23 Dicembre 2024 05:38

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Omicidio Sargonia Dankha: “ho ucciso una donna”, ecco tutte le prove contro Salvatore Aldobrandi. Dalle tracce di sangue alle “confessioni”

In breve: Nell'ordinanza di custodia cautelare le prove che inchioderebbero il 73enne sanremese.

“Ho ucciso una donna“. Lo avrebbe confessato Salvatore Aldobrandi al gestore di un pub, cui aveva chiesto in prestito un’auto. E’ questo uno dei punti chiave dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del 73enne sanremese arrestato sabato scorso, a distanza di 28 anni, per l’omicidio dell’ex fidanzata, Sargonia Dankha, consumatosi in Svezia, Linkaping, il 13 novembre 1995.

Aldobrandi all’epoca era stato già arrestato in Svezia dalla Polizia svedese al termine delle indagini sulla scomparsa di Sargonia, accusato di averla uccisa e averne poi smembrato il corpo per bruciarlo all’interno del suo ristorante e farne sparire ogni traccia. Aldobrandi venne successivamente scarcerato poichè, secondo quanto previsto dalla legge svedese, senza il ritrovamento di un cadavere o di testimoni diretti, non si può procedere per omicidio. L’uomo quindi tornò in Italia e si ricostruì una vita, facendo il ristoratore a Sanremo.

Questa mattina, il 73enne, che ha precedenti per violenza sessuale e maltrattamenti, è comparso in Tribunale a Imperia, accompagnato dall’avvocato Andrea Rovere, e si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al Gip Massimiliano Botti.

Omicidio Sargonia Dankha: la ricostruzione degli inquirenti

Nelle 27 pagine dell’ordinanza, firmata dal Gip Massimiliano Botti, gli inquirenti ricostruiscono i passaggi cruciali dell’intera vicenda, illustrando quelle che ritengono le prove inconfutabili della colpevolezza di Salvatore Aldobrandi.

Il rapporto tra Aldobrandi e l’ex fidanzata

Il 13 novembre 1995 la 21enne Sargonia Dankha scompare improvvisamente dalla città di Linkaping. Non verrà mai ritrovata.

“La giovane – si legge nell’ordinanza – aveva un turbolento rapporto sentimentale con Salvatore Aldobrandi, il quale manifestava nei suoi confronti una morbosa gelosia e, non di rado, realizzava condotte vessatorie nei suoi confronti. La natura burrascosa della relazione viene testimoniata, oltre che dai genitori e dal fratello della vittima, anche da altri suoi parenti o amici/conoscenti della coppia”.

Il mistero dell’auto

Alle ore 18 del 13 novembre 1995, giorno della scomparsa di Sargonia Dankha, Aldobrandi ha effettuato una chiamata telefonica a una ex compagna, con la quale aveva avuto due bambini. Quest’ultima, sentita dagli inquirenti svedesi, ha raccontato che Aldobrandi “le aveva chiesto in prestito la sua automobile per trasportare alcune cose dalla propria abitazione al ristorante Maxim presso cui lavorava. Nonostante l’ex compagno fosse privo di patente, la donna acconsentiva alla richiesta, dando appuntamento all’uomo per il ritiro delle chiavi della macchina nell’ospedale in cui lavorava come infermiera. Aldobrandi si presentava quindi in ospedale poco dopo la telefonata e utilizzava l’autovettura fino alle ore 4 del mattino seguente, quando la restitutiva alla proprietaria parcheggiandola fuori dalla sua abitazione e riponendo le chiavi nella cassetta della posta”.

La donna ha riferito agli inquirenti di “aver trovato l’auto il mattino seguente molto più sporca di come fosse quando l’aveva data in prestito ad Aldobrandi e di aver notato che i seggiolini dei bambini erano stati sganciati dalla loro posizione originaria e che lo schienale dei sedili posteriori era stato ribaltato in avanti, come se l’uomo avesse avuto necessità di aumentare lo spazio e la portata di carico del bagagliaio”.

