23 Dicembre 2024 20:35

23 Dicembre 2024 20:35

Hamas attacca Israele: da Ramallah la testimonianza dell’imperiese Susanna Bernoldi. “Ogni violenza è da condannare, ma perchè i massacri al popolo palestinese rimangono nel silenzio? Ecco cosa succede ogni giorno”/ Le immagini

In breve: L'imperiese Susanna Bernoldi è tornata in Palestina dopo le esperienze del 2018 e del 2021

“Stamani l’attacco di Hamas. Sorpresi? Scioccati? 
Credo fermamente che ogni violenza sia da condannare ed ogni vita umana sia sacra. E proprio per questo mi sorprendo ogni volta che vedo discriminato il popolo palestinese e soprattutto quello di Gaza che vive, lo dichiara la stessa ONU, in una prigione a cielo aperto privato di acqua, luce e beni essenziali e periodicamente sottoposto a massacri indicibili da parte di uno degli eserciti più potenti al mondo. Privato soprattutto della libertà e di ogni possibilità di sviluppo. 
Tutto ciò avviene nel silenzio dei paesi occidentali, implicaticonnessi con gli interessi della finanza e del commercio israeliani che mette a tacere ogni possibile reale difesa dei Palestinesi: tutte le condanne dell’ONU e della Corte Internazionale di Giustizia sono rimaste carta straccia”.

Lo scrive l’imperiese Susanna Bernoldi, storica volontaria che, da alcune settimane, si trova in Palestina, in compagnia di un altro attivista imperiese, per supportare il popolo palestinese (qui il report del 26 settembre). Proprio in queste ore di altissima tensione, Susanna si trova a Ramallah, città palestinese situata in Cisgiordania. Per questo la volontaria imperiese ha deciso di aggiungere al nuovo report delle sue attività un aggiornamento relativo ai recenti sviluppi che stanno generando allarme nella comunità internazionale.

“Quando un popolo è occupato e soprattutto in modo violento, ha il diritto di ribellarsi (Convenzione di Ginevra). Perché la Palestina, che dal 1948 è stata depredata di innumerevoli vite del suo popolo e di tutte le sue risorse e che è sottoposta a continue privazioni di libertà e ad umilianti accordi di pace, non ha il diritto di ribellarsi a questo stato coloniale e palesemente di apartheid?

E’ ora che la Comunità internazionale si liberi da questa vergognosa connivenza e difenda i diritti negati del Popolo palestinese e sappia riconoscere il terrorismo e non lo confonda con una giusta lotta di resistenza”.

Ecco il report del 5 ottobre di Susanna Bernoldi

Il report seguente risale a pochi giorni prima dell’attacco di Hamas a Israele.

Ancora da Ramallah, capitale della Palestina Occupata, città moderna con un bellissimo centro storico, che pullula di una vita giovane che non vuole rinunciare ad un futuro di libertà“. Così inizia il nuovo report dell’imperiese Susanna Bernoldi, tornata in Palestina dopo le esperienze del 2018 e del 2021, in compagnia di un altro attivista imperiese, per supportare la popolazione, devastata da continui conflitti.

Un’imperiese in Palestina: il nuovo report di Susanna Bernoldi

“Ci chiedono di andare al Sud, nella zona di Masafer Yatta, quella regione con molti villaggi sotto ordine di sgombero perché dichiarata Firing Zone, cioè zona di addestramento militare.

Abbiamo fatto tappa ad Al Khalil, antica città che ha il tristissimo primato di avere ben 5 colonie nei suoi confini con i coloni che, protetti dall’esercito, continuano ad occupare case, quartieri per svuotarli della loro vitalità originaria. Alcune foto raccontano questa invasione che non si arresta.

Con un altro service abbiamo raggiunto Yatta e siamo saliti ad At Twani che, dagli anni 80, subisce gli attacchi dell’esercito e dei coloni di Ma’on: case distrutte, pecore e asini uccisi o rubati… ma non solo: dal 2000 i bambini del vicino villaggio di Tuba che devono percorrere i due km di strada sterrata per raggiungere la scuola di At Twani, venivano attaccati con grosse pietre e bastoni dai coloni: un incubo per loro e le famiglie!

Hafez, il leader del villaggio, iniziò una petizione internazionale ed alla fine la Corte Suprema Israeliana stabilì che i soldati avrebbero accompagnato i bambini e accettò che alla partenza e all’arrivo della zona che percorre la colonia, il servizio dei soldati fosse monitorato dai volontari del CPT, Cristian Peacemaker Team e di Operazione Colomba, perché troppe volte i soldati non si presentavano o tardavano o correvano troppo veloci con la loro jeep che deve affiancarli e proteggerli!

Vi raccontiamo la nostra esperienza al Sud: stiamo sostituendo per alcuni giorni i volontari di Operazione Colomba. Ogni mattina andiamo ad aspettare i bambini che arrivano da Tuba e frequentano la scuola di Twani. Per la terza volta i militari ci rimproverano severamente perchè non stiamo dietro la barriera di pietre che loro hanno messo illegalmente. Il soldato di oggi è veramente aggressivo e per la prima volta siamo identificati.

