“Dietro il bando per la stagione teatrale del Teatro Cavour non c’è nessun progetto culturale, non c’è neanche ascolto della città. I bandi non vanno bene per la cultura, vanno bene per gli asfalti, per le ristrutturazioni. È un cortocircuito intellettuale, perchè la cultura è un progetto“. Questa l’opinione di Antonio Carli, noto attore imperiese di lunga esperienza nel mondo del teatro, del cinema e della televisione.
A seguito della pubblicazione del bando per la gestione della nuova stagione teatrale del Teatro Cavour, a distanza di quasi 10 anni dall’ultima andata in scena, Carli ha voluto esprimere il proprio punto di vista basato sulla sua esperienza nel settore.
Quest’anno riapre il Teatro Cavour, cosa ne pensa? Si aspettava di farne parte?
“Sì, mi aspettavo di farne parte inizialmente, quando si è parlato di questa riapertura, perché a suo tempo, quando il sindaco si candidò la prima tornata elettorale, mi convocò per partecipare alla lettura di alcuni testi alla camera di commercio e in quell’occasione mi sembrava che volesse avvalersi anche delle personalità locali per cercare di rilanciare la città dopo quella che io chiamo ironicamente la strage di Capacci. Nel senso che la città veniva da un periodo effettivamente un po’ buio, di abbandono. Non ne voglio parlar male perché credo che sia molto difficile amministrare, però mi pareva che il rilancio della città passasse anche attraverso il teatro, ad un teatro che mio padre aveva gestito egregiamente, non sono io a dirlo, ma lo dicono gli imperiesi, e che sicuramente io avrei avuto voglia di seguire, di gestire, dedicandomi come a suo tempo mio padre aveva fatto, e il Sindaco stesso in questa occasione disse al pubblico che me ne sarei occupato io. Questa cosa mi aveva anche riempito di orgoglio e mi aveva fatto sentire grato di appartenere a un progetto di rilancio della città di Imperia, che è la mia città, la città dove vivo”.
Quindi pensa che ne farà parte a questo punto?
“No”.
Come mai?
“Credo che non ne farò parte, anzi sono quasi certo di non farne parte, perché per come è stata strutturata l’idea, il progetto e la gestione del teatro, inevitabilmente ne sono escluso”.
Ha visto il teatro?
“No, non l’ho visto, perché non sono stato neanche invitato a dire la verità all’inaugurazione. La nostra assessora alla cultura forse si è dimenticata, presa da altre cose, di invitare l’unico attore di teatro della città all’inaugurazione del teatro di città. Posso dirlo perché sono l’unico che fa questo mestiere e lo faccio da sempre. Sono figlio d’arte, quindi sono ad ogni titolo un attore di teatro e non sono stato invitato. Poco male, in ogni caso ho avuto delle informazioni e alcune cose le ho viste anche dalle foto che avete postato anche voi sull’inaugurazione. Non sempre la quantità di soldi che viene spesa è direttamente proporzionale con la qualità del risultato ottenuto. Mi spiego meglio: ci sono degli errori che vengono fatti perché molto spesso chi si occupa di teatro non entra nell’organizzazione del teatro. Normalmente, ad esempio, all’ufficio cultura non c’è nessuno che abbia mai fatto teatro, l’assessore alla cultura non sa nulla di teatro, ma questo non solo a Imperia, ovunque. Chi si occupa di ristrutturare un teatro non sa le regole base del teatro. Per esempio, so che è stata fatta la cabina di regia in galleria. Questo è un errore, il fonico deve stare in fondo alla platea, al massimo poteva rimanere dov’era prima la regia, in quel palchetto laterale sulla destra, dove almeno aveva una visione parziale, perché in realtà dovrebbe stare in centro la regia, perché deve sentire il canale destro e il canale sinistro, per esempio.
Altra cosa che ho visto e ho notato subito: la disposizione delle sedie. Le sedie vanno sfalsate. Se tu metti le sedie in fila, è vero che tu appaghi l’occhio e quindi hai una visione ordinata della platea, ma è un errore, perché se davanti a me c’è una persona alta 1,97 m, io che sono 1,80 m non vedo lo spettacolo. Per questo le sedie dappertutto sono sfalsate. Poi, per esempio, mi è stato detto che i motori che tirano le americane, che sono quelle su cui vengono appesi i fari, sono sottodimensionati rispetto alla portata necessaria. Se arriva uno spettacolo grande, e sul palcoscenico del Cavour uno spettacolo grande ci sta, con un numero di fari imponente, questi motori non riescono a tirar su l’americana, quindi si costringe uno spettacolo grande a montare una quantità inferiore di fari, quindi a fare delle luci sbagliate. Altra cosa: è stato verniciato di bianco. Un teatro deve essere scuro perché i proiettori devono illuminare la scena. Dal momento in cui la platea è bianca si creano gli sfori cioè i riflessi delle luci dei proiettori rimbalzano in platea, creando delle luci spurie che disturbano la visione dello spettacolo. Se voi guardate il teatro elisabettiano, era una scatola nera. Questo deve essere il teatro, il teatro deve essere buio perché con le luci crei la magia del teatro, altrimenti vedi tutto, anche gli attori che escono di scena. Sono stati fatti dei fregi viola, il viola in teatro porta sfortuna. È un errore, è una cosa che non si fa, non metti il viola nel teatro.
