“I bambini di Sarajevo si sono sì salvati, ma allo stesso tempo hanno perso tutto: la loro identità, la loro lingua, la loro terra e anche le loro madri. Ed è questo che mi ha colpito, questa contraddizione“. Queste le parole di Rosella Postorino, vincitrice del Premio Campiello nel 2018 con “Le Assaggiatrici”, ospite a Imperia per presentare il suo ultimo libro “Mi limitavo ad amare te”, nell’ambito degli incontri “Librinsieme”, in collaborazione con il Comune della Città di Imperia, la Biblioteca Civica “L. Lagorio” Imperia e le Librerie cittadine grazie al “Patto per la Lettura”.
Davanti a una sala gremita, l’incontro è stato condotto dalla scrittrice Raffaella Ranise. Letture dei brani a cura dell’attore Eugenio Ripepi. Presente l’assessore comunale alla cultura Marcella Roggero.
La storia segue i tre protagonisti del romanzo, Nada, Omar e Danilo, dall’orfanotrofio di Sarajevo all’Italia, dove trovano rifugio per sfuggire alla guerra combattuta nei paesi dell’ex-Jugoslavia. Un dramma che condiziona le loro vite e il loro futuro ed esplora varie tematiche della condizione umana: dalla maternità all’amicizia, dalla guerra all’amore, dalla crescita al fallimento. Ne abbiamo parlato con l’autrice nell’intervista video allegata a questo articolo.
Rosella Postorino a Imperia per presentare “Mi limitavo ad amare te”
Com’è nata l’idea di affrontare questa tematica?
“Mi è capitato nella primavera del 2019 di leggere un articolo di “Osservatorio Balcani e Caucaso” una testata online che si occupa di Est Europa. Questo articolo parlava dei bambini di Sarajevo, che nel luglio del ’92 erano stati portati in Italia per salvarsi dalle bombe.
La cosa che mi colpì di questo articolo era che molti di questi bambini venivano da un orfanotrofio, ma che avevano dei genitori che andavano regolarmente a fargli visita. È stato impossibile avvertire i genitori della loro partenza, perché la guerra non lo ha permesso. Questi bambini quindi sono venuti in Italia, ma non hanno più saputo nulla dei loro genitori non solo durante gli anni della guerra ma anche moltissimi anni dopo. Alcuni hanno ritrovato la loro madre dopo 20 anni.
Mi ha colpito questa contraddizione: questi bambini sì sono salvati, ma hanno perso tutto, la loro identità, la loro lingua, la loro terra e anche le loro madri. Ed è questo che mi ha colpito, ed è a partire da questa storia che ho inventato dei personaggi che seguo nel romanzo per quasi 20 anni”.
I tuoi personaggi vivono la tragedia della vita in modi diversi. Cosa accomuna queste storie?
“Sopravvivono proprio perché si legano uno all’altro. Li seguo per quasi 20 anni perché mi interessa raccontare le tracce, le ferite e i segni che la guerra e l’abbandono lascia nelle loro vite. Voglio raccontare anche come, nonostante tutto, crescono e la risorsa che ,oro hanno è esattamente questo legame.
Il fatto che essendo loro da soli, senza dei genitori a proteggerli, diventano uno per l’altro la cura e una nuova forma di protezione e di famiglia.
Il titolo ‘mi limitavo ad amare te’ dice proprio questo. Preso dal verso di una poesia di Izet Sarajlic, poeta bosniaco. I versi dicono ‘cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te’.
Come per dire che la storia, con la s maiuscola, ci travolge, la guerra, la pandemia, gli attentati, tutto quello che noi possiamo fare è limitarci ad amare, stringerci alle relazioni che il destino ci ha concesso in quel momento di avere”.
Questo è quello che fanno gli esseri umani”.
I personaggi hanno rapporti diversi con i genitori, in particolare con le madri. Perché è importante per lei questo tema?
“Mi interessa molto perché il tema della maternità è importantissimo nella nostra società. C’è una retorica molto forte della maternità, quasi come se le madri fossero delle creature lodate, osannate, tenute da conto.
In realtà non è così, c’è una grande forma di oppressione nei confronti della maternità. Anche una forma di misoginia, riduzione della complessità delle possibilità di essere donna ed essere madre in modi diversi ad una unica forma, che è quella accettata da una certa mentalità prevalente.
Mi interessa sfatare un po’ questa retorica, che in generale mi da sempre molto fastidio. La vita come dono, che è un’altra cosa che mi sta molto stretta. La vita come dono mi sembra semplicemente una frase fatta.
Da un lato c’è questo, dall’altro c’è una riflessione personale sulla responsabilità che significa mettere al mondo un figlio. Significa comunque prendersi delle responsabilità di creare qualcuno che proverà dolore, che è vulnerabile, perché gli esseri umani sono vulnerabili, la cui fine senza alternative è la morte. Questo non vuol dire che non dobbiamo mettere al mondo esseri umani, significa riflettere sulla retorica della vita come dono, su questa retorica della maternità come unica forma femminile.
Invece mi interessa provare a raccontare l’inconveniente di essere nati. Il fatto di essere gettati al mondo senza scegliere e una volta qui dobbiamo fare i conti con la vita, qualunque cosa la nostra vita sia”.
Com’è stato affrontare la scrittura di questo romanzo, con la consapevolezza che in Europa di nuovo c’è una guerra?
“Quando Putin ha invaso l’Ucraina io stavo scrivendo l’ultima parte del romanzo. Mi ha fatto molta impressione, venivo da anni di studio su questa guerra che assomiglia a quella in Ucraina.
In generale io studio guerra dal 2014, da quando ho deciso di scrivere ‘Le assaggiatrici’. Contemporaneamente vivo in occidente, in una zona del mondo che si credeva immune ormai dalla guerra.
Nonostante negli anni 90’ ci sia stata questa guerra nei Balcani che è durata quasi 10 anni, è stata completamente rimossa.
Mi ha fatto molta impressione e mi ha ricordato quanto la storia si ripeta. Noi crediamo mantenere la memoria degli eventi possa aiutarci a non ripetere il male, e invece la storia continua a ripetersi.
Questo ci lascia sgomenti. Mi ha creato delle domande sul rapporto tra memoria, oblio, rimozione. Quando la guerra in Ucraina è scoppiata, mi ricordo che sui media si diceva ‘dopo la seconda guerra mondiale, la prima guerra in Europa’. Questo mi dava la prova di come quella guerra nei Balcani fosse stata rimossa.
C’è sgomento, paura, desolazione, ma c’è anche la consapevolezza che purtroppo la storia degli esseri umani è una storia di guerre.
Quei brevi periodi dove abbiamo pensato di poter vivere senza guerra sono stata una anomalia. Tanto che il resto del mondo infatti è piano di guerre”.
Il suo libro è candidato al Premio Strega. Come ha accolto la notizia?
“Sono molto contenta, la strada è ancora molto lunga, però sono contenta che abbia ottenuto questo risultato”