Al ritorno, andiamo ad aiutare Hafez nell’orto, proprio dove l’anno scorso era stato assalito dai coloni con bastoni chiodati che gli spezzarono entrambe le braccia, ma fu Hafez ad essere arrestato e non i coloni che, non contenti, tagliarono anche i copertoni dell’ambulanza che era venuta per soccorrerlo…. questa è la logica israeliana.

Dopo la colazione, mentre pensiamo di riposare un po’ prima di riaccompagnare i ragazzi all’incontro con i soldati, siamo chiamati con urgenza perché una ruspa ha iniziato a bloccare il sentiero che porta a quello che Hafez chiama il suo giardino. E’ una fascia di terra con piante ornamentali e orticole che i coloni hanno già distrutto tre volte. Tre jeep e almeno una decina di militari, uno di questi alla guida della ruspa… gli altri a protezione dell’angheria che stanno facendo.

Hafez e i figli sono davanti a loro ma non possono reagire: verrebbero immediatamente arrestati. Ci sediamo per terra, davanti alla ruspa che si deve fermare e questo non piace ai soldati che ci intimano di andarcene: altra foto al passaporto. Ci minacciano di chiamare la Border Police perché l’esercito non può arrestare gli Internazionali. Quando arriva l’ufficiale di polizia e sente la nostra motivazione al rifiuto di alzarci, dopo averci nuovamente identificati, si mette a discutere con il soldato convincendolo che non vi sono le condizioni legali per arrestarci e lo fa anche desistere dal continuare con la ruspa.

In conclusione, se ne vanno tutti senza realizzare quel progetto inutile, esclusivamente dimostrativo del loro potere… chissà, forse richiesto dai coloni.. E noi condividiamo la gioia di Hafez, soddisfatto perché, nel frattempo, sono arrivati i bambini usciti da scuola e hanno potuto vedere che la resistenza non violenta paga. 

Torniamo all’ostello che Hafez ha fatto costruire per gli attivisti. Non facciamo a tempo a levarci gli scarponi che ci avvisano che una decina di soldati ha fatto irruzione nel villaggio.

Ripartiamo e andiamo a vedere al termine della salita dove tanti bambini e adulti osservano questa ulteriore dimostrazione di forza che vuole ricordare chi comanda in Palestina.

A noi tante domande sul perché della nostra presenza in “Israele” e per la terza volta sono identificata. Loro, dopo aver vagato con gli M16 spianati alla ricerca di una fantomatica auto rubata, salgono sui loro tre mezzi e se ne vanno: questa volta nessun arresto come invece sta succedendo in tutti i Territori Occupati!

Pensiamo allo stress di adulti ma soprattutto dei bambini che crescono con queste continue tensioni. Non c’è da stupirsi della loro forza.

Siccome, però, a Twani non ci si annoia mai… nella notte i coloni scendono ad un villaggio vicino come provocazione. I militari escono anche loro per proteggerli, i droni cominciano a girare in tondo sopra di noi. Una decina di Palestinesi si contrappone e ci invita ad unirsi a loro. Una camionetta di militari si mette di traverso e noi cominciamo a fotografare con i flash…. La presenza di internazionali è quasi sempre un deterrente al crescere della violenza e, dopo poco, sia i soldati sia i coloni rientrano e noi condividiamo con gli abitanti un buon tè di mezzanotte.

Venerdì 29: siamo a Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme Est dove continua, prepotentemente, lo sgombero o la distruzione delle case di proprietà delle famiglie palestinesi. Avevo conosciuto il problema nel 2009 grazie al Pellegrinaggio di Giustizia di Pax Christi che ci fece incontrare proprio lì due famiglie cacciate con violenza dalle loro case per farvi entrare altrettante famiglie ebree. Loro vissero per mesi sul marciapiede di fronte sperando inutilmente nel ricorso alla Corte Suprema. 

Abbiamo manifestato con molti israeliani di ogni età: i giovani con tamburi e slogan di giustizia e i meno giovani con tanti cartelli o bandiere… penserete bandiere palestinesi.. E invece no, perché l’autorità israeliana ha proibito di sventolarla e la polizia fa rispettare questo divieto assalendo con violenza chi si permette di farlo… E allora? Allora si sventolava una bandiera raffigurante una bellissima anguria che offriva al vento i colori palestinesi: bianco, rosso, verde e nero! Vediamo se proibiranno anche l’anguria.

Siamo rimasti ad un incrocio a lungo, poi si è fatto un corteo… un solo giovane sionista, dal marciapiede di fronte, ha urlato a lungo parole in ebraico che bastava udire il tono e vedere il suo sguardo, per capire che non erano certo gentili…

Alcuni poliziotti erano in maglietta e bermuda strappate…, muscoli in evidenza, sguardi accigliati, quasi da vignetta. Questa volta nessun ferito, nessun arresto.

In questi giorni i soldati hanno arrestato, ucciso, distrutto case… i coloni hanno devastato uliveti e coltivazioni invadendo le proprietà con le loro mucche, hanno bruciato case.

Ci attendono giornate e notti nei villaggi Beduini attorno a Ramallah, Internazionali, Palestinesi ed Israeliani, a fianco di questo popolo del quale conosciamo ogni giorno di più la forza, il coraggio, la pazienza infinita per attingere una briciola della loro capacità di non arrendersi mai”.

 

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