Ci sono invece cose positive che ha notato sulla ristrutturazione?
“Onestamente, non essendo entrato nel teatro, posso dire che è stato fatto tutto molto bene, molto carino, sembra un museo. Ma il teatro è un luogo di lavoro, è un po’ come allestire una macelleria come se fosse una gioielleria. Il teatro è un’officina, non si può pensare di portare la gente a visitare il teatro. Il teatro, la gente lo visita nel momento in cui accade qualcosa sul palcoscenico, e quindi la gente va a godere di un bene, a fruire di un servizio che è lo spettacolo teatrale. Mi sembra di aver notato, è che in tutta questa ristrutturazione, che mi pare che sia costata sui 4 milioni di euro, se non vado errato, si sono dimenticati di fare l’accesso per gli invalidi dalla platea. Hanno fatto una rampa per arrivare alla biglietteria, ma se un disabile in sedia a rotelle deve entrare in platea, mi sembra di aver visto da fuori che non ci sia una cosa che gli consenta di entrare in platea. Questo significa che magari deve fare l’uscita di servizio, entrare dal caruggio. Forse perché sono sensibile, perché per ragioni familiari spesso spingo la sedia a rotelle con mio fratello, mi sembra una cosa umiliante, degradante e incivile”.
Veniamo alla gestione del teatro, in particolare il budget: 139.000 euro. Cosa ne pensa? Secondo lei è un giusto stanziamento che può produrre una stagione teatrale degna di questo nome? E il bando rivolto a esterni, quindi a imprese esterne alla città, cosa porterà? Quali saranno le conseguenze?
“Innanzitutto cito una cifra: so che per lo spettacolo del Centenario il Comune di Imperia ha speso 99.000 euro. So che, per esempio, per il catering delle Frecce Tricolori il comune di Imperia ha speso 34.000 euro. Con queste cifre vi invito a parametrare l’investimento che è stato fatto sulla cultura e sul teatro quest’anno. So che per il Centenario in generale sono stati spesi 250.000 euro, se non vado errato, con delle voci di vario titolo, di vario genere. Allora, uno spettacolo teatrale degno di questo nome, con gli attori, i nomi, le scenografie, un vero spettacolo teatrale, costa in media dai 12 ai 14 mila euro più IVA. Il Comune chiede 8 spettacoli di cui 2 balletti e 4 spettacoli per le scuole. Per avere degli spettacoli decorosi bisogna spendere almeno 100 mila euro. Il bando chiede che questi titoli vengano già messi nel bando. Quindi in un mese il concorrente deve trovare 8 spettacoli che vadano bene all’amministrazione senza poter cambiare titoli tranne due in emergenza e deve proporli già. Questo significa che non c’è nessun progetto culturale, non c’è neanche ascolto della città. Dall’esterno deve proporre una struttura preconfezionata. I bandi non vanno bene per la cultura, vanno bene per gli asfalti, per le ristrutturazioni. È un cortocircuito intellettuale, perchè la cultura è un progetto. Va affidato a un direttore artistico con un budget, per raggiungere certi obiettivi. Ho letto il bando, si parla di fabbrica teatro, scuola di recitazione. Non so se hanno mai visto un bilancio di un teatro vero. Il teatro Stabile di Genova ha un bilancio annuale di circa 12 milioni di euro, di cui 7 sono in passivo. Il comune di Genova stanzia per il teatro stabile di Genova all’anno 3 milioni e 200 mila euro. La sola scuola di recitazione del teatro stabile di Genova costa 278 mila euro e parliamo di una scuola che si trova in una struttura che è già pagata dal teatro, quindi sono i costi vivi. Traete voi le vostre conclusioni: è possibile fare una stagione decente con 139 mila euro? Oltretutto qualsiasi imprenditore non può pensare di spendere tutto il budget che gli viene dato e aspettare se e forse ci saranno degli incassi. Ricordiamoci che il teatro è chiuso da 10 anni e anche prima era in agonia perché le gestioni precedenti, che erano fatte esattamente come questa, cioè il progetto della gestione identico a quello che ha portato il teatro alla chiusura, era in agonia prima. Ci sarà un po’ di fermento inizialmente perché la gente vuole vedere il teatro. Secondo me per portare la gente a teatro ci voleva altro”.
