11 Agosto 2024 20:25

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11 Agosto 2024 20:25

Imperia: analisi politica dell’omicidio Biagi dei consiglieri Pd Bracco e Modaffari. L’accusa all’ex ministro Claudio Scajola, “mancanza di rispetto per la vita umana”

Venerdì scorso è tornato in libertà Simone Boccaccini, uno dei brigatisti condannato per l’omicidio del giuslavorista Marco Biagi, avvenuto per mano delle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo del 2002. La sua liberazione ha riacceso il dolore dei famigliari di Biagi e riaperto il dibattito sul delitto. I consiglieri imperiesi del Pd, Ivan Bracco e Lorendana Modaffari intervengono per delle “riflessioni sulle responsabilità politiche“.

La riflessione politica degli esponenti del Pd dopo la liberazione di uno dei brigatisti responsabili dell’omicidio di Marco Biagi

Dicono Bracco e la Modaffari: “Aveva 13 anni, e poco sapeva di terrorismo, intimidazione e violenza, giochi politici; e in una sera di inizio primavera si è trovato protagonista di qualcosa che non pensava potesse riguardare la sua vita, che non poteva capitare a famiglie normali, a persone che vivono e lavorano onestamente, a suo padre. Non era più un bambino, ma non era ancora abbastanza cresciuto da poter comprendere, il figlio del giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Nuove BR il 19 marzo 2002, catapultato in una realtà di dolore così importante da orientare la sua vita verso chi chiede aiuto.

Aveva tredici anni, e non conosceva l’importanza della figura di suo padre per il mondo, le lotte che stava conducendo; conosceva solo la grandezza che rivestiva nella sua vita. Non poteva comprendere tutto quello che stava accadendo, le indagini alla ricerca dei colpevoli, che portarono la Procura di Bologna a formalizzare l’accusa di cooperazione in omicidio colposo nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro per la scorta mancata, e il perché dello scontro a distanza fra Scajola e la sua famiglia. Era un ragazzo a cui avevano rubato il padre improvvisamente, violentemente, e, certamente, non aveva alcun interesse alle scuse di chi semplicisticamente, con atto dovuto, dichiarò: “Nessuno mi disse che c’era preoccupazione per lui. Mi dimisi e scrissi una lettera alla famiglia”, ai veleni, ed alle strumentalizzazioni politiche.

Ha ben presente, oggi, Lorenzo Biagi, e questo emerge dalla sua toccante intervista, che, al di là del dolore cristallizzato, si può, forse, cristianamente perdonare, ma non si devono obliterare le responsabilità morali, la valenza di quella che non può essere definita una leggerezza politica alla luce dell’atteggiamento di sfregio (“Marco Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”: è questa la frase, cui fece riferimento la brigatista Nadia Lioce nelle dichiarazioni rese prima di essere condannata all’ergastolo, che portò la prima volta Claudio Scajola a dimettersi dall’incarico di ministro), rivelatore di mancanza assoluta di rispetto nei confronti della vita umana e del vuoto incolmabile lasciato a chi è dovuto crescere privato dalla violenza terrorista dell’amore paterno, della sicurezza del conforto del sostegno e di molto altro”.

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