“Sentiamo pesare sulle nostre spalle la responsabilità di una gestione che non sarebbe di nostra competenza ma vostra. Serve un’urgente presa in carico della situazione aberrante in cui versano i migranti“. Queste le parole contenute in una lettera aperta indirizzata al Sindaco di Ventimiglia Flavio Di Muro, al prefetto di Imperia Valerio Massimo Romeo e al direttore generale della ASL imperiese Maria Elena Galbusera, sottoscritta da Associazione Popoli in Arte, Associazione Martina Rossi, Casa dei Circoli Culture e Popoli Ceriale, Arci Provinciale Imperia, Pays de Fayence Solidaire, Volontari Italiani e Francesi sul confine di Tenda e Ventimiglia.
La lettera denuncia la situazione che ormai da anni si verifica a Ventimiglia nel greto del fiume Roja, dove i migranti vivono in condizioni precarie. Un’emergenza costante che sfocia troppo spesso in episodi di violenza e degrado. È solamente notizia di ieri quella dei migranti scoperti a bordo di un tir e presi a cinghiate dall’autista mentre abbandonavano il mezzo. Stanotte si è verificato un accoltellamento al campo Roja, che ha visto un ferito portato d’urgenza all’ospedale. Questa mattina, a Imperia, altri sette migranti, tra cui una donna, sono stati trovati a bordo di un tir e presi in carico dai Carabinieri. Episodi che sono solo gli ultimi di una lunga serie e che riflettono lo stato di grande tensione e insicurezza.
Per questo le associazioni che hanno firmato la lettera aperta chiedono un intervento urgente e concreto da parte delle autorità competenti per migliorare le condizioni di vita dei migranti e per garantire la sicurezza sia degli abitanti locali che dei migranti stessi.
La lettera aperta alle autorità
“In seguito a ripetuti e violenti episodi accaduti nella città di Ventimiglia e nel suo entroterra, numerosi volontari si sono riuniti per sollecitare alle autorità l’urgente presa in carico della situazione aberrante in cui versano le persone che occupano il greto del fiume Roja. Chiediamo con forza che vengano rispettati i diritti fondamentali di tutela in materia di sicurezza, salute, sostegno. In particolare segnaliamo la necessità di supporto per la salute mentale, soprattutto per quelle persone che, abbandonate a se stesse, possono recare nocumento a sè e agli altri. Sentiamo pesare sulle nostre spalle la responsabilità di una gestione che non sarebbe di nostra competenza ma vostra”.
Intervista a Bruno Rossi (Associazione Martina Rossi)
“È un po’ di tempo che interveniamo sulla questione migranti cercando di dare una mano e di aiutare a risolvere alcuni problemi. Ma ho sempre pensato sempre che l’aiuto dei volontari debba arrivare dopo quello che lo Stato, il governo e le istituzioni dovrebbero affrontare, dando delle soluzioni positive e non solo di repressione, la necessità di intervenire e capire, e invece più tempo passa e oggi siamo di fronte a una situazione in cui i migranti per fortuna non trovano le frontiere così sbarrate. Sembrano quei pesciolini che delle volte si infilano nella rete ma riescono a passare, diminuiscono anche perché tutte le difficoltà che hanno per arrivare riducono il loro numero.
Il problema è che si crea la situazione per cui molte persone diventano stanziali perché non ce la fanno più, non hanno la forza di passare. Anche persone che non sono nemmeno migranti ormai sono buttate al di là del fiume Roja, dietro una grata, nascoste alla città e obbligate a vivere in emergenza, braccati, a non poter usare il cimitero perché nel cimitero c’è il gabinetto, a non avere una doccia, a non avere un luogo dove dormire. Se chi deve portare da mangiare non mangiano, insomma, è una situazione ingovernabile e molto brutta da un punto di vista umano.
Io e tutti quelli che andiamo ad aiutare la domenica, sostituendo la Caritas che interviene durante il resto dei giorni, portando un piatto caldo, abbiamo deciso di denunciare alle autorità per l’ennesima volta prima di fare anche una manifestazione più eclatante, magari con obiettivi più alti. Provare con dei ragionamenti più forti per far sì che qualcuno si faccia carico di questi problemi. Allora abbiamo scritto al sindaco dicendo che non c’è bisogno di fare gli attori, di mettere i poliziotti davanti e impedire alla gente di bere. Non so dove abbia imparato queste cose, sono curioso di parlarci per capire da dove escono queste idee”.
Quindi c’è qualcosa che chiedete in particolare su come si potrebbe affrontare questo problema?
“A Genova, come spiega un articolo di ieri di Luca Borzani su Repubblica, un quartiere si è affezionato a questi 60 migranti che sono nel quartiere di Oregina, il quartiere dove abito io, e li ha difesi dall’allontanamento. Loro sono in una struttura assistita dove i loro bambini vanno a scuola, dove la gente inizia a lavorare. Io credo che la cura sia quella del lavoro e dell’obiettivo di trovare l’assistenza. Almeno dare le minime necessità: un letto per dormire, un posto per mangiare, non vivere nella spazzatura. Bisognerebbe vedere il posto per capire cosa significa. Questa è la situazione, un degrado inaudito.
Quante persone ci sono adesso? Mediamente una sessantina, una settantina. Quando arrivano, arrivano anche donne e bambini, e bisogna stare attenti a non mischiarli l’uno con l’altro, cercando di trovare delle soluzioni. La Caritas fa di tutto, delle volte riesce a trovare soluzioni, dato che dovevano fare i PAD, i punti d’assistenza, dovevano aggiustare la stazione, invece non fanno niente, tutte parole. Mettetevi le mani in pasta, tiratevi giù le maniche e fate qualcosa”.