A proposito di questo, nel 2019 lei aveva stilato un progetto con una visione magari più a lungo termine, corretto?
“Sì, io nel gennaio del 2019, in uno dei tanti momenti in cui era stata palesata l’ipotesi di un’apertura imminente del teatro, presentai al sindaco e all’assessore Marcella Roggero un progetto cultura che voleva essere un contenitore di idee per rilanciare la cultura insieme al teatro. Cioè, il teatro doveva diventare un polo culturale da cui partivano una serie di iniziative che contribuissero a portare la gente di nuovo ad aver voglia di visitare quel luogo e di fare vita intorno a quel luogo. Mi ricordo, per esempio, che ai tempi di mio padre gli spettacoli stavano tre giorni a Imperia. Mio padre portò Gaber. La prima regia di Sergio Castellitto con Margaret Mazzantini e Nancy Brilli debuttò a Imperia. Mio padre fece lo spettacolo su Giovanni Boine con testo di Beppe Conte, debuttando a Imperia e poi andando a fare una tournée partendo da Imperia. Questo è un progetto culturale: non possiamo aspettarci che un imprenditore da fuori si assuma il rischio di impresa e venga a lavorare sulla città. Perché dovrebbe farlo? Lo può fare uno della città che ci vive, che incontra la gente per strada e dice “lo spettacolo dell’altra volta non mi è piaciuto” e allora tu ti devi interfacciare con la gente, devi ascoltare la gente. Devi cercare di fare qualche cosa che sì, piaccia alla gente, ma non necessariamente abbassando il livello. Perché più si abbassa il livello, più è facile fare un’operazione popolare, ma la cultura deve alzare il livello, quindi io devo educare. Poi c’era un lavoro da fare sulle scuole, il mio progetto parlava anche di questo. Perciò a gennaio 2019 presentai questo progetto, che vi prego di allegare così i cittadini si rendono conto di quella che era la mia idea”.
Ecco, nel nuovo Teatro Cavour ci sarà anche il cinema, e anche lei aveva parlato di cinema. Quali sono però le differenze tra quello che ci sarà e quello che aveva pensato lei?
“Allora, non so che cosa ci sarà, mi sembra di aver visto che ci sarà un affidamento parziale a entità che già operano nel cinema. Però mi viene da dire una cosa: noi abbiamo di fronte al Cavour un cinema, il Cinema Centrale, che è un cinema storico. Io ci sono cresciuto perché all’epoca, quando mio papà era direttore del Cavour, io da bambino andavo nel cortile del Cinema Centrale di pomeriggio, e i due direttori allora, Gigi Piga e mio papà, si trovavano al bar a parlare insieme e non si facevano concorrenza. Mi sembra che l’idea sia quella di subentrare al Cinema Centrale. Ma il Cinema Centrale è già in agonia adesso perché se voi andate a vedere la programmazione, il cinema fa una proiezione al giorno, purtroppo per loro con pochi spettatori, quindi fa già fatica a tirare avanti. Se noi gli andiamo ad aprire un cinema davanti che fa la stessa programmazione, gli togliamo quel poco di ossigeno con cui riesce a malapena e a stento a sopravvivere e a garantire un servizio alla città. E allora mi domando: non sarà mica che si vuole arrivare a far chiudere il Cinema Centrale e poi magari favorire un’antica idea di speculazione edilizia, di cui allora Don Drago si era fatto parte attiva per ostacolarla? Perché c’è un progetto di allargamento alle opere parrocchiali di speculazione edilizia dove i soliti ignoti potrebbero avere appetiti. Questo sarebbe una perdita per la città. Io avevo in mente di fare proiezioni magari di cinema d’essai, di grandi colossal, che ne so, chi si va a vedere dei vecchi western in CinemaScope in televisione, lo proietto al cinema. Tutti i film di Sergio Leone, tutta la saga di Kubrick, alcuni dei più bei film di Totò oppure i più bei film di Alberto Sordi. Questa era la mia idea di cinema: portare la gente a un prezzo calmierato a vedere questi grandi classici, per far vivere il teatro, per fare abituare la gente a frequentare quel posto, e allora poi, abituandoli a stare bene in un posto, la gente si fida e viene comunque anche se tu non richiami con un grande nome. Dici “ma fidatevi, mi fido di Antonio, non mi ha mai fregato”, un po’ come è successo quando dirigevo FolkinDiano, che avevo sempre il tutto esaurito, la gente non stava a vedere cosa c’era, sapeva che proponevo delle proposte di qualità e veniva, avevo sempre la sala piena”.