Secondo gli investigatori “effettivamente i sedili posteriori dell’auto erano stati abbassati e verosimilmente anche spostati in avanti, come suggerirebbe la presenza di una cintura di sicurezza incastrata tra i sedili. Tali operazioni avrebbero consentito ad Aldobrandi di aumentare la capacità di carico del bagagliaio e, cosi, di caricare al suo interno il corpo di Sargonia, che era alta cm 178 cm e pesava kg 63“.

Le tracce ematiche sull’auto

La donna ha riferito agli inquirenti anche “che l’auto presentava tracce di un passaggio su fondo stradale sterrato, nonostante lei avesse condotto la vettura esclusivamente su strade asfaltate e che Aldobrandi l’aveva invitata a mentire sulla data del prestito dell’autovettura, chiedendole di indicare il lunedì precedente a quello della scomparsa di Sargonia”.

Dai rilievi degli investigatori sull’auto è emersa la presenza di tracce ematiche in quattro punti all’interno del bagagliaio. In base agli accertamenti tecnici compiuti su tali tracce, risulta “con un livello di probabilità prossimo alla certezza che il sangue apparteneva a Sargonia Dankha”.

Le tracce ematiche nell’abitazione di Aldobrandi

All’interno dell’abitazione di Aldobrandi sono state rinvenute, scrivono gli inquirenti tracce di sostanza ematica, la cui forma ellittica e disposizione riportano ad una eziologia di natura traumatica: le macchie di sangue paiono cioè causate dal ‘brandeggio’ di un’arma, verosimilmente da taglio, ovvero un bastone. Tali schizzi di sangue hanno consentito di profilare un DNA corrispondente al di là di ogni ragionevole dubbio a quello di Sargonia Dankha. Ulteriori tracce ematiche riconducibili alla giovane sono state individuate su un giubbotto in pelle appartenente a Aldobrandi , precisamente sull’ascella destra, sul polsino destro e sulla spalla destra, vicino al colletto”.

Le confessioni di Aldrovandi

Sentito più volte dalla polizia giudiziaria scandinava, S.J. gestore di un pub a Linkaping, ha “dichiarato che Aldobrandi si era recato nel locale alle ore 16.00 o 17.00 del 13/11/1995 (giorno della scomparsa di Sargonia Dankha) […] Recatosi in una stanza in cui erano soli, Aldobrandi chiedeva a  S.J. se poteva prestargli un’autovettura per trasportare molti sacchi neri dell’immondizia contenenti vestiti. Al rifiuto opposto da S.J., insospettito dalla strana richiesta, Aldobrandi si allontanava, salvo poi fare nuovamente ritorno al club qualche ora dopo affermando di avere la disponibilità dell’autovettura e di necessitare di aiuto per il trasporto dei sacchi.

S.J. ha dichiarato che, in tale occasione, Aldobrandi gli aveva confessato di avere ucciso, sul letto, una persona di sesso femminile, di cui tuttavia non faceva il nome. Gli incontri tra S.J. e Aldobrandi sono confermati dai dipendenti del pub.

Un amico di S.J., R.J., ha dichiarato che quest’ultimo aveva raccontato che Aldobrandi ‘scosso e tremante’ lo aveva supplicato di avere in prestito un’autovettura e di essere aiutato a nascondere il cadavere di Sargonia fatto a pezzi, a fronte del pagamento di 100.000 corone […[ A fronte di tali elementi, non appare credibile la versione dell’indagato, il quale si è limitato ad affermare di aver rifiutato un mutuo di denaro a S.J., il quale per tale motivo aveva iniziato a nutrire astio nei suoi confronti, inventandosi di aver ricevuto la confessione dell’omicidio di Dankha“.

L’ultimo avvisamento di Sargonia Dankha

L’ultima volta Sargonia Dankha è stata vista il 13 novembre 1995, giorno della sua scomparsa, poco dopo le 9.30, da un cotenaeo. La giovane, secondo gli inquirenti, camminava in direzione dell’abitazione di Aldobrandi.

