Scorrendo le carte dell’inchiesta che ha portato la Guardia di finanza di Imperia a sgominare l’organizzazione criminale che faceva capo alle famiglie Gioffrè – De Marte, si scopre che le lunghe indagini, andate avanti per oltre un anno, sono state caratterizzate da una vera e propria battaglia tecnologia, degna della trama di un film di spionaggio.
L’organizzazione aveva un propria rete di comunicazione con server esteri e telefonini a prova di intercettazione
Da una parte la vasta e ramificata organizzazione dei Gioffrè – De Marte, attrezzata con costosi e sofisticati “criptocellullari” e dal’altra gli investigatori delle Fiamme gialle, con lunghi e faticosi appostamenti, corredati da riprese video e fotografiche, intercettazioni ambientali, telecamere nascoste e addirittura virus per infettare i telefoni cellulari e carpirne il contenuto.
La banda dei Gioffrè – De Marte ha dimostrato di essere tutt’altro che sprovveduta: cambiavano in continuazione le sim card dei telefoni, spesso intestate a ignari personaggi di comodo e come si legge nelle carte dell’inchiesta, impiegavano “apparecchi telefonici che consentono di effettuare conversazioni (presumibilmente videochiamate) e/o scambiare messaggi attraverso canali non intercettabili, che, venivano venduti dalla medesima organizzazione calabrese fornitrice dello stupefacente ai membri della rete di vendita per mantenere i contatti in maniera sicura, per un corrispettivo di circa € 1.500/2.000 e un canone di abbonamento semestrale di circa 1000 euro per l’utilizzo”.
In pratica l’organizzazione criminale poteva contare su una sorta di “gestore telefonico” privato, dedicato ai traffici illeciti e quindi, almeno così credevano gli appartenenti alla banda, sicuro.
Un particolare evidenziato anche dal Gip di Genova. Che scrive: “Il cripto-fonino è particolarmente sicuro, anche perché in ipotesi di arresti o perquisizioni l’organizzazione calabrese non solo era in grado di rendere inutilizzabile l’apparecchio, ma procedeva persino ad un complessivo reset di tutti gli apparecchi appartenenti alla medesima “rete”, al fine di impedire alle Forze dell’Ordine di poter reperire informazioni dannose per l’illecita attività, così come spiegato proprio da Gioffrè ad uno dei sodali.
Costui spiegava infatti che il telefono, pur essendo criptato, esternamente non presentava differenze rispetto ai comuni smartphone in commercio, ma che era cosi sicuro proprio perché ogni qualvolta uno dei membri in possesso di tale apparecchio risultava oggetto di arresto o perquisizione, tutti gli altri telefoni che accedevano alla stessa rete venivano automaticamente resettati da remoto (con cancellazione di ogni impostazione e messaggistica pregressa) ed egli raccontava al complice di averlo constato in prima persona: il telefono improvvisamente si disconnette dalla rete, emette una forte vibrazione, si spegne e poi è completamente resettato.
Era sempre Gioffrè’ a comunicare il costo il costo dell’apparecchio e del canone previsto per l’utilizzo, che prima corrispondeva a circa 500-600 euro e ora era raddoppiato sino a 1.500 euro, più 1.000 euro per la ricarica annuale. Infine spiegava lo stratagemma che impediva al telefono di essere individuato tramite l’analisi delle celle, perché risultava agganciarsi a server esteri, come se l’utente si connettesse effettivamente alla cellula estera”.
Nonostante tutto, i militari della Guardia di finanza sono riusciti a raccogliere le prove dei traffici illeciti, impiegando microfoni nascosti in case e auto (anche se la banda spesso proprio per evitare questo impiegava veicoli a noleggio o addirittura bus di linea), sfruttando i video delle telecamere di sicurezza installate dal Comune di Imperia e quelle di alcuni centri commerciali dove si sono verificati degli incontri per lo scambio di droga e denaro. E ancora lunghi e pesanti appostamenti da manuale, giorno e notte, filmando e fotografando i responsabili dei traffici illeciti e, ciliegina sulla torta, virus installati, non si sa e non si deve sapere come, sui telefoni degli indagati.
E dopo tanta fatica, per le Fiamme gialle sono arrivati i risultati e per i componenti dell’organizzazione si sono aperte le porte del carcere. E forse, qualche telefonino in Calabria avrà emesso una forte vibrazione e si sarà resettato: segno che la pacchia in provincia di Imperia era finita.