Ha avuto occasione di confrontarsi col sindaco Scajola? Parlare del futuro del teatro recentemente?
“Sì, recentemente ci siamo visti e lui mi ha detto che non mi ha mai detto che me ne sarei occupato e che quindi se volevo potevo fare la gara. Ma questa gara è fatta in modo da escludere un privato e, devo dire la verità, io mi sono anche sentito con uno dei soggetti che probabilmente parteciperà alla gara per propormi. Ho letto che c’è un punteggio anche per il direttore artistico, che sono cinque punti in base all’esperienza. Io sicuramente con il mio curriculum li prendo tutti perché basta avere 3 anni di esperienza, ne ho 40, quindi il punteggio ce l’ho massimo. Però, un direttore artistico è un ministro senza portafoglio in questo bando perché non serve, perché il gestore deve presentare il cartellone prima e qualsiasi gestore che si occupa di teatro è in grado di fare un cartellone con otto miseri titoli, non c’è bisogno di spendere soldi in una figura apparente e hanno ragione. Questa persona, che è anche un amico, mi ha detto “guarda non c’è il margine perché devo pagare una figura esterna quando poi posso fare benissimo questa piccola cosa la posso fare io”. In realtà il grosso del lavoro è l’iter burocratico che è enorme. Il bando invece andava snellito, secondo me avrebbero dovuto stanziare una cifra più importante di questa, stabilire un direttore artistico che potevo essere io o un altro, ma comunque una persona a scelta dell’amministrazione, che si interfacciasse con l’ufficio cultura e facesse delle proposte, così come ho fatto io a Diano Marina, e poi si spendeva quel budget a quel punto attraverso privati che potessero gestire la cosa, e il comune rientrava delle spese attraverso gli incassi. Questo doveva essere, secondo me, non so se si possa fare oggi. Il sindaco mi ha detto che oggi non si può più fare, io non credo perché ci sono comuni che lo fanno”.
Ecco, per concludere: di cosa avrebbe bisogno un teatro di questa città?
“Di cosa ha bisogno la città? Bisognerebbe ascoltare tante persone, però è anche vero che se si ascolta tutti, non si fa mai giorno. Secondo me un teatro, che è più il mio campo, o questo teatro di città, per diventare un teatro di città, avrebbe bisogno di una persona che ci si dedichi anima e corpo per almeno 2 anni. Due anni proprio li devi considerare buttati via, che sono quelli che normalmente vengono affidati ad un’impresa. Se tu apri qualsiasi attività ti dicono che i primi 2 anni li hai buttati via, pensa di iniziare a guadagnare dopo 2 anni. Questo è un ordine di grandezza per far capire il lavoro che c’è da fare, e ce n’è tanto di lavoro da fare. Ci vorrebbe un lavoro di sinergia, di collaborazione tra un direttore artistico e un ufficio cultura del comune che lavori anima e corpo per questo, ma purtroppo ci vogliono persone che abbiano il curriculum per poter fare questa cosa, e non mi sembra che ci siano. Quindi forse anche il sindaco, trovandosi sguarnito da questo punto di vista, non ha potuto fare diversamente. Certo è che se si vuole fare un investimento culturale sulla città bisogna creare un progetto culturale, e secondo me la città di Imperia ha un gran bisogno di un progetto culturale, che è la cosa che più manca. Abbiamo tanti musei, cioè opere morte, dei catafalchi che sono delle opere cimiteriali. Non so quanto siano visitati. Personalmente, una volta che ho visitato il Museo Navale, l’ho visto, è bellissimo, ma se tu non ci fai la scuola nautica accanto e non fai partire una serie di iniziative, ad esempio il Museo Navale rimane un posto polveroso e morto, quasi sempre chiuso. Faccio un esempio: abbiamo tanti anni fa restaurato le statue del presepe del Maragliano, sono lì a prendere polvere in una teca, abbiamo speso un sacco di soldi per restaurare delle statue, magari anche belle, ma chi le guarda? Il teatro è un luogo vivo e la gente è viva, devi portarla allo spettacolo. Quando ho fatto lo spettacolo di De Andrè sulla banchina del Porto c’era la gente fino al tribunale, alla biblioteca. Questo è spettacolo, altrimenti sono altre cose di cui io non so occuparmi. La speranza di rivedere il Teatro Cavour vivo? Sì, mi piacerebbe anche per ricordare mio padre che ci ha dedicato tanto”.