L’europarlamentare di Forza Italia Lari Comi, eletta nel 2019 nella circoscrizione Italia Nord-Occidentale (che comprende anche Imperia), è stata condannata dal Tribunale di Milano a 4 anni e 2 mesi di carcere per corruzione di incaricato di pubblico servizio, truffa ai danni dell’Europarlamento e false fatture. Il processo è quello sulla cosiddetta “mensa dei poveri“.
Milano: Lara Comi condannata a 4 anni e 2 mesi di carcere
Il collegio, presieduto, Paolo Guidi, ha accolto la richiesta di condanna formulata dai Pm Civardi e Bonardi, disponendo anche la confisca di 28.700 euro, l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per 5 anni.
Lara Comi risultava implicata in un filone della maxi inchiesta sulle tangenti tra Milano e Varese, denominata “mensa dei poveri”.
Insieme all’europarlamentare, a processo anche il direttore generale di Afol Metropolitana Giuseppe Zingale, condannato a 2 anni, e l’amministratore delegato dei supermercati Tigros Paolo Orrigoni, assolto.
Assolti anche l’ex consigliere comunale di FI a Milano Pietro Tatarella e Fabio Altitonante, già consigliere regionale e assessore in Lombardia.
L’inchiesta era una costola della maxi indagine della DDA sulle tangenti a Milano e Varese che portò a 43 ordinanze di custodia cautelare, di cui 12 in carcere. Nel mirino degli inquirenti due gruppi criminali operativi tra Milano e Varese costituiti da esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori, accusati a vario titolo di associazione per delinquere, aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, corruzione e turbata libertà degli incanti. Il tuo finalizzato alla spartizione e all’aggiudicazione di appalti pubblici.
La nota stampa di Lara Comi
“Sono stupita della sentenza di condanna – si legge in una nota – Tutti gli elementi emersi nel corso del dibattimento militavano per una pronuncia assolutoria.
L’accusa di corruzione del direttore generale di Afol si fonda su dichiarazioni rese dall’avv. Bergamaschi in corso di istruttoria e sono confutate da riscontri oggettivi, ossia i messaggi WhatsApp ritrovati sul telefono dell’avvocato ligure. La quale in dibattimento ha dichiarato espressamente di non avere mai avuto richieste di riconoscimento di somme al direttore generale di Afol, scagionandomi dalle accuse mosse.
Per la truffa che sarebbe stata perpetrata con l’aumento di stipendio riconosciuto ad Aliverti, sono stati prodotti tutti i documenti attestanti le maggiori attività da lui svolte e che hanno legittimato tale aumento retributivo ritenuto congruo da una consulenza. Riguardo all’altro episodio di truffa, gli emolumenti riconosciuti al collaboratore Saia, sia la Gdf che Banca d’Italia hanno accertato che le somme percepite da detto collaboratore non sono maistate riversate in alcun modo all’onorevole Comi, come peraltro lo stesso Saia ha dichiarato al dibattimento. E’ quindi evidente che impugneremo una sentenza che ribadisco ritengo ingiusta e lotterò in ogni sede per dimostrare la mia innocenza”.