La maxi inchiesta della Guardia di finanza che ha portato a sgominare una vasta e ramificata organizzazione criminale legata alle famiglie De Marte – Gioffrè e dedita al traffico di sostanze stupefacenti, è partita da un normalissimo arresto, come tanti ne vengono messi in atto nell’ambito della lotta al traffico di droga.
Nel periodo dell’emergenza Covid gli affari più fiorenti: “Nel Covid eravamo i numeri uno qua in Liguria”
E’ stato l’intuito dei finanzieri entranti in azione, che ha consentito di capire che dietro c’era molto di più. Ma, per ironia della sorte, le indagini hanno dovuto attendere, perché alcuni dei principali sospettati, nel frattempo erano stati arrestati per l’incendio doloso di un camion.
Ma le Fiamme gialle non si sono date per vinte e hanno persino appurato che dal carcere erano in grado di tenere contatti con l’esterno attraverso un telefono cellullare introdotto illegalmente nella struttura penitenziaria sanremese di valle Armea.
Come ricostruito nelle 214 pagine di ordinanza che hanno portato ai recenti arresti, “l’indagine prendeva le mosse dalla intuizione investigativa che l’arresto di El Kettani Youness, colto in possesso di 600 grammi di cocaina, fosse in qualche modo collegato alla famiglia imperiese De Marte i cui membri (De Marte Antonio, li figlio De Marte Giovanni, e il genero di De Marte Antonio, Gioffrè Domenico marito di De Marte Michela), tuttavia avevano subito una lunga carcerazione (dal 14 aprile 2020) poiché attinti da una misura cautelare per incendio doloso di un camion”.
Antonio De Marte, in carcere a Sanremo, aveva a disposizione un telefono cellulare pertenere i rapporti con i famigliari, anche loro sottoposti a misure restrittive
“Le indagini riprendevano quando si appurava che De Marte Antonio aveva a disposizione un telefono cellulare all’interno del carcere di Sanremo da cui poteva trattenere rapporti con i famigliari ancorché anche costoro fossero attinti da misure cautelari che avrebbero imposto il rispetto di obblighi e prescrizione viceversa disattese”.
“La citata abitazione a Diano Castello, sottoposta dagli inquirenti a videosorveglianza, consentiva innanzi tutto di accertare che Gioffrè Domenico, in palese violazione della misura applicata, senza autorizzazione del giudice procedente, ospitava il cugino
Laganà Antonino (componente dell’associazione almeno fino all’ottobre 2021) e che la casa, costantemente frequentata da persone con precedenti penali, era diventata la “base” principale dei traffici di stupefacenti”.
Fra le tante scoperte fatte dalla Guardia di finanza, anche quella legata all‘emergenza Covid. Nel pieno della pandemia, quando molti erano in difficoltà, la gente chiusa in casa e le imprese ferme, l’organizzazione, al contrario, faceva gli affari migliori.
Durante il Covid gli affari andavano talmente bene, che la banda aveva difficoltà a contare il denaro
Si legge infatti ancora nell’ordinanza del Gip di Genova: “Alcune intercettazioni ambientali hanno infatti confermato, sulla base delle ammissioni confessorie di Gioffrè e De Marte, che dalla data di inizio della pandemia da Covid 19 essi erano attivi nel settore dello spaccio che era divenuto in quel periodo di chiusure generalizzate, assai remunerativo, al punto da avere difficoltà a contare il denaro (ragazzi… nel Covid eravamo i numeri uno qua ni Liguria…)”.
“La polizia giudiziaria delegata poteva inoltre accertare che Gioffrè Domenico aveva contatti con trafficanti calabresi – con i quali comunicava solo a mezzo di telefonini criptati – (stabile fornitore risulterà essere Scarcella Giuseppe) che rifornivano costantemente l’associazione di cocaina, venduta in quantitativi di circa un chilo alla volta e che parecchi erano stati i viaggi di approvvigionamento da agosto 2021 ad aprile 2022) organizzati in Calabria sia a mezzo di autovetture per lo più affittate, che a mezzo di spedizione via autobus, dello stupefacente che veniva poi recuperato all’arrivo”. E come si è visto, uno dei punti di ritiro di denaro, droga e telefonini criptati era il capolinea di largo Nanollo Piana a Imperia.