22 Novembre 2024 18:22

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22 Novembre 2024 18:22

Imperia: complesso ex Isnardi via XXV Aprile, maxi causa da 17 milioni di euro. Cassazione accoglie ricorso dell’Inps

La Cassazione ha messo la parola fine alla vertenza che vedeva contrapposti il Fallimento della Isnardi Immobiliare e l’Inps relativamente alle trattative per l’acquisto o l’affitto del complesso immobiliare di via XXV Aprile.

Imperia: complesso immobiliare via XXV Aprile, maxi causa Isnardi-Inps

La vicenda giudiziaria ha inizio quando la Isnardi Immobiliare cita dinanzi al Tribunale di Genova l’INPS, l’INAIL e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, chiedendo un risarcimento danni di circa 17 milioni di europer i comportamenti contrari a buona fede tenuti nel corso delle trattative svolte nel periodo 1999- 2012 per la locazione o vendita di un immobile”. L’immobile, come detto, è il complessso di via XXV Aprile che sarebbe dovuto diventare la casa del Welfare e oggi versa in condizioni di parziale abbandono.

Secondo il Fallimento Isnardi, dopo la manifestazione di interesse alla locazione (con opzione di acquisto) di un immobile di almeno 5 mila metri quadrati per destinarvi i propri uffici, pubblicata dall’INPS il 22 aprile 1999 su un quotidiano locale, ed a seguito della lettera del 31 maggio 1999 con cui la allora Isnardi Immobiliare aveva comunicato all’Inps che avrebbe potuto costruire tale immobile su un proprio terreno sito ad Imperia –, si erano avuti numerosi incontri tra le parti in funzione della progettazione e realizzazione dell’immobile.

Nel giugno 2006, terminata la costruzione dell’immobile fino al tetto, la Isnardi Immobiliare aveva chiesto alla Direzione Generale dell’INPS di darle riscontro in merito alla proposta di locazione (con opzione di vendita), indicandone le condizioni economiche e dichiarando la propria disponibilità all’ultimazione dei lavori. A tale richiesta l’INPS non avebbe risposto, pur mostrandosi ancora interessato alla locazione anche attraverso l’elaborazione di un nuovo piano di fattibilità ed una relazione peritale inoltrata alla Direzione Generale.

L’Immobiliare Isnardi a partire dal 2006, essendosi prospettata la possibilità di realizzare nell’area e nell’immobile un polo logicistico integrato del Welfare, aveva instaurato ulteriori trattative per la locazione o la vendita di parte dell’immobile anche con il Ministero del Lavoro e con l’Inail. Proprio l’Inail con lettera del 21 novembre 2012, aveva comunicato il venir meno delle condizioni per proseguire nell’iniziativa intrapresa con riferimento a tutti gli enti coinvolti, in quanto l’INPS aveva deciso di utilizzare, per l’attuazione del progetto “La Casa del Welfare”, i propri immobili.

Da qui la decisione della Immobiliare Isnardi di far causa a Inps, Inail e Ministero del Lavoro per 17 milioni di euro. “In ragione delle trattative defatiganti in cui era rimasta bloccata per oltre dodici anni, aveva sofferto grave pregiudizio, sia per il mancato sfruttamento del terreno e dell’immobile (che aveva mantenuto disponibili per le controparti), sia per il deperimento del loro valore immobiliare“.

Il primo grado

In primo grado il Tribunale ha accolto parzialmente, solo nei confronti l’Inps, il ricorso della Isnardi Immobiliare, reputando che l’Inps si era reso responsabile per aver leso, in spregio al canone della buona fede, il legittimo affidamento della Immobiliare Isnardi alla conclusione della locazione mediante le condotte omissive poste in essere dopo il 17 novembre 2006, allorché, ad immobile completato nella sua struttura esterna, la Direzione Provinciale dell’Inps aveva comunicato alla Direzione Generale dello
stesso Istituto una propria relazione favorevole alla locazione con l’approvazione del Comitato provinciale. Ad avviso del primo giudice, dopo questa comunicazione, l’Inps, secondo buona fede, avrebbe dovuto “con urgenza, o stipulare la locazione […] ovvero chiarire all’Isnardi che non vi erano le condizioni per una stipula“, mentre invece, “non fu fatta né una cosa né l’altra”; il Tribunale, dunque,
condannò l’Inps a risarcire il danno cagionato alla Immobiliare Isnardi, liquidato in 2 milioni di euro, previo riconoscimento di un concorso di colpa della società danneggiata nella misura di un terzo.

La Corte d’Appello

Secondo la Corte d’Appello di Genova, che ha accolto il ricorso dell’Inps, la Isnardi Immobiliare aveva costruito l’immobile non in previsione di farlo utilizzare dall’Inps, ma per collocarlo sul mercato. I contatti avuti dalla Isnardi Immobiliare con l’Inps non erano stati tali da indurre la prima a fare affidamento sulla conclusione della trattativa, la cui prosecuzione da parte dell’Inps era considerata come solo eventuale– Nel 2006 non era stata terminata la costruzione dell’immobile […] e neppure individuata l’esatta superficie oggetto di un possibile contratto di locazione, non era stata formulata ancora nessuna offerta e vi era incertezza sul prezzo a metro quadro della locazione, sicché nessun affidamento sulla conclusione del contratto poteva ingenerarsi in capo alla Isnardi Immobiliare, non potendosi “ritenere che l’INPS avesse l’obbligo di concludere un contratto di locazione per un immobile di cui esisteva solo la struttura in cemento armato e per cui era stata fatta solo una generica indicazione dei possibili spazi locabili e di un possibile range del canone di locazione al metro quadro, tanto più con una pubblica amministrazione che ha precisi vincoli nel fare le trattative”.

La Corte d’Appello, inoltre, ad abundantiam (come tale non costituente una ratio della decisione e non avente quindi alcuna influenza sul dispositivo della stessa) ha reputato fondata l’impugnazione dell’INPS anche sulla quantificazione del risarcimento (2 milioni di euro), evidenziando, al riguardo, tra l’altro, la mancanza di prova di occasioni locatizie rinunciate e di trattative per la vendita dell’immobile ad altri soggetti, la difficile vendibilità del bene, l’impossibilità di pretendere ad un tempo il danno da mancata locazione e quello da mancata vendita.

La Cassazione

La Cassazione ha respinto il ricorso del Fallimento Isnardi, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

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