“Il Blues per me è come una casa a cui si ritorna sempre in qualche modo“. Queste le parole del chitarrista e cantante Paolo Bonfanti, uno dei rappresentanti più rilevanti del rock-blues in Italia in Europa, che venerdì sera si è esibito al Teatro dell’Attrito di Imperia accompagnato da Roberto Bongianino alla fisarmonica, in uno spettacolo andato sold out in pochissimo tempo. I suoni delicati e i riff intensi si sono tradotti in 70 minuti d’emozione. Sul palco, infine, è salito anche Peo Gandini, rappresentante storico del rock ligure e grande amico del musicista.
Paolo Bonfanti, classe 1960, genovese di origine e piemontese di adozione, dal 1985 al 1990 è stato il front man dei Big Fat Mama, una delle più importanti rock-blues bands italiane. Durante i suoi 40 anni di carriera ha calcato i palchi di tutto il mondo.
L’intervista a Paolo Bonfanti
“Ricordi ne ho veramente tantissimi perché i concerti sono stati tanti. Quello che è bello di questo mestiere è che si incontrano un sacco di persone oltre che musicisti. La parte migliore è incontrare, collaborare e suonare con musicisti che ti insegnano qualcosa, incontrare le persone che vengono ad ascoltarti, con cui c’è sempre un rapporto di interscambio. Io cerco di dare qualcosa a loro e loro in cambio danno qualcosa a me. La realtà di questo mestiere che è un mestiere un po’ particolare, complicato a volte, è questa interazione tra il musicista e il pubblico per cui hai tutta una serie di storie che poi diventano un po’ la tua vita”.
Come’è nato l’amore per il blues?
“Il Blues è una una passione ormai di vecchia data. Io sono entrato in contatto per la prima volta col Blues quando andavo a scuola a metà degli anni 70, avevo poco più di 15 anni. È un amore che non si è mai spento e poi ed è anche una musica che è la radice di tantissime musiche si ascoltano adesso. Ora questo amore è rimasto e uso il Blues come pretesto per partire per i miei viaggi. Il Blues è un po’ una casa madre a cui si ritorna sempre in qualche modo”.
Durante gli anni del covid ha pubblicato un album molto importante e particolare?
“Sì è un lavoro che si chiama Elastic Blues e l’ho fatto uscire il giorno del mio compleanno, il 15 novembre 2020, ho compiuto 60 anni in quel giorno. È stata un’avventura magnifica perché è stato registrato proprio nel periodo di inizio del covid cioè tra maggio e settembre ottobre 2020. Abbiamo dovuto fare i salti mortali per registrarlo perchè ci sono dei pezzi che sono stati registrati in quattro o cinque studi diversi, anche a distanza. È stata una cosa per creare un punto fermo sulla mia carriera. Dopo quasi praticamente 40 anni di carriera era giusto trovare un po’ il bandolo della matassa e ho fatto questo album che coinvolge 40 musicisti, 39 più me, e 12 studi di registrazione. Col cd è incluso un libro di 80 pagine con immagini, racconti e tutti i testi commentati. È stato un lavoro lungo difficile ma di cui sono molto contento”.
Genovese di origine, piemontese di adozione, però il legame con la Liguria c’è sempre?
“Sì sono spessissimo qua anche perché mia madre è sempre a Genova quindi sono spesso in Liguria, suono tantissimo in Liguria anche se a Imperia mancavo da un po’, quindi son contento di essere tornato. Come potete sentire non ho perso l’accento nonostante abiti da 23 anni in Piemonte”.
40 anni di carriera, una vita dedicata alla musica, ma che cos’è la musica per lei?
“Potrei dire che la musica è tutto, però posso dire di più: è sempre una gran bella via d’uscita. C’era un mio amico, grandissimo musicista inglese Dick Heckstal Smith che diceva che il posto più sicuro al mondo è su un palco e questa è una frase che mi sono stampato nella testa e cerco sempre di pensarci quando faccio questo mestiere”.