Dopo Francesco Bellavista Caltagirone, Andrea Gotti Lega e Carlo Conti, anche Delia Merlonghi si è vista respingere dalla Cassazione il ricorso contro la pronuncia della Corte d’Appello che aveva respinto la richiesta di risarcimento danni per ingiusta detenzione nell’ambito della maxi inchiesta sul porto turistico di Imperia.
Una sentenza, quella della Cassazione, che mette a nudo tutti i lati oscuri dell’affaire porto turistico. Una risposta, l’ennesima, a chi, da anni, continua a sostenere la bontà dell’operazione, accusando la Magistratura di averne bloccato la realizzazione.
Tra le contestazioni i costi gonfiati, la sovrapposizione di ruoli nei quadri dirigenti di Porto di Imperia Spa (società incaricata della gestione dello scalo, al 33% del Comune di Imperia) e Acquamare (società della galassia Caltagirone, affidataria dei lavori di realizzazione del porto), la mancanza di stati di avanzamento lavori attendibili, l’assenza di gare di appalto e procedure a evidenza pubblica.
Porto di Imperia: ingiusta detenzione, niente riscarcimento danni per Delia Merlonghi. Le motivazioni
Richiamando la sentenza della Corte d’Appello, la Cassazione elenca tutti gli “elementi di sospetto” dell’operazione porto turistico.
- L’assegnazione della concessione marittima demaniale in favore della Porto di Imperia Spa in assenza di una procedura ad evidenza pubblica.
- L’ingresso della Acquamare s.r.l. nella compagine azionaria della Porto di Imperia s.p.a. senza nessuna procedura di gara e previa rinuncia del Comune di Imperia all’esercizio del diritto di prelazione.
- Il mancato espletamento di una gara aperta alla partecipazione del maggior numero di imprese possibile per la realizzazione dei lavori del porto turistico della città di Imperia.
- La presentazione alla Commissione di Vigilanza e Collaudo di S.A.L. e di fatture del tutto inattendibili e la successiva correlata mancata produzione dei verbali della predettaCommissione dinanzi al T.A.R. investito dall’impugnativa del provvedimento di decadenza dalla concessione già rilasciata in favore della Acquamare s.r.l..
- La constatazione che i costi originariamente stimati per la somma di euro 77.000.000 a carico della Acquamare s.r.l. (la quale appaltava a terzi la totalità delle opere) erano di gran lunga inferiori al corrispettivo di euro 160.000.000 alla medesima poi riconosciuto dalla Porto di Imperia s.p.a..
- La qualità di membri del consiglio di amministrazione della Porto di Imperia s.p.a. (partecipata al 33% dal Comune di Imperia) rivestita da alcuni esponenti della famiglia Caltagirone, la quale, di fatto, controllava la Acquamare s.r.l.
- La concreta inoperatività della Peschiera Edilizia s.r.l., la quale (priva di personale dipendente e con un capitale di soli euro 10.000) risultava avere la propria sede legale in Roma presso il medesimo indirizzo della Acquamarcia Servizi Immobiliari, senza che i dipendenti di quest’ultima conoscessero una simile circostanza.
- La rilevante differenza tra il corrispettivo dedotto in favore della Porto di Imperia s.p.a. (pari ad euro 160.000.000 poi lievitati fino ad euro 209.000.000) e quello dedotto in favore della subappaltatrice Acquamare s.r.l.. (euro 110.000.000 poi elevato ad euro 160.000.000) per la realizzazione della totalità delle opere (poi subappaltate “a cascata”).
La posizione della Merlongi
Per quanto concerne, invece, la condotta della Merlonghi, la Cassazione, richiamando la Corte d’Appello, lo definisce, così come per l’imprenditore Caltagirone, “gravemente colposo”.
- La Merlonghi aveva assunto le vesti di legale rappresentante della Acquamare Srl allo scopo esclusivo di subentrare a Gotti Lega Andrea (il quale sarebbe così entrato a far parte del consiglio di amministrazione della Porto di Imperia s.p.a.), senza essere dotata delle necessarie competenze tecniche e giuridiche e di autonomia decisionale, procedendo alla sottoscrizione dei contratti relativi all’esecuzione delle opere secondo le indicazioni fornitele dallo stesso Gotti Lega o dall’ufficio legale interno, così senz’altro ingenerando l’inevitabile apparenza di operare come una sorta di ‘testa di legno‘ nell’ambito di un’operazione complessiva che, nonostante la successiva ravvisata insussistenza dell’ipotizzata truffa, rilevava aspetti che – nella sede e nella logica cautelare – avevano indotto l’autorità giudiziaria a ravvisare profili anomali e penalmente rilevanti.
- La Merlonghi aveva mantenuto contestualmente la carica di Presidente della Peschiera Edilizia e, in virtù di ciò, aveva concluso con sé stessa il contratto di subappalto intervenuto tra la Acquamare s.r.l. e la Peschiera Edilizia, in tal modo contribuendo a rafforzare le apparenze di un’insolita ed anomala operazione, percepita dall’autorità giudiziaria come articolata sulla base di una catena di subappalti fittizi.
- La Merlonghi non sapeva giustificare la rilevante differenza tra il corrispettivo dedotto in favore della Porto di Imperia s.p.a. e quello dedotto in favore della subappaltatrice Acquamare s.r.l. se non mediante il generico e non meglio precisato riferimento ad oneri finanziari, oneri di struttura, spese generali, ecc., del tutto inverosimili alla luce della notevole discrasia tra i due corrispettivi sia alla luce dell’inoperatività di fatto della Acquamare s.r.l. (che appariva alla stregua di una “scatola vuota”).
“La Merlonghi – scrive la Cassazione – assumeva il rilevante ruolo di legale rappresentante della Acquamare s.r.l., pur ammettendo di non possedere la competenza e le conoscenze necessarie, inserendosi in una complessa procedura concorrenziale, che sarebbe stata quantomeno opportuna, trattandosi di appalto concernente lavori di elevato importo, da esperire relativamente ad un bene demaniale. Il tutto avveniva in un contesto palesemente ambiguo, avendo la Corte torinese evidenziato la permanenza della carica di Presidente della Peschiera Edilizia in capo alla Merlonghi, che mediante più azioni dimostrative di una sua gestione improntata all’inosservanza di regole nell’ambito della propria funzione e ad una commistione di cariche unitamente al Gotti Lega, aveva certamente orientato l’autorità giudiziaria verso la sussistenza delle ipotesi delittuose a lei contestate.
La natura privatistica e non pubblica del contratto non esonerava dall’osservanza di alcune regole contrattuali (vedi, in particolare, in relazione alle carenze documentale in ordine alla tipologia e alla contabilità dei lavori effettuati).
La Merlonghi non si è specificamente confrontata con le suesposte argomentazioni, limitandosi principalmente a raffronti tra l’ordinanza custodiale e le sentenze di assoluzione. Ella, peraltro, forniva chiarimenti solo parziali sulla natura dell’operazione in sede di interrogatorio, sottolineando che la complessità della vicenda non consentiva di svilupparli in detta sede (anche perché svoltosi mediante rogatoria). In realtà, avrebbe potuto fornire chiarimenti anche in epoca successiva e in forme diverse dalla sua esposizione orale della vicenda.
Ebbene, il giudice della riparazione, ponendosi nell’ottica degli elementi a disposizione dell’autorità giudiziaria al momento dell’adozione della misura cautelare, stabiliva che il comportamento ambiguo della Merlonghi lasciava supporre che si stesse perpetrando una truffa ai danni dell’ente pubblico”.