22 Novembre 2024 21:53

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22 Novembre 2024 21:53

Imperia: Ilaria Rossetti racconta “La Fabbrica delle Ragazze”, un romanzo sulla strage di Bollate del 1918. “Dopo più di 100 anni, i numeri dei morti sul lavoro sono ancora spaventosi”/Video

“Si parla di morti sul lavoro di oltre un secolo fa, ma la purtroppo non cultura del lavoro di questo paese è ancora presente nella nostra quotidianità. Queste le parole di Ilaria Rossetti, ospite della rassegna “Un libro aperto” (organizzata dall’Associazione Settecinque in collaborazione con il Comune e la Libreria Ragazzi di Imperia), per raccontare, accompagnata da Alessandra Chiappori, il suo ultimo libro “La fabbrica delle ragazze”, edito da Bompiani e proposto dallo scrittore Paolo Petroni per il Premio Strega 2024.

Ilaria Rossetti, vincitrice del Premio Campiello Giovani nel 2007 con il racconto “La leggerezza del rumore”, ha costruito una carriera variegata e ricca di esperienze tra scrittura, teatro e progetti culturali. Nel 2019, il suo talento è stato ulteriormente riconosciuto con la vittoria del premio Neri Pozza per il libro “Le cose da salvare”. Dal 2022, è docente presso la Scuola Holden di Torino.

Da quale evento storico prende il via la vicenda?

È un romanzo che riporta alla luce in realtà una vicenda realmente avvenuta nella zona Nord di Milano nel 1918 dove avviene il più grave incidente sul lavoro della storia italiana. Una fabbrica salta in aria e muoiono 59 persone. Questo è un po’ l’innesco storico da cui sono partita, che ho recuperato attraverso un lavoro anche un po’ storiografico, e che poi è il nucleo centrale da cui si muove tutta la vicenda che racconta nello specifico di una ragazza che lavora in questa fabbrica, che viene ovviamente coinvolta nell’incidente e poi delle conseguenze che le persone vicino a lei vivono. Dai suoi genitori alle persone che abitano la comunità di Castellazzo di Bollate, per cui abbiamo moltissimi personaggi che ruotano intorno a questa storia e diciamo che al centro c’è questo grande trauma collettivo rimosso purtroppo”.

All’epoca dei fatti era presente un giovane, un futuro grandissimo scrittore americano, che ha parlato di quanto accaduto in un racconto?

“Questo è un po’ un elemento indimenticabile della vicenda della fabbrica. La propaganda bellica non vuole che la fabbrica resti chiusa molto a lungo e soprattutto non vuole che si demotivi il popolo italiano. La guerra è ancora in corso. Però, un diciannovenne americano che non è ancora il grande scrittore che diventerà, cioè Ernest Hemingway, quel giorno è in servizio a Milano e viene mandato tra i soccorritori proprio sul luogo dell’esplosione. Questa esperienza, per lui chiaramente traumatica perché si troverà a dover raccogliere i corpi di moltissime donne uccise dall’esplosione, diventerà un racconto che noi possiamo leggere dentro i “49 racconti”.

Questo romanzo può essere anche preso come manifesto per parlare delle morti sul lavoro, delle donne e del lavoro. Un argomento attuale anche se sono passati 100 anni da quell’episodio.

“Questo è il gancio più evidente con la contemporaneità. Si parla di morti sul lavoro di oltre un secolo fa, ma la purtroppo non cultura del lavoro di questo paese la vediamo ancora presente nella nostra quotidianità. Laddove il profitto lascia da parte la sicurezza e le norme, le persone continuano a morire o a farsi molto male sul posto di lavoro, e questo è tutt’ora un tema che ci porta ad avere dei numeri spaventosi. Dietro i numeri ci sono sempre delle storie, delle vite”.

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