“Descrivo quella sorta di ansia perenne che l’artista apolide e precario ha da sempre. Il titolo ‘Paura di vivere’ lascerebbe presagire un indirizzo un po’ più cupo a livello di testo, invece è molto allegro perché si ironizza molto su questa condizione“. Così Eugenio Ripepi, cantautore, musicista, attore, regista, scrittore, descrive il suo ultimo lavoro, il brano intitolato “Paura di Vivere”.
Ripepi, autore di musica e testi”, ha collaborato con Simone Mazzone (chitarra), Mauro Vero (chitarra), Lorenzo Lajolo (basso) e Folkert Beukers (batteria). Il brano, edito da Bollettino Edizioni, è stato inciso e mixato presso l’Onda Studio di Imperia da Francesco Genduso ed è stato masterizzato presso Ithil World Studio di Imperia dal sound engineer Giovanni Nebbia.
Il videoclip, girato all’Onda Studio di Imperia con la regia di Aurora Sappa, vede la partecipazione dei musicisti che hanno suonato nel brano.
L’intervista a Eugenio Ripepi
Com’è nato “Paura di vivere”?
“È un po’ una svolta: da una parte il tessuto musicale nuovo, energico, chiaro, mai cupo, con le chitarre distorte e una maniera veloce ed energica come genere musicale. Dall’altra parte il cantautorato, quel tipo di impronta e di ricerca testuale che mi appartiene da sempre. È un matrimonio difficile, ma molto interessante.
‘Una luce stanca arrampicandosi si sporge da un’imposta’. Detto così sembra un verso difficile da masticare, ma in quel tessuto musicale veloce ed energico diventa qualcosa di nuovo, come se la musica fosse una sorta di cavallo di Troia, per veicolare un tipo di contenuto in cui può esserci una ricerca testuale. È una cosa un po’ in via di estinzione che oggi è sempre più difficile trovare ricerca dei testi nella nella musica contemporanea”.
Cosa ti ha portato a parlare di questa “Paura di vivere”?
“È un po’ l’anarchia degli artisti, a partire dall’ambito domestico in cui non si trova nulla, ma è un caos ordinato che ti permette di essere creativo. È un topos narrativo, un luogo comune quello di essere molto compressi nell’ambito dell’organizzazione quotidiana e quindi non trovare questi sbocchi, queste vie d’uscita, e avere una sorta di ansia perenne che l’artista apolide e precario ha da sempre.
Il titolo ‘Paura di vivere’ lascerebbe presagire un indirizzo un po’ più cupo a livello di testo, invece è molto allegro perché si ironizza molto su questa condizione. L’importante da questo punto di vista è non prendersi mai troppo sul serio.
È nato proprio così, col tentativo di smitizzare, non solo dal punto di vista musicale ma anche dal punto di vista testuale, il concetto del cantautore, raccontando un po’ quelli che possono essere i vizi e l’anarchia dell’artista”.
Com’è cambiato il mondo della musica?
“Possiamo dire che è un po’ un ‘casino’. Se arrivasse un ragazzo con un bel testo o una bella musica io potrei produrlo, ma il problema è a monte. Io potrei pagare lo studio di incisione, potrei aiutarlo economicamente, ma non ho, da produttore, nessun tipo di ritorno rispetto al suo sforzo.
Un artista che sia affaccia in questo momento al mondo della musica ha un problema di sovraesposizione. Ci sono tantissimi artisti che, con l’uso e l’abuso dei social, mandano in rete della roba che non è filtrata. Quindi alcune volte è interessante, altre volte, un po’ come diceva Battiato, siamo sommersi soprattutto di “immondizie musicali”.
Faccio sempre l’esempio per cui se ci sono due bar uno accanto all’altro, uno regala caffè l’altro li vende, è chiaro che andrai a bere il caffè da quello che che li regala. Il problema è che poi l’altro bar deve chiudere.
Quello che è successo nella musica più o meno è questo, ad un certo punto, non si sa per quale motivo, la musica è diventata gratis, non è più un bene di acquisto. È sempre più difficile in ambito musicale trovare un tipo di rapporto di collaborazione con un editore, se non per un artista già affermato.
È molto molto difficile in questo momento a livello produttivo sia da parte della produzione e sia da parte degli artisti esordienti, arrivare al successo.
Quindi il problema anche del talento è un argomento di cui si dovrebbe dibattere seriamente, se si vuole tornare ad avere un minimo di contenuto anche testuale nella forma canzone, che forse manca in questo momento nel panorama letterario italiano. Quello che era la letteratura musicale dei cantautori adesso non c’è più, ed è un vuoto molto importante che è stato lasciato”.
Qual è una lezione che hai imparato in questi anni nel mondo dell’arte?
“Direi: circondarsi di buoni amici. Ho avuto sempre la fortuna di collaborare con musicisti straordinari. In questo momento per esempio Simone Mazzone e Mauro Vero alle chitarre nel nuovo singolo che sta uscendo.
Simone lavora con diverse formazioni, da il meglio di sé e si diverte molto perché spazia tra i generi. E così Mauro, che è un musicista straordinario, e ha suonato veramente con chiunque. E Lorenzo, il mio bassista con cui collaboriamo da anni. Sono amici veri con cui condividiamo le giornate e le risate. Questo fa bene alla musica.
Il mio batterista Forchet Bakers è arrivato adesso e ha dato un’impronta veramente molto forte, un ritmo veramente veloce che io cercavo da tempo.
Per le mie canzoni ho trovato la via anche chiedendo dei nuovi stimoli agli amici e trovando delle nuove persone. Il consiglio, l’insegnamento che io potrei dare un artista è questo. Quello di curare bene le persone, perché probabilmente ne beneficerà anche la musica”.