“Fino ad oggi ho taciuto confidando, da avvocato, che potesse essere fatta giustizia“. Così Patrizia Ritondale, in una lettera aperta inviata al nostro giornale, interviene in merito al procedimento a carico di un 79enne, accusato di omicidio stradale per aver investito e ucciso una 70enne, Mirella Pizuorno, in Viale Matteotti a Imperia il 22 dicembre 2021, conclusosi con il patteggiamento a 1 anno di carcere e la sospensione della patente per due anni.
Mirella Pizuorno era la madre di Patrizia Ritondale che, attraverso la lettera inviata al nostro giornale, stigmatizza l’operato della Polizia Locale (criticato duramente anche dal Gip Paolo Luppi) e della Procura di Imperia, per non aver condotto adeguatamente le indagini, e lancia un appello al 79enne perché rinunci alla patente, “perché il buon senso arrivi dove non è arrivata la giustizia”.
Imperia: omicidio stradale, la lettera di Patrizia
“Fino ad oggi ho taciuto confidando, da avvocato, che potesse essere fattagiustizia – scrive Patrizia – Purtroppo così non è stato e, mi duole dirlo, ciò è dipeso – e non solo a mio parere – da un non accurato accertamento dei fatti durante la fase delle indagini.
Premetto che mia madre è stata investita sulle strisce pedonali ove è previsto un limite di velocità di 30 km/h e che, essendo stata sbalzata da terra di diversi metri, era gravissima.
Aggiungo che l’investitore, un uomo di settantanove anni, ha dichiarato di essersi avveduto di averla travolta solo a seguito dell’urto, tanto è vero che il veicolo si è arrestato dopo il punto di impatto.
La situazione è stata gestita male fin da subito in quanto gli agenti della Polizia Locale, nonostante fosse evidente la particolare gravità del fatto, non hanno eseguito accertamenti alcolemici e chimici per verificare se l’investitore fosse in stato di ebbrezza o di alterazione per l’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (si pensi, banalmente, anche all’assunzione di un farmaco che rientri in questa categoria). Inutile dire che in un caso di questo genere si sarebbe dovuto procedere con una catena di custodia che, come noto, viene disposta in situazioni anche meno gravi.
Incredibile leggere nell’annotazione di P.G. che l’investitore ‘seppur scosso per l’accaduto, non manifestava alcuna sintomatologia da assunzione di sostanze alcoliche e/o psicotrope‘: per effettuare quest’ultima verifica, infatti, non esiste un’apparecchiatura ad hoc simile all’etilometro e l’unico modo per stabilire se un soggetto è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope è il prelievo di campioni di liquidi biologici. Non si comprende, quindi, come gli Agenti siano potuti giungere a questa conclusione con un’indagine di carattere empirico. Sta di fatto che gli accertamenti non sono stati eseguiti.
Inoltre, nonostante dalla dinamica fosse evidente che l’investitore non avesse rispettato il limite di velocità, gli agenti non hanno nemmeno contestato la violazione dell’art. 141 CdS.
Ma non solo. Nel prosieguo delle indagini non si è provveduto a disporre né accertamenti sull’apparecchio di telefonia mobile per appurare se l’investitore al momento del sinistro lo stesse utilizzando, né tanto meno una perizia cinematica per stabilire la velocità a cui procedeva.
Tutti accertamenti, questi, che avrebbero potuto incidere sull’esito del processo in quanto avrebbero integrato delle aggravanti.
Io ed il mio difensore abbiamo cercato, nei limiti delle nostre possibilità investigative, di colmare tali lacune, tant’è vero che abbiamo anche depositato una perizia cinematica dalla quale è emerso che il corpo di mia mamma ha percorso, dal punto di impatto, un ‘tragitto’ di ben 7 metri e che l’investitore procedeva ad una velocità pari quasi al doppio di quella consentita. In assenza di quanto sopra, si è provveduto al patteggiamento con l’imputato (pena proposta un anno di reclusione con sospensione condizionale ed un anno di sospensione della patente).
Il mio difensore, pur sapendo che sarebbe stato difficile ottenerla, ha chiesto la revoca della patente evidenziando altresì che, vista l’età dell’imputato (settantanovenne) e la sua mancanza di prontezza di riflessi (comprovata dalle sue dichiarazioni), la sospensione della patente per un anno non fosse adeguata alla peculiarità della vicenda. E, voglio sottolinearlo, la richiesta non era in un’ottica punitiva – perché purtroppo niente e nessuno potrà restituirmi mia mamma – ma in un’ottica preventiva, ovvero per evitare che quanto accaduto si ripeta.
All’udienza del 25 gennaio u.s. il Giudice ha fatto correttamente quello che doveva e poteva fare secondo diritto, ovvero ha aumentato a due anni la sospensione della patente.
Nella sentenza ha dato atto che ‘in assenza di accertamenti alcoolemici e chimici tale ipotesi non può che rimanere tale, atteso che gli operanti della Polizia Locale hanno inopinatamente omesso di effettuare i menzionati esami’ e che ‘neppure sono stati compiuti accertamenti su apparecchi di telefonia mobile […] per verificare se, al momento del sinistro, egli stesse utilizzandoli e in tal modo non avesse potuto prestare la dovuta attenzione durante la guida‘, ragioni per le quali ha ritenuto che l’evento non potesse che attribuirsi (nella sostanza, per esclusione) ad una distrazione e ad ‘una sua guida del veicolo condotto scelleratamente ad una velocità assai superiore a quella consentita’.
Cosa dire? Ritengo che ci sia stata quanto meno poca accuratezza nell’accertare i fatti e che, proprio per questo, non potrò mai conoscere il vero motivo per il quale mia madre ha perso la vita. Qualora fossero state eseguite le verifiche di cui alla sentenza avrei potuto escludere alcune cause o, viceversa, averne la prova ed in quest’ultima ipotesi si sarebbero aperti altri scenari.
A prescindere da tutto, auspico che dove non è arrivata la giustizia arrivi il buon senso dell’investitore al quale rivolgo l’appello di farsi comunque un esame di coscienza e di valutare seriamente se sia in grado di rimettersi alla guida.”