“Risulta che il 13/11/1995 alle ore 10.09 SargoniaDankha ha chiamato al telefono un’amica per svegliarla e rammentarle un appuntamento per le successive ore 11:30 – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – L’amica ha riferito che Sargonia era allegra […] Successivamente, in orario che si colloca certamente non molto dopo le ore 9:30, Sargonia viene vista da un coetaneo, che si trova presso il Mc Donalds durante una pausa scolastica – mentre percorre Strada Larsgatan con direzione da Drottningatan verso Tradgardstorget. All’incrocio con Nygatan il testimone la perde di vista.

Egli sottolinea che Sargonia camminava svelta ‘come se stesse andando da qualche parte’, non stava scappando da qualcuno, ma ‘camminava velocemente come si fa quando si ha fretta’; era sola e non portava con sé alcuna borsa, ma teneva in mano qualche cosa, forse un documento o una busta. Si sottolinea che il luogo dell’avvistamento si trova non lontano dall’abitazione di Aldobrandi e la direzione di Sargonia era proprio verso l’appartamento dell’indagato. Si tratta dell’ultimo avvistamento certo di Sargonia Dankha, la quale non si è recata all’appuntamento delle 11:30 con l’amica, né a quello successivo con i propri familiari, né, infine, ha fatto ritorno a casa, come dichiarato dal nuovo compagno”.

Ecco le prove a carico di Aldrobandi ritenute fondamentali dagli inquirenti

Sono tante, e schiaccianti, secondo gli inquirenti, le prove della colpevolezza di Aldrobandi. Dalle macchie di sangue alla confessioni, sino all’ultimo avvisamento della vittima.

  • “in occasione dell’ultimo avvistamento, Dankha si trovava all’incrocio della via dove risiedeva Aldobrandi  ed appariva diretta alla sua abitazione.
  • il giorno stesso Aldobrandi si è posto all’affannosa ricerca di un’automobile, ottenendo quella dell’ex compagna, alla quale il veicolo era restituito infangato e con i sedili posteriori spostati in avanti per ampliare il portabagagli, dopo aver verosimilmente percorso un centinaio di chilometri.
  • sull’automobile erano presenti tracce ematiche riconducibili senza margine di errore al DNA di Dankha.
  • tracce ematiche riferibili a Dankha erano rinvenute anche su un giubbotto in pelle e sul muro della camera da letto di Aldobrandi.
  • tali macchie sono compatibili con schizzi di sangue provocati da un atto violento.
  • Aldobrandi non ha fornito alcuna giustificazione della presenza del sangue di Dankha sul proprio giubbotto, all’interno della propria abitazione e sull’automobile presa in prestito.
  • Aldobrandi  ha successivamente invitato l’ex compagna a mentire sulla data del prestito dell’autovettura.
  • lo stesso 13/11/1995 Aldobrandi ha implorato il gestore di un pub di prestargli un veicolo per trasportare il cadavere di una donna.
  • nei giorni successivi alla scomparsa di Dankha, Aldobrandi non ha manifestato agli amici o conoscenti alcuna evidente preoccupazione, in maniera del tutto incongrua rispetto alla maniacale attenzione che le aveva riservato fino ad allora.
  • Due giorni prima della morte di Dankha, Aldobrandi , che proclamava perfino in presenza della cugina della vittima ‘Se non posso averla io allora nessun altro l’avrà’,  ha sorpreso l’ex compagna insieme al nuovo fidanzato.
  • in preda alla collera si è precipitato dai genitori della vittima, nonostante l’ora notturna, definendo Sargonia una ‘puttana’.
  • il giorno successivo minacciava al telefono il padre della ragazza di ‘poter nascondere Sargonia così che non l’avrebbe più rivista’. Tali clementi attestano la rabbiosa frustrazione di Aldobrandi una volta constatato di aver perso il controllo sull’ex compagna. Nonostante la corresponsione di una somma di denaro per consentirle di affittare un alloggio e il progressivo coagularsi di propositi punitivi nei suoi confronti: lo sgretolamento del possesso sulla giovane nonostante l’esercizio alternato di lusinghe e violenze ha innescato il progetto di castigarla. Passato nelle ore successive dal piano delle minacce alla concretizzazione, verosimilmente determinata da un qualche comportamento reattivo della vittima in occasione dell’ultimo incontro”.

