Lunedì notte abbiamo assistito, nostro malgrado, all’ennesimo show fuori dalle righe del Sindaco di Imperia Claudio Scajola. L’ex Ministro, inguaribile nostalgico dei fasti berlusconiani di un tempo, durante il consiglio comunale ha pensato bene di uscire dall’aula per cercare il sottoscritto e riversargli addosso tutta la propria acredine. Oggetto del contendere le prime righe di un articolo a mia firma, a detta del Sindaco imprecise. Una reazione scomposta, volgare, violenta nei modi e nei toni. Un modus operandi diventato ormai una sgradevole abitudine.
“Delinquente”, “Bugiardo”, “La denuncio“, “Dovrebbero cacciarla dal suo giornale“. Queste sono solo alcune delle imprecazioni rivolte al sottoscritto da Claudio Scajola, incapace di accettare qualsivoglia confronto, depositario di un’unica verità. La propria. All’ex Ministro si è aggiunto l’assessore Antonio Gagliano che ha tentato di inscenare una rissa degna dei migliori western di Sergio Leone. “Non mi rompere i coglioni“, “sei uno scemo“. E tutti zitti. Come se fosse normale. Come se ormai tutto fosse sdoganato nel nome del bene comune, o presunto tale, della città.
ImperiaPost è una presenza fastidiosa perché dice le cose come stanno, in una città anestetizzata da un sistema costruito sui cardini della Prima Repubblica. Finanziamenti-appalti-incarichi-potere-voti. Che non si traduce in benessere per tutti, ma in benessere solo per chi si allinea (o fa finta di farlo) alla corrente di pensiero governativa. E sentirselo dire brucia, perché è più facile vivere una realtà comoda che affrontare una verità scomoda. Perché è più facile vivere all’ombra del potere che combattere per i propri diritti di cittadino che dovrebbero prescindere dal proprio credo politico.
E così a Imperia è diventato normale avere un Sindaco condannato (in primo grado) per aver favorito la latitanza di un politico condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. E’ diventato normale dare del minchione a un consigliere provinciale, del delinquente a un giornalista, del deficiente a un cittadino che protesta. Definire “minchiata” una sentenza del giudice di pace, “allucinante” un’inchiesta della Magistratura, “pasdaran” le Procure. E’ diventato normale sentir dire a un Sindaco-Presidente della Provincia-Commissario dell’Ato Idrico che vuole “eliminare i disturbatori che circolano“. E’ diventato normale demonizzare gli esposti e le denunce, ignorare le sentenze del Tar, ordinare l’interruzione di un sopralluogo di polizia giudiziaria prendendo a pesci in faccia il Comandante della Polizia Locale, intromettersi nelle pratiche urbanistiche del Comune chiedendo la demolizione di un balcone. E’ diventato normale trasferire o demansionare per punizione dirigenti e dipendenti pubblici, affidare la pulizia del Comune alla ditta di un consigliere comunale, assumere il marito di un consigliere comunale, la fidanzata del figlio del Sindaco, affidare il catering del Capodanno al bar della sorella dell’assessore. E’ diventato normale gestire il demanio come se fosse il giardino di casa propria, preannunciare a chi andranno (e a chi non andranno) le concessioni, dichiarare guerra a chi pensa di opporsi, gestire le grandi opere pubbliche come fossero private, spendere fiumi di denaro pubblico per cerimone autocelebrative. E’ diventato persino normale leggere intercettazioni in cui si parla di appalti pilotati, di multe pagate dagli amministratori a insaputa dei cittadini, di una Polizia Locale utilizzata come vigilanza privata.
E non è solo colpa del Sindaco, ma soprattutto di chi gli sta intorno e giustifica tutto, sempre, con il sorriso sulle labbra. Come se la deriva autoritaria che sta prendendo questa città fosse divertente. Come se il bene della città, o presunto tale, fosse un alibi valido per passare sopra a ogni cosa.
Tutto è lecito, non esiste più un confine, un limite. L’etica, la morale sono relegate a un fastidioso contrattempo. I social raccontano di sorrisi al mattino, di felicità, di ottimismo, di fiorellini pucciosi. Ma la realtà è ben altra cosa. A Villa Ninina, caro Sindaco, può fare tutto quello che vuole, ma in Comune, che è la casa dei cittadini, e anche la nostra, no. La vittoria elettorale le consegna il mandato popolare non la patente di monarca. Se lo metta in testa una volta per tutte. Saluti dal suo giornalista preferito (e delinquente). Con affetto, Mattia Mangraviti.