“Andando a vivere in una favela brasiliana sapevo a cosa sarei andata incontro. Ma nonostante tutto, la considero la mia casa”. Queste le parole della giornalista e scrittrice imperiese Beatrice Baratto, rientrata a Imperia dal Brasile dove ormai da nove anni vive per gran parte dell’anno, affrontando non poche difficoltà.
Conosciuta da tutti gli abitanti della favela di Salvador di Bahia come ‘la gringa’, Beatrice in ogni suo viaggio porta con sè generi alimentari e articoli di primo soccorso, che, in un luogo dove l’accesso alle cure mediche e altre risorse essenziali è molto difficoltoso, fanno una grande differenza. Ben presto, la presenza di Beatrice e il suo impegno nel fornire aiuto concreto o anche solo ascolto e supporto, sono diventati fondamentali per la comunità.
Una comunità, però, che deve fare i conti costantemente con le tensioni sociali e la violenza brutale che si usa per risolvere ogni questione e che questa volta ha coinvolto drammaticamente da vicino anche la nostra concittadina.
Il dramma dell’imperiese Beatrice Baratto in una favela brasiliana
È appena tornata dall’ultima esperienza in Brasile, questa volta, però, è stata piena di dolore.
“Sì, la mia ultima esperienza è stata pesante, sicuramente la più pesante dei nove anni in cui vivo in Brasile. Purtroppo il 30 dicembre hanno ucciso il mio fidanzato. È stata una brutale esecuzione, sebbene lui non avesse fatto nulla. Non ho fatto in tempo a dire addio a lui che il 26 gennaio hanno ammazzato quello che io consideravo un fratello, anche se non di sangue. Mi sono trovata per la prima volta persa, straniera, in un posto che ho sempre considerato la mia casa. Mi sono sentita senza protezioni, è stata una sensazione orribile. Mi sono sentita in pericolo di vita, lo ero davvero. Per questo mi sono allontanata per un periodo, sono andata in una località di mare vicino alla favela, lavoravo in spiaggia, in bar, davo lezioni di inglese ai bambini. Mi mancavano la mia casa, i miei punti di riferimento, anche se ormai non ne avevo più. Così sono tornata a Imperia”.
Continua a essere un punto di riferimento per la popolazione della favela?
“Sì, per tutti sono ‘la gringa’, la ‘zia’. Se hanno bisogno vengono alla mia porta. Ogni volta che parto mi porto qualche cambio e poi tutto il resto della valigia è pieno di medicine. Per questo devo ringraziare la farmacia Gibelli, la farmacia Novaro, la dottoressa Penna, il dottor Carlo Amoretti, la dottoressa Maria Di Mare del Santa Corona. Anche quando sono là e mi trovo di fronte a una situazione che non so come affrontare li chiamo per avere dei consigli.
Io so fare proprio il minimo del primo soccorso, ma in un posto dove non c’è nulla, spesso fa la differenza. Sono la madrina di tre bambini, tra poco la sarò del quarto”.
Pensa di tornare nonostante tutto?
“Potessi tornerei adesso. Non so come spiegare quello che provo per quel posto. Le donne anziane della favela in cui abito dicono che nella via precedente ero una di loro. Sono molto religiose, la comunità più importante è la comunità evangelica.
So che è pericoloso, ma quando si sceglie una certa vita si sa a cosa si va incontro. Sono passata da vivere come una principessa, frequentando i locali più chic ed esclusivi, a una favela brasiliana e non riesco più a staccarmene. Ora sono a Imperia, però non vedo già l’ora di tornare a casa, in Brasile.
Provo sentimenti contrastanti, ma d’altra parte la mia vita è sempre stata di contrasti, da qui il titolo del mio libro ‘Nè giorno nè notte’. Sono abituata a convivere con questo equilibrio precario, per questo sto scrivendo il mio secondo libro”.