Le conclusioni degli inquirenti

Secondo gli inquirenti Aldobrandi avrebbe ucciso Sargonia Dankna perché ossessionato dalla gelosia, incapace di contenere gli impulsi più violenti.

“Salvatore Aldobrandi, in costanza del rapporto con Sargonia Dankna, ha esercitato nei suoi confronti violenza fisica e psicologica con frequenza ed intensità tali da integrare gli estremi del delitto di maltrattamenti. Entrato il rapporto in crisi irreversibile, Aldobrandi, ossessionato dalla gelosia, ha realizzato l’omicidio di Dankha con modalità efferate, senza esitare neppure di fronte alla sua giovane età, e ne ha soppresso il cadavere, sottraendolo alla pietà dei congiunti. I comportamenti forsennati che hanno preceduto l’omicidio di Dankha attestano l’incapacità da parte dell’indagato di contenere gli impulsi più violenti e la tendenza a reagire alle frustrazioni con modalità di sopraffazione fisica, fino alle estreme conseguenze.

Al tempo stesso, l’indagato ha dato prova di notevole cinismo e freddezza nel concepire ed organizzare in breve tempo la distruzione del cadavere della vittima, in modo da approfittare delle norme giurisprudenziali svedesi, le quali escludono l’affermazione di responsabilità per omicidio laddove la salma non venga ritrovata o non vi siano testimoni diretti dell’uccisione. La soppressione del cadavere di Dankha è stata compiuta con tale efficienza che, a distanza di quasi  trent’anni, esso non è stato ancora ritrovato, nonostante le reiterate ricerche da parte svedese”.

I precedenti di Aldobrandi

In ultimo, gli inquirenti ricostruiscono, a ulteriore prova della colpevolezza, i precedenti penali dell’Aldobrandi, per molestie e violenza sessuale.

“Durante la permanenza in Svezia, Aldobrandi é stato condannato dal Tribunale di Lund in data 10/03/1994 alla pena di un mese di reclusione per lesioni e molestie nei confronti di tale U.G. che l’uomo aveva tentato di strangolare per aver osato interrompere la relazione: in data 26/01/1986 é stato condannato dalla Corte di Appello di Göta alla pena di anni due di reclusione per violenza sessuale nei confronti di E.N.. Risulta inoltre che Aldobrandi, una volta rientrato in Italia, ha contratto matrimonio per altre due volte in territorio italiano con cittadine extracomunitarie, entrambe di gran lunga più giovani di lui. Da tempo risiede a Sanremo e dalla prima unione ha avuto due figli. A seguito del divorzio ha convolaio a nozze con la seconda moglie, attuale compagna, dalla quale ha avuto altri due figli, ancora minorenni che con lui coabitano.

Aldobrandi tornato in Italia non ha perso occasione per tenere comportamenti violenti e minacciosi, soprattutto con le mogli, in perfetta consonanza con il comportamento registrato, sin dagli anni ’80, quando risiedeva in Svezia […] I suoi atteggiamenti di assoluta noncuranza, aggressività e violenza evincono dalle motivazioni di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Genova del 2009.

Gli elementi appena indicati tratteggiano una personalità feroce e risoluta, che non esita a esercitare la violenza pur di annichilire le vittime e soddisfare l’istinto di sopraffazione e dominio, incurante della legge penale cosi come di ogni regola di civile convivenza”. 

 

 

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