetto al profilo della rimproverabilità colposa, che è stato individuato nei comportamenti rivelatori di una serie di anomalie evidenziate dal compendio probatorio e appare del tutto coerente rispetto alle linee interpretative tracciate dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell’indennizzo, in tema di riparazione per ingiusta detenzione“.